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“Giustizia, Fini stoppa Berlusconi: ‘Più rispetto per gli altri poteri'”

Gianfranco Fini marca la propria distanza dall’impostazione che Berlusconi dà alla propria investitura popolare, e soprattutto manifesta la propria contrarietà al nuovo «scudo» per Berlusconi a cui sta lavorando Niccolò Ghedini, vale a dire alla legge che sostanzialmente accorcia i tempi di prescrizione dei reati. Intervistato da Fabio Fazio a «Che tempo che fa», Fini ha sollevato anche dei dubbi sulla reale indipendenza degli attacchi di Vittorio Feltri dallo stesso Berlusconi.

Il presidente della Camera è partito proprio dalla nuova bordata del direttore de «il Giornale», che in un articolo ultimativo, preannuncia che in settimana Berlusconi chiederà a tutti i parlamentari del Pdl di firmare un documento in cui si impegna a votare una legge «scudo» per proteggerlo dai nuovi processi. «Gli autografi si chiedono a Sting non ai deputati», ha detto riferendosi al cantante inglese anch’egli ospite di Fazio. «Il presidente della Camera come tale, poi – ha aggiunto – non firma nulla. I deputati si regolano loro».

Su Feltri, Fini ha prima stemperato la polemica («sono convinto che le volontà che Feltri attribuisce a Berlusconi non sono tali»), salvo poi mettere i puntini sulle i: «Berlusconi sa per certo che Feltri quando spara a palle incatenate nel campo amico danneggia in primo luogo il premier stesso. Il fatto è che lui è l’editore, e questo è quello che non mi quadra». Il problema rimane sempre lo stesso, e cioè il modo in cui Berlusconi intende il Pdl e la sua leadership, «che non può essere una monarchia». «Il Pdl così come è organizzato non mi seduce al 100% – ha detto Fini – Non mi piace la caserma. Vorrei che ci fosse un pò più di rispetto delle opinioni degli altri, anche se queste dovessero apparire eretiche».

La questione poi riguarda non solo l’autorità di Berlusconi nel centrodestra, ma anche nel Paese come Presidente del Consiglio: «Berlusconi ha diritto di governare – ha osservato – glielo hanno dato gli elettori. E deve governare nel pieno rispetto di altri organismi previsti dalla Costituzione», vale a dire «della Corte costituzionale, del Parlamento, del Presidente della Repubblica e della Magistratura».

Inevitabilmente il discorso cade sulla giustizia e sul nuovo «scudo» a cui Ghedini sta lavorando: «è giusto discutere di ciò che nella giustizia non va, compreso l’abnorme lunghezza dei processi», ma questo non significa adottare la strada della cosiddetta prescrizione breve: «Il problema è dare al cittadino danneggiato il diritto di veder tutelata la propria volontà di arrivare a una sentenza. Se con una leggina – ha concluso – si annullano processi, il cittadino che ha già pagato l’avvocato, che si è imbarcato in un processo, quel cittadino si arrabbia». L’ultimo distinguo è sulle candidature per le regionali: alcune di esse «sono inopportune», spiega Fini, anche «se hanno un sacco di votì» perchè questi a volte dipendono «da poteri che non sono trasparenti». Un altolà a Cosentino in Campania, anche se Fini non lo nomina.

La Stampa, 9 novembre 2009

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Berlusconi dà l’ultimatum Fini: non siamo una caserma”, di Ninni Andriolo

