«Sono quarant’anni che lotto con il Pci, sto piangendo da ieri sera…». La compagna Elvira ha 67 anni e si sfoga così con il centralinista di Botteghe Oscure. Enrico, un superstite di Cefalonia chiama a Bologna: «Ho un groppo alla gola ma sono con voi». S’è appena aperta la diga e viene giù di tutto: il dolore, il pianto, l’emozione, la rabbia, la curiosità. Toccare il nome del Pci sembra un sacrilegio. In un attimo le storie personali vengono travolte. Ed è commovente vedere come il «popolo comunista» reagisce. In quel 12 novembre dell’89 è avvenuto forse il più grande sussulto popolare che l’Italia ricordi. Era appena crollato il Muro di Berlino. Finiva una storia. Finiva la Storia.
L’azzardo di Occhetto si consuma nel giro di 72 ore. Il 10 novembre è a Berlino dove incontra il leader del Labour Neil Kinnock. Ha appena visto in tv le immagini del Muro in pezzi. A Roma nell’ufficio di Petruccioli ci sono Veltroni, Mussi, D’Alema e Fassino che assistono alla stessa scena. Ognuno pensa che il mondo sta cambiando più velocemente del pensiero. Kinnock chiede a Occhetto: «Il Pci può cambiare nome?». Il segretario risponde per tre volte «è molto difficile». Il giorno dopo Occhetto parla con i membri della segreteria: «Dobbiamo fare qualcosa». Il pomeriggio coglie al volo l’invito del partigiano Michelini che lo vuole la domenica alla Bolognina. Gli dice: guarda che se vengo pongo la questione del nome. Sarà così. Davanti ai partigiani Occhetto dirà citando Gorbaciov: «Dobbiamo inventare strade nuove». Gli unici due giornalisti presenti (tra cui Walter Dondi de l’Unità) gli faranno la domanda che fa mutare il corso della storia: questo lascia presagire anche il cambio del nome? Risposta: «Lascia presagire tutto». È fatta. Petruccioli avverte gli altri della segreteria. Per molti di loro quella tra domenica 12 e lunedì 13 novembre sarà una notte insonne. D’Alema e Veltroni racconteranno di aver litigato con Linda e Flavia, le mogli contrarissime.
La notizia finisce in prima pagina sui giornali internazionali. Entra nelle case, fa piangere e soffrire. Ma c’è anche chi tira un sospiro di sollievo. In quei giorni drammatici, con i centralini presi d’assalto gli occhi sono puntati sui big. Sono con Occhetto Napolitano, Lama, Bufalini, Iotti, Trentin, Chiaromonte, Macaluso. Contro Natta, Tortorella, Pajetta, Cossutta. E Ingrao? Ingrao è in Spagna. Tace. Solo giovedì in Transatlantico dice: «No, non condivido». È un colpo duro per Occhetto che lo aveva avuto accanto al congresso del «nuovo Pci» appena otto mesi prima. Si incrina anche una vecchia amicizia. Ma la svolta travolge tutto. Destini personali, amicizie, persino gli amori. Nelle sezioni va in scena uno psicodramma di massa che Nanni Moretti racconterà nella «Cosa», film documentario emozionante. Si dividono anche gli intellettuali, molti vivranno male la svolta e si prenderanno una battuta cattiva di Mussi: «Per loro il comunismo è come un bambolotto di pezza». Anche nella redazione de l’Unità ci si divide. Il direttore è D’Alema e schiera il giornale con la svolta. Ma il fronte del no è consistente e al primo congresso prenderà più del 40%. In quei giorni di novembre sale la tensione. Il 20 inizia il Comitato Centrale e Botteghe Oscure è assediata dai militanti. L’auto di Lama viene presa a calci. Incitano Ingrao: Pietro, Pietro. Qualcuno lo implora: non spaccare il partito. Si decide di far entrare i militanti e Fassino li affronta. E a chi provocatoriamente gli chiede se lo fa perché ci crede o perché lo pagano, risponde: mi pagano. Il clima è questo. Andrà avanti per quattro giorni alla fine la svolta passa a maggioranza.
Ci vorranno 15 mesi e due congressi per far nascere il Pds. Mesi duri che sfiancano il partito. Al congresso di Bologna a marzo del 1990 la battaglia sarà aspra. Ingrao difenderà il diritto all’«orizzonte comunista» ma la sua mozione otterrà il 30%, quella del segretario il 67%, il 3 andrà a Cossutta. Il Pci è sciolto. Da quel punto in poi si tenterà di contenere il rischio della scissione. D’Alema farà da pontiere. Ma nonostante lui e Bassolino le cose vanno per un altro verso. Un anno dopo a Rimini nasce il Pds. Ma nasce con un incidente: Occhetto non viene eletto segretario perché manca il quorum. È uno schiaffo. Pieno di rabbia il segretario se ne va a Capalbio e tornerà in pista grazie alla «benedizione» di D’Alema. A Rimini avviene anche la scissione: nasce Rifondazione Comunista. Ci sono tutti, tranne Ingrao. Resterà nel Pds altri due anni. Come se avesse dato retta a quel compagno che gli aveva chiesto di «non spaccare il partito».
Il Pds vivrà una storia travagliata: prima la sostituzione di Occhetto con D’Alema nel ‘94, poi la nascita dei Ds, Veltroni, Fassino. E infine la nascita del Pd. Una lunga ricerca di un’identità nuova. Una domanda resta dopo venti anni: le cose per la sinistra italiana potevano andare in un altro modo? Forse, se non avessimo avuto «il peggior partito socialista d’Europa» come dice Gaber nella sua struggente canzone «Qualcuno era comunista». Forse, se alla sua guida non ci fosse stato Bettino Craxi che voleva annientare il Pci.Mala storia non si fa con i se. E la storia alla fine ha condotto i «comunisti» all’ultima svolta: diventare «democratici». Ed è cominciata un’altra prova.
da www.unita.it