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Una piazza viola che dice no a Berlusconi

Bindi: “Non mettiamoci il cappello”. Alla manifestazione autoconvocata in rete la presidente del PD, Marino e Franceschini. Solo YouDem e RaiNews24 trasmettono la diretta

Piazza San Giovanni piena a Roma per il NO B DAY la prima manifestazione autoconvocata via internet per chiedere le dimissioni del premier Silvio Berlusconi. Un corteo, partito con inusuale puntualita’ da Piazza della Repubblica alle 14, tutto viola.
E’ stato il viola, colore scelto perché ”non occupato ancora dalla politica” e come simbolo ”di quegli italiani che non vogliono ‘violare’ le leggi”, a predominare nella giornata del ‘No B’ di Roma.
Tra i tantissimi striscioni che hanno sfilato, mischiati tra quelli dei precari dell’Alitalia o del Comitato ‘No Ponte’, c’erano cartelli dal sapore sarcastico con su scritto: ”Viva Panama” o ”Questo e’ il miglior corteo degli ultimi 150 anni”.
”Qui non c’e’ un popolo di frustrati, ma di indignati – ha detto la presidente del Pd, Rosy Bindi sfilando nel corteo, con tanti applausi – sono qui per capire qualcosa di più di quello che abbiamo letto in questi mesi sul web. Quando le persone si incontrano – ha continuato – c’e’ sempre un valore aggiunto, ed e’ molto positivo che qui ci siano molte persone, soprattutto giovani e donne che ancora hanno una capacità di indignazione e reazione rispetto alla vita del paese”.
A questo proposito, la Bindi ha sottolineato che le polemiche sul Pd e il ‘No B. Day’ sono ormai superate: ”Il fatto che io sia qui, che sono il presidente, vuol dire che queste divisioni sono superate”. E ai cronisti che le hanno fatto presente che diversi esponenti del partito erano assenti ha risposto con una battuta: “Ci fosse stato tutto il PD non sarebbe bastata piazza San Giovanni. Del Pd ce n’e’ un po’ perché questa e’ una manifestazione di liberi cittadini. Chi e’ voluto venire in piazza ci e’ venuto, non ci dividiamo su questo. Per fortuna c’e’ una cittadinanza che si indigna, che si ribella, che chiede libertà e il rispetto della Costituzione. Le alternative al governo di centrodestra si costruiscono con le parole fondamentali per la vita democratica: legalità, libertà, partecipazione e solidarietà”.
Certo non mancavano i militanti e i circoli democratici, così come il capogruppo alla Camera, Dario Fanceschini, il vicepresidente del PD, Ivan Scalfarotto, e Ignazio Marino, Giovanna Melandri e Walter Verini, Rosa Calipari e Paolo Concia, Debora Serracchiani e Giuseppe Civati.
Entrambi gli ex candidati hanno affidato a twitter le loro considerazioni. Franceschini ha scritto: “Al ‘No B day’ mi inseguono le telecamere. Ma noi parliamo sempre. Oggi sto zitto perché devono parlare le ragazze e i ragazzi che sono qua”.E Marino: “La legge è uguale per tutti. In questa piazza c’è il popolo italiano e questo è il posto del Partito Democratico. La piazza è piena di iscritti e simpatizzanti del partito. Non dobbiamo dimenticare queste persone nel fare opposizione al governo Berlusconi. In centinaia di migliaia ci stanno chiedendo oggi legalità e trasparenza, anche nel modo in cui vogliamo diventare ed essere alternativa a Silvio Berlusconi. La sensazione di una difficoltà del Pd nel rapporto con questa piazza è in larga parte costruita. Io ho pensato sin dal primo giorno che sarebbe stato importante partecipare e si vede oggi che è una giornata importante”.
La manifestazione non è stata trasmessa in diretta da una delle reti principali della RAI, ma solo da RaiNews24 e da YouDem, come ha denunciato anche il senatore democratico Vincenzo Vita: “Sono addolorato per il no alla diretta del Tg3 sul No-B day, si tratta di una grave miopia aziendale. Si tratta di un evento, al di là del colore,e i vertici Rai dimostrano così inadeguatezza. Il Pd di fatto c’è. Io spero che da qui parta l’unità dell’opposizione, una necessità perché bisogna sconfiggere Berlusconi che è un pericolo democratico”.