Esplicito Feltri: «Chi non ci sta fuori dal Pdl» titolava a tutta pagina il suo “Giornale”. E il catenaccio di prima chiariva l’avvertimento: “Entro mercoledì gli alleati dovranno firmare un documento che li impegna a tutelare il premier dall’offensiva giudiziaria. Se il numero delle adesioni non sarà soddisfacente, dimissioni della maggioranza e nuove elezioni. Quanto a Fini…”. Il messaggio non girava intorno a sottintesi: “i cavallini recalcitranti corrono il pericolo di rimanere fuori squadra”. Conclusione? “Ogni riferimento a Fini e al suo piccolo circo di storditi non è affatto casuale”. Il direttore del Giornale mena fendenti per conto suo, come spiegano sottovoce dal Pdl ostentando una presa di distanze? Cerca “di dare la linea al partito”, in poche parole? “L’ultimatum” di cui parla Feltri, in realtà, non ha provocato alcuna esplicita smentita dalle parti berlusconiane. C’è da desumere, quindi, che il Giornale abbia raccolto umori e notizie di prima mano. Mettendoci sopra magari un buon carico di drammatizzazione. La settimana che si apre, quindi, dovrà essere quella del “redde rationem”. “Decisiva” come l’incontro con Bossi e Fini che dovrebbe tenersi tra giovedì e venerdì per dipanare definitivamente la matassa giustizia-regionali. E il leghista Calderoli, tra l’altro – nel pomeriggio di ieri – spandeva ottimismo su “una soluzione condivisa” vicina “al testo finale”.

Il “ricatto” ha fatto breccia? Gli avvertimenti sono serviti a mettere in mora le ultime resistenze degli alleati? “Tra martedì e mercoledì – leggiamo da Feltri – il premier sottoporrà a tutti gli uomini del suo schieramento un documento sul quale sarà scritto”, in sintesi, «ti impegni o no a superare col tuo voto la grana giudiziaria che minaccia la sopravvivenza del governo e della presidenza del medesimo?». Alla fine “si procederà alla conta” per capire chi sta con Berlusconi e chi no. E “se gli amici saranno tanti, i nemici saranno accompagnati alla porta”, altrimenti si andrà ad elezioni anticipate. L’asino casca sempre sui problemi giudiziari del premier dopo la bocciatura del lodo Alfano, visto che Berlusconi teme una sentenza di condanna che possa metterlo in mora. Da qui l’affannosa ricerca di un salvacondotto d’impunità per il Cavaliere. Il premier, martedì, rientrando in Italia da Berlino – oggi parteciperà alla cerimonia per il ventennale della caduta del Muro – incontrerà ad Arcore gli avvocati per una riunione tecnica su due testi diversi congegnati intorno alla prescrizione del reato. Si rispolvera un vecchio progetto dei senatori diessini Calvi e Fassone e lo si ridisegna a misura dei processi del premier. Se “l’intesa di massima” diventasse definitiva, Berlusconi, Fini e Bossi, poi, potrebbero renderla ufficiale. Sgombrando in campo, così, da uno dei macigni che intralciano la stessa trattativa sulle regionali. Bossi, insieme al Veneto, potrebbe avere un candidato governatore anche in Piemonte. Malgrado il Cavaliere – sondaggi alla mano – consideri il leghista Cota debole rispetto all’attuale governatore, la Pd Bresso. Accordo complessivo con il lasciapassare di Fini? Ieri, intervistato da Fabio Fazio, il presidente della Camera ha ripetuto che non gli piace “la caserma” e nemmeno il Pdl “come è fatto”. Feltri? “Quello che scrive mi lascia indifferente – ha scandito – Mi preoccuperei se alcuni intendimenti attribuiti a Berlusconi fossero veri, ma al momento non ho elementi per pensarlo”. Le firme che annuncia il Giornale? “Gli autografi si chiedono a Sting – ribatteva Fini – Il presidente della Camera non firma nulla, i parlamentari si regolino loro”. Se l’accordo con Bossi e Berlusconi andrà in porto – in effetti – il referendum pro o contro Cavaliere non avrà più ragion d’essere. Ma cercando di salvare le forme si potrà evitare la figuraccia di darla vinta ancora una volta al premier?

