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«Una scuola di base in cui si conti e si racconti veramente», di Maurizio Tiriticco

Quando la scorsa estate Ivano Dionigi, insigne latinista, è sceso in campo per essere eletto rettore dell’ateneo bolognese, mi sono augurato che ce la facesse, perché è ormai da alcuni anni che si adopera per ricucire quei due mondi che da sempre, almeno nell’immaginario nostrano, sono stati considerati ben distinti, quello classico letterario e quello matematico scientifico. In più scritti ho sempre tentato di dimostrare che non è così, o meglio che non è stato mai così, e che da una malintesa tradizione tardoromantica abbiamo cominciato a dividere due “culture” che, invece, nella tradizione europea hanno sempre marciato all’unisono!
Giorgio Vasari era in primo luogo pittore ed architetto, ma… sapeva anche scrivere! E non è un caso che lo si ricordi più per le sue Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti… ecc., che non per le sue opere! E Leon Battista Alberti non fu solo il valente architetto che conosciamo, ma anche un musicista, un matematico, e scrisse di architettura e di pittura. Analogo discorso vale per Galileo, che non costruiva soltanto cannocchiali, ma scriveva in perfetto volgare per sostenere la validità delle sue teorie; e per Leibniz, che non si dilettava solo di monadi, ma costruiva macchine calcolatrici e “inventò” quel sistema binario che oggi ci consente di scrivere con i nostri pc; e per Newton e mille altri che non si sarebbero mai sognati di parteggiare per la scienza o per la letteratura!
Non vado oltre, ma… quando poi le riforme italiane degli anni venti hanno sanzionato per sempre quella arbitraria divisione istituendo licei classici e istituti tecnici, facoltà letterarie e facoltà scientifiche, nella nostra cultura è stato impressa una sorta di stigma: o sai contare o sai raccontare. E come non ricordare quel proficuo scambio di lettere tra De Mauro e Bernardini in quel Contare e raccontare, Laterza, 2003, in cui dimostrano con piena cognizione di causa la contiguità delle due operazioni! Comunque, l’opinione corrente è: o sei “portato” per i numeri o per le lettere! Sono adagi che si ripetono da sempre e che, purtroppo, fanno parte del nostro dna! Quanti di noi sono convinti di avere fatto certe scelte professionali perché… sono portati per… e non altre perché non sono portati per!?
E’ per queste ragioni che, quando il professor Dionigi, da sempre sostenitore della “permanenza del classico” o meglio della necessità di recuperare in un unico ambito le esperienze di studio, di cultura, di ricerca di ciascuno di noi, è diventato rettore dell’Università bolognese, mi sono detto che è l’uomo giusto per cominciare a ricucire quelle due culture su cui lo stesso Snow negli anni Cinquanta aveva scritto pagine egregie. E la ricucitura è quanto mai necessaria, soprattutto se si guarda al “paventato” cosiddetto riordino del nostro secondo ciclo di istruzione con cui, ancora una volta, si privilegia il classico e poi, a scalare, sempre più giù fino al professionale, dove lo stigma dominante sembra essere l’hig touch, una espressione… letteraria, direi, per non voler dire il fare con le mani!
Ora leggo su “la Repubblica” di oggi che il neorettore di Unibo nel discorso inaugurale delle lezioni di Veterinaria si è espresso molto duramente nei confronti dei nuovi iscritti all’università, assolutamente impreparati per quanto riguarda le competenze linguistiche e matematiche! Di qui la responsabilità della scuola e il dibattito acceso che ne è seguito! Mi spiace che il neorettore abbia imboccato una strada ormai praticata da tanti censori! Sono luoghi comuni! I ragazzi non studiano più come un tempo; gli insegnanti non sono preparati; ordinamenti e programmi sono stantii! E la solfa può continuare all’infinito!