Rosy Bindi aveva annunciato già ieri la sua presenza al corteo: “Avevo detto che se non fossi stata presidente del Pd sarei andata alla manifestazione e ieri Bersani ha risolto il mio conflitto di interessi. Parteciperò come tanti nostri militanti, dirigenti ed elettori del Pd. Sarò insieme a loro: devono sentirsi a casa loro nella piazza e nel Pd. Non abbiamo mai voluto strumentalizzare un’iniziativa nata dal basso, con il tam tam della rete. Un grande partito non cerca di appropriarsi della piazza ma ne rispetta l’autonomia. Come ha detto Bersani tutti devono dare una mano a unire e non a dividere l’opposizione, per costruire insieme un progetto efficace di alternativa alla destra di Berlusconi”. Poi a San Giovanni parlando coi manifestanti ha spiegato: “Noi in Parlamento facciamo già opposizione e la facciamo bene, e faremo opposizione anche nelle piazze, nelle manifestazioni che il Pd ha organizzato, (vedi lo speciale www.partitodemocratico.it/1000piazze) oggi siamo qui ad ascoltare, ma non ci mettiamo il cappello. Sinceramente mi ha dato fastidio vedere le bandiere di alcuni partiti al No B-Day, mi è piaciuto più il viola del bianco e degli altri colori. Ma da domani l’opposizione sarà più forte”.
Ma.Lau. da www.partitodemocratico.it

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da www.unita.it, «No B. Day, diretta dalla piazza “viola”», di Maria Grazia Gerina
C’è chi se l’è dipinto in faccia, chi ci scrive sopra la rabbia, chi la speranza. Chi lo sventola contro il cielo azzurro. E lo fa avanzare come una nuova bandiera, un desiderio di rivoluzione, per le vie di Roma, da piazza della Repubblica a piazza San Giovanni. Quel colore viola, lasciato libero dai partiti in oltre sessant’anni di Repubblica. Che, nel linguaggio cromatico, sta tra cielo e terra, tra passione e intelligenza. E significa «metamorfosi, transizione, voglia di essere diversi». Nessuno l’aveva considerato fin qui. Se l’è preso il popolo del «no B. Day». E in un pomeriggio, dopo quindici anni di berlusconismo, antiberlusconismo, girotondi, lo ha fatto diventare «urlo, abbraccio, amore per questo paese», prova a prestargli le parole Roberto Vecchioni, «tutta la gamma dei sentimenti» che la politica è ancora in grado di suscitare. «Nessuna cupezza, nessuna aria di sconfitta», contempla la scena dal palco il grande vecchio del cinema italiano, Mario Monicelli.
L’identikit più bello di quel popolo sceso in piazza a chiedere a Berlusconi di dimettersi, lo fa Francesca Grossi, da Massa Carrara, venuta a Roma con suo marito e con i suoi due bambini di 11 e 13 anni. «Siamo di sinistra, usiamo la democrazia con fiducia, non so ancora per quanto – dice -, ci diamo da fare persino nei consigli di classe, vogliamo far sentire la nostra voce, far sapere che siamo tanti, che c’è un’Italia che dà il benvenuto ai marocchini e tiene le porte aperte». E però, dice Francesca, sciarpa viola al collo: «Ci sentiamo poco rappresentati, il nostro essere presenti sventolando il colore viola di questa sinistra sguinzagliata ci sembra l’unica forma di rappresentanza rimasta».
Lo dice tutto d’un fiato, come si dicono le cose che stanno a cuore. Poi si ferma, guarda avanti. E si domanda: «Ci ascolteranno?». Chissà. Ma mentre parla, alle sue spalle, prende corpo l’altra Italia scesa in piazza per essere «presente». L’Italia dell’antimafia e della Costituzione. «Abbassate le bandiere dei partiti», ripete al megafono un ragazzo con i capelli biondi. Davanti a lui, un mare di agende rosse come quella del giudice Borsellino, portate in civile processione da ragazzi che quando quell’agenda sparì erano appena bambini.
Al posto delle bandiere, un gruppetto di signore sventola la Costituzione. «Bisogna ricominciare dalla base in questo paese». Su tutto giganteggiano le lettere cubitali di un verbo semplice, da rivolgere direttamente al premier, senza mediazioni: «Dimettiti». «Ridacci l’Italia, vattene ad Hammamet». E poi: «Fuori la mafia dallo stato». «Caserta non è uguale a Cosentino». «Mangano e Dell’Utri a voi, i nostri eroi Falcone e Borsellino», scandisce il popolo «no B Day». Le stesse parole che il fratello Borsellino scandisce dal palco. Un intervento durissimo e applauditissimo. «A me delle escort non importa nulla, sono qui perché la mafia esca dallo stato, la presenza di Berlusconi e Schifani nelle istituzioni è un vilipendio».