L’Unità, 8 novembre 2009

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“Pronta la leggina per la prescrizione dal Cavaliere ultimatum agli alleati”, di Liana Milella
ROMA – La leggina, perfetta come la vorrebbe Berlusconi, è pronta da tempo. Via un quarto della prescrizione per chiudere definitivamente i suoi processi. E in più di nuovo alla Camera l’emendamento alla Finanziaria, dopo il fallito blitz al Senato, per sanare il caso tributario della Mondadori con una mancia del 5% rispetto ai 200 milioni di euro dovuti. Dietro c’è, come al solito, il suo avvocato e super consigliere giuridico Niccolò Ghedini. E lo scontro con il legalista Fini raggiunge l’apice, com’è successo per le intercettazioni e la blocca processi. Berlusconi utilizza il Giornale, che titola “Chi non ci sta, fuori dal Pdl”, esercita una fortissima pressione politica, minaccia di far saltare il tavolo della maggioranza, chiede a Fini e Bossi di sottomettersi e sottoscrivere un accordo di ferro. Vuole vederli tutti e due mercoledì, per un vertice che sia definitivo. Nel quale chiudere la partita della giustizia e delle regionali. Ma Fini non ci sta. Ai suoi dice: “Io di questo vertice non so nulla, nessuno me ne ha parlato”. Disgustato per le pressioni veicolate ancora una volta per il tramite di Vittorio Feltri, stoppa pubblicamente in tv le aspirazioni massime del Cavaliere. Glielo dice chiaramente, niente prescrizione breve, perché “non si può togliere al cittadino il diritto di veder riconosciuto in tribunale, anche dopo anni, se ha ragione o ha torto”.

A Ghedini lo aveva già spiegato Giulia Bongiorno. Ma loro, Ghedini in testa, hanno continuato a insistere. Un braccio di ferro durissimo, andato avanti per giorni e giorni, con pressioni mai pesanti come in questo momento. La via della prescrizione breve calza a pennello per il Cavaliere. Azzera d’un colpo il processo Mills. Riduce da dieci a otto anni il tempo in cui si può perseguire il reato di corruzione. Gli otto anni sono già passati. Quindi, con questa regola, quel processo, che è il più temuto da Berlusconi, è prescritto. Ma la Bongiorno ribatte che sarebbe “un’amnistia mascherata”. Il premier forza la mano. E, nelle stesse ore, al Senato, manovra per inserire la norma a favore di Segrate, per cui due processi tributari che arrivano in Cassazione con due sentenze conformi a favore dell’imputato possono essere chiusi pagando solo il 5 per cento.

Il Cavaliere non vuole sentire ragione stavolta. Vuole stringere un patto di ferro su giustizia e regionali. Comunque. Per questo ipotizza un “papello per la giustizia”, di cui Repubblica scrive già giovedì scorso.

Un “patto di legislatura”, un “documento programmatico che avrà la valenza di un atto notarile”, sottoscritto dal capo del governo con Fini e Bossi, un “atto politico forte” che chiuda una volta per tutte la querelle sullo scudo per anestetizzare i processi milanesi. Dentro c’è la soluzione della prescrizione breve che i finiani hanno già stoppato. Ma lui insiste. Gli saltano i nervi quando scopre che la Bongiorno s’incontra con il ministro Roberto Calderoli e tutti e due si mettono contro la sua soluzione preferita. Al faccia a faccia è presente Aldo Brancher, da sempre uomo di collegamento tra Lega e Berlusconi, che gli riferisce tutto nei dettagli. Per questo salta il vertice di mercoledì scorso con Fini e Bossi, il Cavaliere tenta con Casini, poi affida al Giornale il suo “ultimatum”. Tenterà di forzare di nuovo la mano mercoledì.

Ma Fini lo anticipa e si assume in prima persona la responsabilità di bocciare la soluzione più dura, che salva sì Berlusconi, ma manda al macero centinaia di processi, e su cui il Quirinale ha già pronunciato un secco niet. Apre invece all’ipotesi soft: “Discutiamo della lunghezza abnorme dei processi. Ci sono proposte di legge in Parlamento, anche dell’opposizione”. È il disegno di legge del diessino Fassone, vecchio di due legislature, che inaugura il processo breve, non più di sei anni complessivi, poi l’estinzione. Ghedini non è convinto che questo basti per Berlusconi, tant’è sforna l’ultima sua creatura, una prescrizione ridotta tutte le volte che il processo viene interrotto per una sospensione chiesta dalle parti. Ma Fini ha lanciato il suo messaggio: un’apertura all’esigenza giudiziaria del capo del governo (“I suoi processi sono cominciati quando è entrato in politica”), ma l’indicazione netta di una strada da percorrere, il processo breve, che tutti i cittadini potrebbero anche condividere.

La Repubblica, 9 novembre 2009