La vicenda degli 80 milioni di euro destinati all’assunzione di giovani ricercatori universitari, già a disposizione del Governo e che rischiano di essere deliberatamente rispediti nelle casse dell’Economia, ci racconta di un Paese in cui emergono pericolosi segnali di rinuncia verso l’idea stessa di «progetto per il futuro». In cui la tendenza è evidentemente ad abbandonare gli strumenti più avanzati e qualificati per quest’opera (cosa più dei giovani scienziati e intellettuali lo sono?) fino a darne dei segnali espliciti alla società e, in primis, a quelle generazioni in procinto di decidere del loro stesso futuro (e fortemente condizionate dagli scenari che la società prospetta). Riassumiamo: la legge finanziaria 2007 del Governo Prodi (Mussi era il Ministro competente) aveva previsto un piano triennale per l’assunzione di giovani ricercatori; il piano prevedeva 20 milioni di euro per il 2007 (1050 unità in co-finanziamento con le università), 40 milioni per il 2008 (per continuare a finanziare le 1050 del 2007, più altre 1050 del 2008), infine 80 milioni per il 2009 (per 2100 nuove unità oltre al sostegno di quelle 2007 e 2008). Quindi un totale di 4200 unità: un contributo minimo rispetto alle reali esigenze di un Paese evoluto come il nostro e che dista, negli investimenti in questo settore, interi punti di Pil rispetto a quei Paesi che si possono considerare omologhi. Ciononostante, il governo Berlusconi decide di tagliare la quota più consistente di questo piano (almeno fino ad oggi è così!) arrecando anche il danno aggiuntivo di far ricadere sui già miseri contributi universitari la parte di sostegno che veniva erogata per le assunzioni dei due anni precedenti. Le voci che oggi si rincorrono di possibili azioni riparatrici, appaiono di reazione al danno mediatico che ne è conseguito: restiamo comunque in disperata attesa. L’azione diun Governo è il risultato di un impianto strategico generale a cui concorrono le dinamiche tra le diverse competenze in rappresentanza dei differenti settori. Questo episodio indica un fallimento rispetto ad entrambe queste dimensioni. In particolare la mortificazione del ruolo del MIUR (ma vale per molti altri dicasteri) è preoccupante: l’incapacità nel recuperare risorse indispensabili aggiuntive è grave, l’abdicazione nell’impegno di quelle già a disposizione è inaccettabile. Ciò che emerge chiaramente è un quadro desolante, di un Paese misero nella sua ricchezza (abbiamo superato la UK?), quasi completamente assente nella sfida «collettiva» che va condotta per il futuro e a cui vanno dedicate energie, ambizioni e speranze non ordinarie. Il futuro non è semplicemente domani. È cosa pensiamo e progettiamo per domani.
* Osservatorio sulla ricerca
L’Unità, 17 novembre 2009