«Dovevamo essere trecentomila, siamo più di un milione», esultano gli organizzatori. Una lezione per tutti i partiti, non solo per Berlusconi. Per l’Idv che corre a prendersi la prima fila. Per le tante bandiere rosse. E per il Pd che arriva in ordine sparso». «A cui ricorda che il Pd – dice Vecchioni – è un progetto vasto, non solo partitico». Il popolo del «No B Day» li ha votati un po’ tutti, con delusione e speranza. C’è persino chi incoraggia l’alternativa a destra: «Meno male che Gianfranco c’è». «Guarda se in piazza oggi ci sono io vuol dire che questo paese può cambiare davvero», dice Riccardo Fabbri, 38 anni, impiegato. «Io – spiega – ero l’italiano medio, mi importava solo del calcio, della tv e delle donne, poi però a vedere come hanno distrutto questo paese mi sono inc… anche io».

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da www.unita.it, «Pensieri e parole sul palco», di Toni Jop
«Ma dov’è la sinistra? Dov’è il Pd? Dov’è l’opposizione? Dov’è la Chiesa rispetto alle molte isole di schiavitù che oggi fioriscono in Italia?»: Ulderico Pesce, attore, lo chiede a una piazza sterminata di teste e bandiere mentre cala la sera su San Giovanni. E la piazza s’infiamma firmando un non-sense meraviglioso, poiché tra i marmi vaticani, il verde e l’asfalto c’è proprio l’anima della sinistra, l’anima dell’opposizione, moltissimi cattolici, l’anima del Pd, per non parlar dei suoi leader, in buon numero scesi in strada col popolo della rete. Così, quel palco allestisce una sorta di drammaturgia analitica, una «doccia» emozionale in cui «vuotare il sacco», i bisogni frustrati, le pulsioni troppo a lungo mediate.
Pesce sa il fatto suo quando urla: «Senza il cuore la sinistra è niente, senza emozioni è niente». E racconta dei lager italiani in cui vengono rinchiusi gli emigrati, dei caporali che smistano le «risorse umane» da un campo di mele a uno di pomodori, a una strada lungo cui prostituire il corpo. Chiede aiuto; dice che, per far qualcosa di utile, basta appoggiare la sua richiesta di rendere riconoscibile, come avviene in altri paesi europei, il nome del produttore, ad esempio, su ciascun barattolo di pelati.
Sembrerà strano, ma questo piccolo accorgimento burocratico sarebbe in grado di sventare trucchi e truffe ai danni dello Stato, della popolazione, dell’Europa, dei lavoratori trattati come schiavi. Ovazione per lui, come, poco prima, per Salvatore Borsellino che aveva chiesto all’Italia di rivendicare il suo diritto di mandare a casa il premier, sottraendo questo potere alle cosche che ora potrebbero considerarlo un insufficiente.
Niente, sul palco, accade secondo una liturgia convenzionale, tranne forse lo stile dei due giovani conduttori che fanno quel che possono per aggraziare di maniera una scena di suo così anomala. Due ragazze ventenni che raccontano della loro esperienza in una cooperativa attiva sui terreni fino a poco fa appartenuti alla mafia, a Corleone. Dario Fo che vola surreale sul mare di bandiere, giurando di non aver quasi camminato per arrivare in piazza, perché trascinato sospeso dall’onda di quel milione di persone, per lui sono la certezza che le cose cambieranno; Franca Rame che recita una stanza dedicata soprattutto alle donne, a quelle inchiodate dalla cultura del premier come a quelle offese dalla violenza maschile mentre qualche asta, nei pressi del palco, porta in alto le coppe di un reggiseno. Moni Ovadia, che tuona sul tradimento, sullo scippo, sul furto del nostro vocabolario democratico ad opera di un solo uomo in grado oggi di controllare e decidere le nostre esistenze. Di fronte, aggiunge Moni, ad una opposizione incerta, malferma.
Due messaggi video, uno con lo sdegno verso i nostri tempi di Antonio Tabucchi; un altro per Giorgio Bocca che chiede, anche lui, all’opposizione e al Pd di fare delle scelte di campo. Aveva aperto Monicelli, un resistente di lungo corso e di lunga memoria che ha avuto l’«impudenza» di salutare la classe. Operaia. «Viva l’Italia», canta Vecchioni, bello e discreto, e la piazza gli fa eco e balla, perché era festa grande. Di liberazione.

