Se nel giorno di Sant’Ambrogio, vescovo e patrono di Milano, la Lega ha lanciato una sfida pubblica contro il suo successore Dionigi Tettamanzi, paragonandolo prima a un imam musulmano e poi a un prete siciliano mafioso, è perché si sente forte, molto forte.
La volgarità degli argomenti scagliati contro l'”Onorevole Tettamanzi”, delegittimato così nel suo ruolo pastorale, additato come un nemico degli interessi del popolo, non deve trarre in inganno: c’è del metodo nella provocazione architettata nel dì festivo. Quasi una contro-predica rivolta al gregge della diocesi più grande del mondo, puntando dal trono del governo alla conquista dell’altare in Duomo.
La Lega vuole la corona longobarda, che sia cristiana o pagana non le importa. Si erge a potere costituito che ripristina la tradizione perduta. Sente venuto il suo momento e punta al bersaglio grosso. Perciò esercita violenza verbale, scagliandosi contro il cardinale: deve dimostrarci che nulla la potrà fermare, non ha paura di nessuno. Perfino il Vangelo può subire un’interpretazione alternativa, dal “Bianco Natale” razzista fino ai bambini rom da ricacciare in mezzo alla strada, ora che la nuova teologia in camicia verde s’impone come energia scaturita dalla volontà popolare.
Di fronte al sopruso, a una calcolata volontà intimidatoria, l’arcivescovo Tettamanzi ha profetizzato ieri il pericolo dei lupi. L’eresia dei forti disposti a tutto, perfino a uccidere e esiliare i pastori delle chiese, ha detto, citando Ambrogio. Egli sa bene di trovarsi di fronte una forza politica candidata alla successione del potere berlusconiano nel Nord Italia. Un’eventualità sempre più probabile da quando la Lega può scommettere su un argomento storico e su un argomento contingente che, entrambi, la favoriscono.
L’argomento storico è il riemergere di uno spirito reazionario, pre-illuministico, anti-risorgimentale, nostalgico della cristianità lombarda della Controriforma nelle nostre contrade settentrionali. È questo spirito dei tempi che incoraggia tradizionalismo leghista a proclamarsi erede perfino di San Carlo Borromeo, il missionario della “conquista delle anime”, in contrapposizione ai vescovi contemporanei. Bossi scommette su un cattolicesimo più antico e chiuso di quello conciliare. Sui legami del sangue e del suolo opposti alla Chiesa universale. Si compiace di come le parole d’ordine xenofobe assecondino e liberino una spinta oscurantista. Ambisce a rappresentare il passato che ritorna e s’impossessa della modernità, come portavoce non più solo degli interessi ma delle coscienze stesse: perché vergognarsi di desiderare il bene per sé, non per tutti?
L’altro argomento, di natura contingente, che favorisce la Lega nella sfida al cardinale di Milano, è la totale remissività della destra cattolica da decenni al governo in Lombardia. Comunione e Liberazione, la Compagnia delle Opere, il sottobosco del potere di Roberto Formigoni, non hanno mai ritenuto conveniente erigere un argine che li differenziasse dalla politica e dai valori propagandati dalla Lega. Si sono contraddistinti ben più negli affari che nella solidarietà. Oggi, certo, vivono con estremo disagio, quasi come un tradimento inaspettato, gli insulti della “Padania” e del ministro Calderoli al vertice della chiesa ambrosiana. Ma fino a ieri prevaleva in loro la malcelata insofferenza nei confronti di pastori spiritualmente lontani dall’integralismo e dalla spregiudicatezza che li caratterizzano. Questa destra cattolica lombarda già sopportava con fatica il cardinale Carlo Maria Martini, predecessore di Dionigi Tettamanzi.
Formigoni e i suoi seguaci, preoccupati di consolidare la loro influenza nella sanità, nell’urbanistica, nel business delle bonifiche, in Fiera e ovunque possibile, hanno lasciato che anche il loro elettorato diventasse arrabbiato, sospettoso, reazionario. Oggi un cittadino di destra lombardo, ma anche veneto o piemontese, non sta certo a fare distinzioni culturali. Per lui sarà indifferente votare un presidente della Lega o del Pdl: sul piano ideale non sono più ravvisabili diversità significative.
La Lega e il Pdl hanno condotto insieme campagne elettorali contro “la società multietnica”. Parola di Silvio Berlusconi al comizio conclusivo di Milano, nel giugno scorso, quando aggiunse il lamento: “Camminavo nel centro di Milano e mi pareva di trovarmi in Africa”. Umberto Bossi, lì al suo fianco, applaudiva. Poi con l’inverno a Milano è tornata la stagione degli sgomberi dei campi rom. Inutili, propagandistici, spesso crudeli nelle conseguenze su poche centinaia di persone di cui erano in corso faticosi tentativi di integrazione.
La Chiesa milanese non poteva accettare questo stravolgimento dello spirito evangelico, perpetrato oltretutto dagli stessi che inneggiano alla Tradizione e alla Croce. L’arcivescovo ha denunciato la blasfemia. Lo aspettavano al varco. Accusarlo di essere un musulmano o un mafioso, nell’accezione incivile dei leghisti, è la stessa cosa. Conta lo sfregio, conta la prossima tappa: l’altare del Duomo. Intanto il sindaco di Milano, timorosa di non essere ricandidata, ha ritenuto di non avere nulla da dichiarare. Era più importante la prima della Scala.
da la Repubblica