“Museo Maxxi: un’astronave d’autore per Roma”, di Jolanda Bufalini
Unidentified object, sembra abbia detto Sasha Waltz nel sopralluogo. Un’astronave atterrata a Roma, annunciata dal biancore luminoso delle vetrate. A varcarne l’ingresso dalle colonnine oblique (uno dei passaggi più più impegnativi, racconta Mario Avagnina direttore per l’architettura del cantiere) si attraversa un diaframma temporale verso un mondo sconosciuto, luminoso e fluido. Il MAXXI, museo dell’arte del XXI secolo, firmato da Zaha Hadid, porta con sé il ricordo ancestrale delle cittadelle fortificate del Medio Oriente, con le imponenti mura di due corpi che si incrociano senza toccarsi, le linee curve, il cemento liscio come seta. Ma, come programmaticamente enuncia il nome, catapulta nel futuro e, nel risultato finale, non assomiglia a nulla che sia già conosciuto, con il suo intreccio aereo di scale e passerelle che abbattono le barriere architettoniche. A guardare dall’alto non si capisce se il flusso di gente salga o scenda. E la vertigine (voluta) è in agguato: vetrate aggettanti verso l’esterno, una fenditura all’ultimo piano che, attraverso il vetro, mostra gli spazi molti metri più in basso: sotto mulina la gonna di …