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da www.terranews.it, «Il trionfo della rete», di Luca Bonaccorsi
NO B.DAY. Una grande folla geograficamente e politicamente varia unita da un’idea, un sentimento: basta Berlusconi. Uno slogan, un colore, un’unica “bandiera”, ma per qualcuno non è stato così.
«Il più bel corteo degli ultimi 150 anni». C’era una ironica “citazione” in testa al grande fiume viola che ha attraversato Roma ieri. Chissà, forse lo è stato davvero. Nato dalla Rete, nella Rete, da persone di diversa provenienza geografica e militanza politica, ieri questo gruppo di generosi neofiti ha dimostrato che per fare una grande manifestazione non serve la macchina da guerra della Cgil o dei partiti storici. Loro, gli organizzatori, c’hanno provato a tenersi lontano dalle etichette. E si sono scelti un colore politicamente “nuovo”: il viola (dimostrando anche di essere “in”). Le persone hanno risposto. Hanno rispolverato maglie e magliette, sciarpe nuovissime e vecchie borsette. Tutti uniti dallo sforzo comune di esibire quel simbolo colorato unificante. Ce n’è da riflettere per i politici di professione.
Nel Paese delle annose cause legali per l’utilizzo della falce e martello o dello scudo crociato, oggi il messaggio sembra essere: i simboli servono le cause. Vengono dopo. Ieri c’erano centinaia di migliaia di persone che al simbolo hanno anteposto un’idea, un sentimento: basta Berlusconi. Uno slogan, un colore. E la folla è arrivata: una folla che forse nessuna falce e martello o scudo crociato può radunare oggi. Era viola e antiberlusconiana. Altro tema di riflessione. Chi se lo ricorda Veltroni in campagna elettorale che B non lo voleva neanche nominare? E le sofisticate analisi contro questo antiberlusconismo viscerale e dipietrista? E così, giorno dopo giorno, a Di Pietro è stato consegnato il potere di rappresentanza dell’opposizione all’insostenibile Cavaliere. Per fortuna che Di Pietro ieri si è rovinato da solo, calcando la mano in maniera imbarazzante. Forte di aver finanziato il palco della manifestazione, l’Idv ha occupato militarmente il prato. Maxi palco reale rialzato a sinistra. E stand a destra. Centinaia di bandiere in attesa di militanti attendono fin dalla mattina, appoggiate alle transenne.
Centinaia di palloni bianchi col nome dell’ex magistrato riempiono il cielo ai lati del palco. Non soddisfatta, senza rendersi conto di essere ascoltata, una dirigente dell’Idv si lamenta con uno dei generosi organizzatori, Gianfranco Mascia, per la presenza di qualche bandiera rossa o verde a bordo piazza: «Quando uno spende 300mila euro tu capisci che ti girano le scatole a vedere certe cose. Sarebbe da mandare tutto all’aria». Errori così, però, si pagano. Come gli sms di Veltroni per il “voto utile” che devastarono gli ex alleati ulivisti, fatte le dovute proporzioni, qualcuno ricorderà questa inutile arroganza. Dietro il palco Di Pietro risponde imbarazzato: «Non dobbiamo essere gelosi delle bandiere altrui». Ma lo sa che non è questo il punto.
P.s. Fuori dal tempo e dalla civiltà pochi marziani con tre narici, sedicenti “Comunisti, Sinistra popolare” coprono con i loro striscioni lo stand di Terra e minacciano l’intervento dei “compagni” alle nostre proteste. In pochissimi cospargono la piazza di bandiere e striscioni. Tristissimi.

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da www.terranews.it, «Le tante voci della democrazia che spera», di Pietro Orsatti
Grande successo del No B Day. In piazza la voglia di un futuro e di una politica diversa lontano dalle mafie. Per Berlusconi l’urlo corale: «Fatti processare»
Il simbolo di questa Italia che non si arrende al berlusconismo è questo piccolo e timido signore palermitano che esce di mattina presto dall’albergo e si mette a passeggiare per Roma. Un personaggio che difficilmente vedremo sugli schermi televisivi, ma che ogni pochi passi viene fermato per strada, salutato come un vecchio amico. Baci e strette di mani. Salvatore Borsellino è così, un uomo qualunque che si accende solo quando parla in pubblico. E uno con un obiettivo chiaro: la verità e la giustizia per le stragi del biennio terribile, quello del 1992-93. «Sono stato uno dei primi a non aver sottovalutato la capacità della Rete e di facebook di coinvolgere e comunicare spiega – e non mi stupisco affatto che in pochi mesi, solo grazie al tam tam in Rete, si sia arrivati a una giornata come questa, con centinaia di migliaia di persone in piazza a chiedere le dimissioni di Berlusconi».
