L’occasione della crisi è andata persa. Non abbiamo né le riforme, né i conti a posto, né il Pil in crescita». Per Vincenzo Visco la fotografia dell’Italia spacciata sui mass media è piena di «incredibili falsità»: la situazione è gravissima e nessuno se ne accorge. «Sono ammirato dall’abilità di Tremonti, oggi rigorista dopo un passato di antieuropeista e di creativo – aggiunge – Peccato che gran parte di quel che dice non sia vero». Per esempio? «Per esempio ha raccontato ad Annozero che il suo scudo costa di più di quello inglese. Ci vuole un gran fegato». Comunque il ministro ha dettola verità sulle tasse: non ci sono risorse strutturali. «Il messaggio che emerge è: bambole non c’è una lira. Quello che non emerge è che le cose vanno peggio di quanto si dica». Anche altri Paesi stanno male «Da noi c’è un crollo delle entrate molto maggiore di quanto la crisi giustificherebbe, c’è un massiccio aumento dell’evasione soprattutto sull’Iva, c’è una spesa fuori controllo, c’è un debito in aumento del 15 punti in due anni. Nonè vero che la barra è stata tenuta ferma. Nonostante questo c’è l’assenza totale di interventi discrezionali: non mi pare che gli altri stiano così». A questo punto è stato giusto aver detto no a Baldassarri e Brunetta. «In questa vicenda è emerso un conflitto esplicito forte all’interno della destra, in cui Tremonti ha avuto buon gioco facendo il paladino del rigore. In ogni caso quel conflitto mostra tutti i punti deboli del populismo di destra, basato sulla promessa di abbassare le tasse e di eliminare ogni limitazione anche alla spesa pubblica. Questo messaggio teneva insieme il nord e il sud: ma è un messaggio che non regge. Il problema è che la destra non ne ha un altro, e per di più in questi due anni ha perso l’occasione di approfittare della crisi». In che modo? «Già dall’ottobre scorso sia il Nens (il centro studi di Visco e Bersani, ndr) che Bankitalia avevano teorizzato un altro modo di reagire. Cioè, fare un aumento consistente di spese pubbliche una tantum, come un rimborso massiccio dei crediti verso la Pubblica Amministrazione, o la garanzia dei debiti delle imprese virtuose nei confronti delle banche. Contemporaneamente bisognava fare le riforme per ridurre la spesa, come quella sulle pensioni, e introdurre subito gli ammortizzatori sociali. Se si fosse fatto, oggi staremmo molto meglio. Non ci sarebbe affatto più deficit, perché le prospettive di crescita sarebbero state più sostenute. Invece». Invece? «Purtroppo la finestra si è chiusa. Il governo si è impegnato solo a demonizzare l’opposizione, Sacconi a dividere i sindacati. E l’occasione si è persa. Non vedo molti spazi per una nuova politica economica: trovare le risorse è davvero molto difficile senza le riforme avviate e senza una forte lotta all’evasione.A questo punto l’Italia resta poco credibile sui mercati». Anche la pace sociale tanto propagandata da Tremonti sembra frantumarsi: c’è una protesta al giorno. «Certo, perché il conflitto emerge quando a chiudere sono le grandi fabbriche organizzate.Ma già prima c’è stata una ecatombe silenziosa, con i piccoli che sono andati a casa senza fiatare. se si leggono i dati disaggregati sull’occupazione, ci si accorge che a sud c’è una riduzione di forza lavoro perché la gente si rassegna e esce dal mercato, nel resto del Paese molte ore di cig e molti lavoratori con orari o buste paga ridotte. Se si somma tutto questo si arriva al 10% di disoccupazione». Quali prospettive? «Con i modelli di crescita tradizionali l’Italia non va da nessuna parte. Ci sarebbe bisogno di uno sforzo enorme per aumentare la competitività di sistema. Ma partiamo svantaggiati perché ora non c’è più la spinta dell’emergenza e perché il clima che servirebbe, quella coesione tanto invocata, non pare raggiungibile. È il radicalismo e il populismo di destra, l’aggressività e l’insulto innescati nella politica, che sbarrano la strada a qualsiasi intervento condiviso. In una parola: l’ideologismo. C’è un Paese che parla solo di Berlusconi e i suoi problemi: non si pensa ad altro. Ma molto del populismo di destra pesa anche in America, dove per preconcetti ideologici non fanno passare la riforma sanitaria, tenendosi una speranza di vita più bassa. Per questo Obama non riesce a fare quello che riuscì a Roosevelt».
L’Unità 28.11.09
Pubblicato il 28 Novembre 2009