«Andate via», urla il guardiano uscito da un casotto prefabbricato, in cima a un’altura. Non sono le tombe di Tuvixeddu che sorveglia, i duemila sepolcri che vanno dall’età punica a quella imperiale, ma i cantieri disseminati in quest’area archeologica fra le più pregiate del Mediterraneo. A Tuvixeddu si costruisce. Le prime palazzine nella necropoli stanno sorgendo lungo via Is Maglias. Sono edifici di sei piani, un assaggio della colata di cemento che potrebbe sversarsi intorno alla collina che si erge nel cuore della città. Annullati dal Consiglio di Stato i vincoli che la giunta regionale di Renato Soru aveva imposto, gli edifici vengono su a poche decine di metri dal punto in cui si concentra la maggior parte delle sepolture, in una zona compresa nell’area archeologica, dove gli studiosi ritengono possano esserci altre sepolture, che resterebbero per sempre inesplorate.
Il guardiano caccia chiunque si avvicini. Come se le tombe non fossero un oggetto degno di visita. In totale i metri cubi previsti fra Tuvixeddu e il colle alle sue spalle, Tuvumannu, sono 260mila, grosso modo una cinquantina di palazzi. Un quartiere residenziale con vista su una delle pochissime sopravvivenze di archeologia punica, che finirebbe assediata e che invece respirerebbe, come insegna l’abc della valorizzazione, se fosse circondata da una zona di rispetto. Senza palazzi e senza niente. Solo brani di quel paesaggio aspro, ma ricco di una vegetazione che sfoggia orchidee, fichi d’india e piante di capperi.
Tuvixeddu è vilipesa da anni, trasformata in una discarica. Vi si accede intrufolandosi fra i palazzi, senza un accesso, senza un’indicazione, attraverso una rampa che da via sant’Avendrace sbuca in un cementificio abbandonato. E da qui ci si arrampica, fino a che non spunta il guardiano. La necropoli sembra un corpo estraneo alla città, poco conosciuto, mal tollerato. Oltre alle case, in fondo alla stretta gola di un canyon che sta ai bordi della collina, una specie di spettacolare fiordo senz’acqua, scorrerà una strada a due corsie che aggirerà la necropoli e si infilerà in un tunnel. La collina fu scelta come luogo di sepoltura nel VI secolo a. C., dopo la conquista della Sardegna da parte dei cartaginesi. E venne usata fino ai primi secoli dopo Cristo. L’altura sorge di fronte allo stagno di Santa Gilla, luogo delicatissimo oltre il quale c’è il mare. Ma di questo affaccio non si conserverà traccia, dato che fra il colle e lo stagno stanno ergendosi altri tre edifici che sfiorano i 500mila metri cubi e che occluderanno la vista del mare da Tuvixeddu e di Tuvixeddu dal mare.
All’assedio dei palazzi si oppone la Direzione regionale dei beni culturali, retta da Elio Garzillo. Si sono mobilitati intellettuali come lo scrittore Giorgio Todde e archeologi come Simonetta Angiolillo, Alfonso Stiglitz e Giovanni Lilliu. In prima fila Maria Paola Morittu di Italia Nostra, e Legambiente. Sono venuti a Cagliari gli inviati del Times e della Süddeutsche Zeitung. Ma gli strumenti a disposizione di chi difende Tuvixeddu non sono tanti. Nell’agosto del 2008 il Consiglio di Stato ha bocciato il vincolo della Regione e il Comune di Cagliari (che è sempre stato favorevole alla lottizzazione, sostenendo che in cambio delle case sarebbe stato realizzato un parco archeologico) ha rilasciato i nullaosta per costruire. Nullaosta a loro volta cancellati dall’allora soprintendente Fausto Martino. Ma contro questo provvedimento è stato presentato ricorso al Tar da parte dei costruttori. E il Tar ha dato loro ragione. Per novembre si attende la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, che potrebbe dare il via libera alle edificazioni. Con il rischio che altre tombe facciano la fine delle quattrocento sepolture trovate dagli operai che lavoravano alle fondazioni di una mezza dozzina di edifici sorti nel 2000. Quelle tombe vennero segnalate, catalogate e poi seppellite per sempre da migliaia di metri cubi di cemento.
La Repubblica 02.11.09
1 Commento