Salvatore è anche la persona giusta per chiedere qualcosa dell’altro evento di questo settimana, la deposizione in aula di Gaspare Spatuzza. «Certo che fa impressione sentire le parole di uno degli esecutori della strage di via D’Amelio, di uno che ha ucciso mio fratello prosegue – ma sono anche consapevole della necessità di usare lo strumento dei pentiti per raggiungere la verità, per individuare mandanti e scenari di quella stagione. Quella strage è l’atto di nascita della Seconda repubblica, questa manifestazione quel sistema di potere lo vuole mandare in pensione». A fare da sponda a Borsellino è Angelo Bonelli, presidente dei Verdi e sostenitore del No B Day.
«Questa manifestazione è una grande novità sul piano politico – spiega l’esponente verde – perché è stata convocata sul web e dimostra che i partiti sono stati superati dalla società e non è etichettabile come di sinistra o di destra, ma porta una ventata di aria fresca. Noi protestiamo anche per quei settemila morti per smog ogni anno che il governo passa sotto silenzio mentre Berlusconi è unicamente impegnato a garantirsi l’immunità terremotando la Costituzione». Verdi, Rifondazione, Italia dei valori hanno sostenuto la grande manifestazione “viola” (il colore scelto a simbolo del popolo dei No B), accettando però di non intervenire dal palco. Una scelta che paga, anche secondo il leader dell’Idv Di Pietro, secondo il quale quello affluito a Roma è «un popolo senza bandiere e con tante bandiere che oggi vuole sapere chi ha voluto le stragi, chi ha trattato con la mafia e vuole una giustizia uguale per tutti e non persone che in Parlamento si fanno le leggi per non farsi processare».
E poi conclude: «Oggi è la prima giornata della democrazia che verrà ». C’è anche Gioacchino Genchi, il superpoliziotto consulente di “Why not” e di tante inchieste, comprese quelle sulle stragi, arrivato a Roma con un pullman di manifestanti da Brescia e un viaggio di sette ore. «La dimostrazione che c’è ancora un’Italia che pensa con la sua testa. Sono stanco morto per il viaggio, ma ieri mi sono caricato un scatolone del mio libro che uscirà lunedì e sono venuto con i ragazzi con cui ho fatto un’iniziativa in serata. Non potevo mancare», e con una sciarpa viola al collo segue il corteo. Un corteo enorme, da grandi occasioni. «La rivoluzione viola sta arrivando, noi vogliamo solo finire questa manifestazione e farla metabolizzare agli italiani, non puntiamo ad altro». Cosi Gianfranco Mascia, uno dei principali organizzatori del No B Day.
Forte anche la presenza in libera uscita di militanti e dirigenti del Pd. «Quando le persone si incontrano – ha dichiarato il vicepresidente del Pd Rosy Bindi – c’è sempre un valore aggiunto, ed è molto positivo che qui ci siano molte persone, soprattutto giovani e donne che ancora hanno una capacità di indignazione e reazione rispetto alla vita del Paese». Intanto, mentre il corteo ancora non ha raggiunto piazza S. Giovanni, gli organizzatori annunciano più 350mila manifestanti. “Meno male che Gianfranco c’è”, recita uno slogan rivolto al presidente della Camera Fini. E poi molti inviti al premier a farsi «processare ». E mentre sfila questo popolo che non crede all’estraneità di Berlusconi dalle accuse rivolte solo ieri a lui e a Dell’Utri dal pentito Gaspare Spatuzza, giunge la notizia degli arresti di due latitanti di spicco di Cosa nostra, Gianni Nicchi a Palermo e Gaetano Fidanzati a Milano. Alla notizia il pubblico applaude, contento. Anche se si insinua il sospetto di una coincidenza fin troppo evidente.

