Quel video è un reportage di guerra e a ciò che esso mostra bisognerebbe rispondere come ad un atto di guerra. Il sangue sparso da camorra, mafia o ’ndrangheta è una guerra, non meno dell’11 settembre a New York, dell’Afghanistan o dell’Iraq. Nelle guerre tradizionali è più facile combattere il nemico; queste potenze criminali non hanno un preciso esercito su cui si possa sparare né una capitale che si possa bombardare e che meriterebbe di essere rasa al suolo ben più delle città tedesche durante il secondo conflitto mondiale. Il terrorismo degli anni Settanta era una perniciosa influenza, che si è potuta stroncare; mafia e camorra sono un cancro, che s’insinua negli organi del corpo che lo combatte, mescolandosi con esso e mimetizzandosi, sì da essere difficilmente individuabile ed estirpabile.
L’attacco continuato e ininterrotto delle multinazionali del crimine dovrebbe essere considerato un’emergenza di guerra, come l’invasione di un’armata nemica, e dovrebbe essere ai primi posti nelle preoccupazioni del Paese. Sarebbe bene se i giornali pubblicassero ogni giorno l’elenco dei caduti, un vero bollettino bellico.
Sembra talora invece prevalere un senso di rassegnata fatalità, una tendenza a considerare questo tumore ineliminabile, tutt’al più a contenerlo; o addirittura emerge la tentazione di adoperarlo, di servirsene, venendo dunque a patti con esso. Combatterlo è certo difficilissimo; forse si potrebbe colpire con più spietata durezza la manovalanza del crimine, i picciotti meno protetti dei loro capi ma che costituiscono il fecondo humus in cui questi ultimi crescono. La Chiesa, che ha certo ripetutamente condannato e implicitamente scomunicato gli affiliati a tali organizzazioni criminali, potrebbe pronunciare ad alta voce una scomunica ufficiale e specifica, come a suo tempo nei confronti dei comunisti, memore che il linguaggio religioso sa anche, quando è il caso, maledire e che Dio — la Bibbia insegna — è sì misericordioso ma anche terribile e talora vomita e stermina il malvagio. In ogni caso, è una guerra, una guerra che forse non ci si vuole accorgere di avere sostanzialmente perduto.
dal Corriere della Sera