Unidentified object, sembra abbia detto Sasha Waltz nel sopralluogo. Un’astronave atterrata a Roma, annunciata dal biancore luminoso delle vetrate. A varcarne l’ingresso dalle colonnine oblique (uno dei passaggi più più impegnativi, racconta Mario Avagnina direttore per l’architettura del cantiere) si attraversa un diaframma temporale verso un mondo sconosciuto, luminoso e fluido. Il MAXXI, museo dell’arte del XXI secolo, firmato da Zaha Hadid, porta con sé il ricordo ancestrale delle cittadelle fortificate del Medio Oriente, con le imponenti mura di due corpi che si incrociano senza toccarsi, le linee curve, il cemento liscio come seta.
Ma, come programmaticamente enuncia il nome, catapulta nel futuro e, nel risultato finale, non assomiglia a nulla che sia già conosciuto, con il suo intreccio aereo di scale e passerelle che abbattono le barriere architettoniche. A guardare dall’alto non si capisce se il flusso di gente salga o scenda. E la vertigine (voluta) è in agguato: vetrate aggettanti verso l’esterno, una fenditura all’ultimo piano che, attraverso il vetro, mostra gli spazi molti metri più in basso: sotto mulina la gonna di una danzatrice, dervisha rotante. A guardare in alto si svelano in parte i segreti altamente tecnologici: la copertura in vetro, i brisoleil, i teli neri nascosti per oscurare, se necessario, tutto. I binari predisposti per i pannelli da disporre a piacimento nei vasti ma flessibili spazi che ospiteranno, insieme all’arte, l’architettura, secondo l’idea di interculturalità e interdisciplinarità enunciata da Pio Baldi al convegno di due giorni svoltosi all’auditorium di Renzo Piano, a pochi metri di distanza, altro polo della contemporaneità. Mercoledì sera, nell’anteprima di una serata a inviti, Sasha Waltz, la coreografa tedesca erede di Pina Baush, ha vinto una prima volta la scommessa della performing art negli spazi ancora: una catena di corpi maschili si snoda verso l’anfratto dove le pareti sono così vicine da consentire esperimenti di “climbing”.
Un gruppo di Parche dalle chiome fluenti, violinisti e trapezzisti, ad evocare situazioni umane ed epoche diverse. La proposta di Sasha Waltz al MAXXI è venuta da Fabrizio Grifasi, direttore di Romaeuropa Festival e accolta dal presidente della Fondazione Pio Baldi. Lo sviluppo inizialmente immaginato di un percorso che i visitatori/spettatori avrebbero seguito si è tramutato, in ultimo, in una successione di quadri di fronte ai quali liberamente il flusso del pubblico si ferma. Tantissimi gli architetti nella prima serata dedicata agli “addetti ai lavori” e in tanti a chiedersi se l’innovazione espressiva di quest’opera architettonica (è Margherita Guccione ad averla definita così) sarà ospitale con l’arte. Non si vede perché no.
L’Unità 12.11.09
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