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Da La Stampa, «Il web si fa piazza. Roma attraversata dal corteo anonmalo», di Riccardo Barenghi
La prima impressione è quella che conta e che infatti verrà confermata dalla seconda, la terza, la quarta… Ed è che la manifestazione di ieri è stata una prima assoluta, non certo per quantità, che pure era notevole, ma perché si è trattato – almeno a memoria di chi ne ha viste centinaia – di un corteo anomalo, originale, diverso insomma da tutti quelli che nel corso dei decenni lo hanno preceduto. Diciamo che in piazza si è tradotta perfettamente la modalità attraverso la quale la manifestazione è nata ed è cresciuta. Quelli che hanno sfilato ieri pomeriggio a Roma erano giovani, tanti giovani, anche giovanissimi, che apparivano liberi da qualsiasi condizionamento del passato. Non erano inquadrati dietro striscioni e bandiere di partito, anzi di più: non erano proprio inquadrati. Manifestavano liberamente, cantavano, ballavano con un’allegria che qualcuno poteva pure giudicare senza senso visto che il loro avversario, cioè Berlusconi, è sempre a palazzo Chigi e non si dimetterà certo grazie a loro. Tuttavia questi ragazzi non erano cupi, non gridavano slogan truculenti, e anche quelli giustizialisti, o se volete forcaioli, avevano un sapore diverso proprio grazie al contesto allegro e spesso ironico che li circondava. Gli stessi striscioni e cartelli erano diversi dal solito, più spiritosi.
E’ come se il modo di comunicare in Internet, i blog, Facebook, gli sms, i gruppi di discussione telematici, si fosse improvvisamente materializzato per le strade della capitale, assumendo contorni umani. Lo vedevi, lo capivi dalle facce, dal modo di vestire, da come questi ragazzi stavano nel loro corteo tutt’affatto diverso dal modo in cui marciavano i loro padri, zii e fratelli maggiori. Oppure dal fatto che non c’erano servizi d’ordine, e quei pochi che c’erano erano i più gentili della storia: «Per favore, potrebbe spostarsi leggermente sulla destra…».
Ma la politica c’era. Eccome. Erano tutti antiberlusconiani, il premier è stato indubbiamente il protagonista assoluto della giornata, in negativo ovviamente, le accuse di essere un mafioso si sprecavano. E tutti di sinistra, ma una sinistra viola e non più rossa. Quindi non più quella conosciuta nella prima e neanche nella seconda repubblica, quella che si è sempre riferita a qualche partito. E che ancora oggi si sente di appartenere a qualche partito o a qualche sindacato. Per non tornare troppo indietro nel tempo, quelli di ieri non erano gli stessi che avevano dato vita ai girotondi sette anni fa, e nemmeno quelli che avevano riempito il Circo Massimo nel marzo del 2002 con Cofferati, oppure i pacifisti che sempre in quel periodo protestavano a decine di migliaia contro la guerra in Iraq. O meglio, ci saranno stati anche loro all’epoca, o almeno una parte di loro, ma ieri era come se fossero altre persone. Nuove, neonate.
Anche perché i partiti che c’erano (Italia dei Valori, Rifondazione, Sinistra e libertà, qualche verde, sparute bandiere del Pd), con tutto il loro apparato arrivavano dopo, in coda al corteo, ed anche loro sembravano contaminati dal clima nonostante gli sforzi dei loro sbandieratori. Per una volta erano secondari, non certo protagonisti. Così come non c’era la sfilata dei leader, in testa al serpentone, circondati da telecamere e taccuini. Non c’erano e se c’erano camminavano in ordine sparso, quasi sommersi dall’onda.
Un collega chiedeva se questa manifestazione potrà segnare l’inizio di una nuova storia della sinistra italiana, se si tratta insomma della premessa per quel ricambio generazionale e culturale da anni evocato e mai avvenuto. La domanda per ora resta senza risposta, anche perché sappiamo che i frutti delle manifestazioni, quando arrivano, arrivano tempo dopo, con molta calma. Oltretutto chissà se questi ragazzi hanno in testa la politica come missione nella vita o se ci pensano solo come a uno strumento utile quando serve a qualcosa ma non pervasivo di tutto il resto. A vederli sfilare ieri, la seconda ipotesi sembra la più probabile. Dunque, difficile immaginare la nascita di un nuovo partito di sinistra, il partito dei blogger, degli internauti. Semmai, dovrebbero essere i partiti esistenti a capire che qualcosa sta accadendo nel mondo che a loro interessa, tra i loro reali o potenziali elettori. I quali intanto sono giovani, quindi quelli di domani, e chiedono soprattutto di cambiare modo, linguaggio, strumenti e magari anche qualche tema della politica, sia essa di opposizione (come oggi) o di governo (hai visto mai nel futuro). Per farla diventare quantomeno un po’ più moderna e dunque utile.

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