«Sembra la finanziaria del Qatar», sbotta il presidente della Cia, Giuseppe Politi. La Cia non è l’intelligence statunitense, ma la Confederazione italiana agricoltori, e il Qatar è un paese che non ha agricoltura. L’Italia invece ce l’ha ancora, anche se di politiche per sostenerla neanche l’ombra. La crisi del settore ha portato gli agricoltori in piazza, davanti a Montecitorio per chiedere ai deputati di passaggio di riservare al grano anche solo un decimo dell’attenzione riservata ai magistrati e alle norme sui processi. Lo hanno ricordato anche al ministro Zaia, andando a protestare sotto il suo ministero (e già che c’erano a quello dell’Economia poco distante).
LE TRE CARTE
Erano in tremila, secondo gli organizzatori, hanno distribuito latte e mandarini ed esibito cartelli con un’Italia verde incatenata. «L’agricoltura rischia di chiudere -attacca Politi-. Siamo il solo settore che nonhaavuto nessun intervento, anzi ci tolgono i fondi. Nella Finanziaria che stanno per votarenonc’è ancora nulla per il settore primario». Si è fatto con l’agricoltura il solito gioco delle tre carte, eccellenza di questo governo: «Erano stati tagliati 550 milioni di euro all’agricoltura. Successivamente il maxiemendamento approvato dal Senato ha solo mischiato le carte. Sono previste risorse per il Fondo per le calamità ma i soldi sono stati sottratti ad altre voci destinate all’agricoltura ». Una bella partita di giro, «una beffa», preferisce Politi. L’agricoltura è un settore primario perché si parla di cibo, sebbene l’euforia per i biocarburanti abbia prodottounpaio di anni fa una bolla speculativa che su scala mondiale ha portato alla fame milioni di persone e su scala nazionale ha lasciato un settore mobbizzato dagli andamenti finanziari e che sconta distorsioni per certi versi incomprensibili. I prezzi sui campi crollano, quelli alle casse dei supermercati s’impennano. Così se per i mercati un chilo di grano vale solo 14centesimi (a-26%rispetto a un anno fa), il pane al consumatore costa in media 1700% in più. L’Italia produce il 70% del fabbisogno di grano duro (40 milioni di quintali) e il 45% del grano tenero (32 milioni di quintali). Il resto lo importa. Una quota che potrebbe aumentare perché il rischio è che molte aziende chiudano. Per la Cia sono 100mila le imprese destinate a chiudere il prossimo anno se la Finanziaria non interviene. E già quest’anno più di 30 mila aziende hanno chiuso i battenti. «Sarebbe un tracollo senza precedenti con un danno economico: oltre 10 miliardi di euro».«Negli ultimi dieci anni -ha affermato Politi- circa 500 mila imprese agricole, in particolare quelle che operavano in zone di montagna e svantaggiate, hanno chiuso i battenti». È piena emergenza.
PRODUZIONE SOTTOCOSTO
Produrre derrate costa tantissimo, pesano anche i costi contributivi e la burocrazia. Messo accanto alla deriva dei prezzi pagati sui campi, fa una miscela acida che corrode sempre più i redditi dei produttori. «È stato fatto poco o nulla – accusa la Cia – per questo siamo mobilitati in tutta Italia. Vogliamo al più presto risposte, basta promesse». Al governo gli agricoltori chiedono l’apertura di un tavolo, ma soprattutto la dichiarazione dello stato di crisi per il settore in modo da poter rinviare il pagamento di tante scadenze fiscali e contributive.
L’Unità, 26 novembre 2009