Il Ministro Mariastella Gelmini ha presentato ieri all’Accademia dei Lincei una prima bozza del Programma Nazionale della Ricerca per il quinquennio 2009-2013. Si tratta di una buona notizia in sé. Anche nel merito – malgrado alcune lacune – il piano presenta, a una prima lettura, indubbi aspetti positivi. L’analisi è corretta. Si parla del ritardo italiano sia in termini di investimenti pubblici sia, ancor più, di vocazione per la ricerca del nostro sistema produttivo. Si parla della necessità di colmarlo: puntando sul merito per quanto riguarda la ricerca pubblica e sul cambiamento della specializzazione produttiva per quanto riguarda il sistema economico. Ci sono alcune dimenticanze. Viene sottovalutata l’importanza della ricerca di base o, come si dice oggi, curiosity driven. Non si dice nulla sugli ostacoli che impediscono ai giovani cervelli di altri paesi di venire in Italia. Manel complesso il Programma si muove nella giusta direzione. Il che non è affatto scontato, se solo ci si ricorda dei documenti proposti nei passati governi Berlusconi dal ministro Letizia Moratti. Persino nel metodo l’iniziativa va salutata con (cauta) soddisfazione. Il Programma è stato elaborato da persone competenti non selezionate (troppo) sulla base dell’appartenenza politica. Va a merito del ministro soprattutto il carattere di «apertura» della proposta: il Programma sarà sottoposto alla critica della comunità scientifica ed eventualmente modificato. Detto tutto il bene possibile dell’iniziativa, va però rilevato un difetto strutturale che rende il ProgrammaNazionale della Ricerca 2009-2013 un mero esercizio accademico, privo di ogni utilità pratica: non ha copertura finanziaria. Insomma, il ministro ieri all’Accademia dei Lincei ha finalmente prospettato un matrimonio in grande stile tra la ricerca scientifica e il paese. Un matrimonio essenziale per entrambi. Ha chiamato i giusti officianti. Ha scelto la chiesa giusta. Ha chiamato gran folla per festeggiare le nozze. Ma poi a tavola ha portato solo fichi secchi. In tutto il mondo sia governi progressisti (negli Usa; in Giappone) sia governi conservatori (in Germania, in Francia, in Svezia) stanno aumentando gli investimenti in ricerca e in alta educazione: perché tutti credono che per uscire dalla crisi occorre accelerare l’entrata nella società e nell’economia della conoscenza. Solo in Italia – come denunciano con encomiabile sistematicità il Presidente Giorgio Napolitano e il premio Nobel Rita Levi Montalcini – si verificano tagli sia alla ricerca sia all’alta educazione. E tutto ciò malgrado l’intensità degli investimenti in ricerca del nostro paese sia la metà della media europea, un terzo rispetto a quella Usa,un quarto rispetto al Giappone. Ministro, le parole belle e consapevoli senza fatti concreti non sono solo vuote. Sono la beffa che si accompagna al danno.
L’Unità, 27 novembre 2009