Non vorrei che il professor Dionigi si unisse a questo coro che, al di là dei lamenti, non avanza proposte, se non quelle che piacciono alla Gelmini: da un lato il merito, dall’altro il cinque in condotta! Meno ore sui banchi e più studio domestico! E, soprattutto, tagliare su una istituzione assolutamente improduttiva! Non vorrei e non voglio! Il professor Dionigi nel corso degli anni ha individuato uno dei nodi fondanti della crisi in cui si dibatte il nostro sistema di istruzione: l’insistenza, tutta gentiliana, di dover secernere il grano dal loglio. E dalla più tenera età! E’ una insistenza invisibile ma forte e presente che sollecita e solletica gli stessi genitori quando avviano i figli o agli studi di tutto rilievo o a quelli che in quattro e quattr’otto ti danno il placet per un lavoro, qualunque esso sia, fatte salve tutte le precarietà della presente stagione. Insomma, nella percezione generale la scuola o serve per diventare dottori o per prendere salvacondotti! Che la scuola, invece, debba educare, istruire e formare è solo un optional! Oggi, in un periodo in cui traguardi di questo tipo sono diventati l’insegna degli ignavi danteschi, i primi a non credere alla scuola sono gli alunni! E giustamente!
A monte di tutto c’è la crisi più profonda in cui si dibatte l’intera nostra società “avanzata” – si fa per dire – incapace di produrre valori e di trasmetterli, che tollera e sollecita le movide notturne, gli sballi, il mordi e fuggi! “Altra emergenza – sono parole di Dionigi – è l’assoggettamento alla dittatura del presente che toglie ai giovani ogni sensibilità storica” E’ un tema su cui mi sono soffermato in Una società orfana in cerca del domani dello scorso ottobre, in cui sostenevo che l’eterno presente a cui costringiamo le nuove generazioni, rubando loro il passato e privandole del futuro, le fa letteralmente “uscir di testa”, come si suol dire! E’ un disagio profondo in cui esse vivono, a fronte del quale i riordini gelminiani sono meno dei palliativi!
Una delle prime strade da imboccare per riordinare veramente i nostri percorsi scolastici è quella di costruire un ciclo di base decennale, continuo ed articolato, progressivo ed orientante nel contempo, in cui sia fondante una forte integrazione delle competenze relative al contare e al raccontare, strettamente legate a quelle che consentono di saper vivere e agire in una società che è complessa e difficile, che ha una sua storia e che vuole cimentarsi con il futuro. Occorre liquidare per sempre le barriere ereditate dal passato, i tre gradini della scuola primaria, della scuola che è media, ma che è anche secondaria di primo grado, del biennio che da un lato conclude l’obbligo, ma dall’altro appartiene al liceo o all’istituto tecnico o a quello professionale. Sono tutte barriere verticali e orizzontali che pregiudicano la progressività di un percorso continuo e che sia veramente mirato. Si tratta di gradi e di ordini che si sono giustapposti nel corso degli anni della nostra storia scolastica, i quali, però, costituiscono una barriera ad un riordino radicale e coraggioso che l’attuale gruppo dirigente neanche è in grado di ipotizzare.
Ed in questo riordino – ripeto – il contare e il raccontare non debbono afferire a due modalità divergenti di pensare e di fare, perché attengono a quelle operazioni elementari e fondanti che caratterizzano l’azione produttiva del nostro cervello/mente! Solo dopo questo decennio continuo possiamo pensare ai diversi indirizzi, anche se fossero mille, tutti percorribili con successo, ma solo se la base è solida e consolidata!
Ivano Dionigi ha un passato di tutto rispetto per quanto riguarda l’avvio di un proficuo incontro di quelle che ancora continuiamo a chiamare due culture, ma che due non sono affatto! Se vogliamo salvare i nostri ragazzi da un’ignoranza che tenderà a crescere, non esistiamo a costruire una scuola di base che sia veramente tale e che non faccia sconti ad un passato che occorre solo lasciare alle spalle! E avremo matricole che sanno leggere, scrivere e far di conto!

da Fuoriregistro, newsletter del 29.11.2009 (http://www.didaweb.net/fuoriregistro/index.php)