ROMA — I conti della previdenza salvati dai precari. Dal bilancio preventivo 2010 dell’Inps, che il consiglio di indirizzo e vigilanza approverà oggi, emerge che il fondo dei «parasubordinati » (collaboratori, amministratori, associati in partecipazione, venditori a domicilio, titolari di borsa di studio) aumenterà ancora il proprio attivo, passando dagli 8 miliardi del 2009 agli 8,3 miliardi previsti per l’anno prossimo mentre peggioreranno i conti di tutte le altre gestioni, principalmente a causa della crisi. L’attivo dei lavoratori dipendenti si ridurrà da 8,1 a 5,8 miliardi (da 3,5 a 2,7 miliardi, al netto della gestione prestazioni temporanee: cassa integrazione, disoccupazione, assegni familiari, maternità, malattia) mentre aumenterà il deficit per i lavoratori autonomi: da 4,9 a 5,2 miliardi quello del fondo dei coltivatori diretti, da 3,7 a 4,2 miliardi quello degli artigiani e da 373 milioni a 702 milioni quello dei commercianti. Completa il quadro il rosso del fondo clero, anche questo in peggioramento: da 111 a 116 milioni.
Alla fine il bilancio d’esercizio Inps 2010 si prevede che chiuda in attivo di 2,8 miliardi, con una diminuzione di 3 miliardi rispetto al 2009 e di quasi quattro rispetto al 2008. Ma il risultato ancora ampiamente positivo è appunto assicurato dai parasubordinati, che pure sono solo 1,6 milioni di lavoratori su un totale di 18,7 milioni di iscritti all’Inps. Il fatto è che i collaboratori pagano ormai un’aliquota non trascurabile, pari al 25,72% (il 17% per quelli iscritti anche ad altri fondi Inps) che salirà al 26,72% dal 2010 e di un altro punto ancora dal 2011. E per il momento non riscuotono pensioni. La gestione parasubordinati fu infatti istituita nel 1995 dalla legge Dini e quindi, come si dice in gergo, non è ancora giunta a maturazione, non ha cioè gli anni di contribuzione sufficienti al pagamento della prestazione.
Sono invece arrivate a maturazione le gestioni di artigiani e commercianti, dove si pagano più di 4 milioni di pensioni (a fronte di 4,4 milioni di iscritti) e le aliquote contributive sono del 20% spesso calcolate su un reddito minimo forfettario fissato in 14.240 euro (per i coltivatori diretti il calcolo si fa invece sulle giornate di lavoro al valore di 47 euro ciascuna). Nonostante il livello dei contributi pagati dai lavoratori autonomi sia molto più basso di quello a carico dei dipendenti (33%) le pensioni medie riscosse non sono molto diverse: 11.116 euro l’importo annuo previsto per il 2010 per i dipendenti, 10.230 euro per gli artigiani, 9.295 per i commercianti, 8.076 per i coltivatori diretti. Anche nella gestione dei dipendenti si trovano però fondi in forte deficit. Il più grave, quello dei dirigenti d’azienda (ex Inpdai), che chiuderà il 2010 in rosso di 3,6 miliardi. In disavanzo anche gli ex fondi speciali: elettrici (2 miliardi), trasporti (1,1 miliardi) e telefonici (961 milioni).
In un sistema a ripartizione come quello attuale, dove le pensioni vengono pagate con i contributi dei lavoratori attivi, le entrate dei parasubordinati sono quindi usate per pagare gli assegni alle categorie che non ce la farebbero con i soli versamenti dei loro iscritti: lavoratori autonomi, dirigenti d’azienda e iscritti agli ex fondi speciali, categorie, queste ultime, che godono di pensioni di tutto rispetto: 49 mila euro l’anno i dirigenti d’azienda, 25 mila i telefonici, 24 mila gli elettrici e 20 mila gli ex lavoratori del fondo trasporti. Insomma una specie di solidarietà alla rovescia tra i precari, molti dei quali rischiano di avere in futuro pensioni da fame, e circa 400 mila anziani benestanti (a tanto arriva la somma dei pensionati dell’ex Inpdai e dei 3 fondi speciali).
Nella relazione del collegio sindacale che accompagna il preventivo 2010, a proposito delle gestioni dei lavoratori autonomi e degli ex fondi confluiti nel fondo lavoratori dipendenti, si ricorda che la legge 88 del 1989 richiede che, in caso di squilibrio dei conti, vengano presi i necessari provvedimenti. O si aumentano i contributi, o si tagliano le prestazioni o si rivedono i requisiti d’età. Altrimenti non resta che la fiscalità generale, cioè più tasse per tutti. O, appunto, la solidarietà alla rovescia.
Il Corriere della Sera, 24 novembre 2009