Lo scontro di potere in atto a destra ha aperto intorno alla politica economica del Governo un dibattito a lungo negato al Parlamento e all’opinione pubblica. Due le domande di fondo: l’Italia, dato l’enorme debito pubblico, può permettersi una politica economica anti-crisi? Data una risposta positiva, quali sono le misure adeguate? L’Italia non solo può permettersi,ma ha urgenza di una politica anti-crisi per sostenere le migliori energie del lavoro e dell’ impresa ed evitare il peggioramento del quadro di finanza pubblica. Attenzione però. La politica anti- crisi è utile ad una condizione: deve essere parte di una strategia riformista per innalzare la crescita potenziale del Paese. Soltanto a fronte di una intensa crescita il debito pubblico italiano diventa sostenibile. Il Governo, invece, confidando in una crisi di breve durata, ha scelto il rigorismo senza riforme: no alle riforme, no a misure anti- crisi, a parte il surrettizio, iniquo ed inefficiente allentamento del contrasto all’evasione fiscale. Perché il Governo non fa le riforme? Per ragioni culturali e politiche. Larga parte delle classi dirigenti italiane, in particolare della borghesia produttiva, per antica insicurezza di status, per inaffidabilità della politica e per miopia corporativa, vuole giocare nei mercati globali solo sulla competizione di costo: taglio delle retribuzioni (vedi sotto-indicizzazione sistematica disposta dall’accordo sul modello contrattuale) o delle imposte per finanziare lo stato sociale (vedi richiesta di eliminazione dell’Irap), comunque salario indiretto dei lavoratori. I risultati del rigorismo senza riforme sono sotto gli occhi di tutti: un forte peggioramento del debito pubblico senza alcun effetto positivo sull’economia reale; un condono fiscale immorale; la prospettiva di un altro condono tombale. La linea non regge ai morsi della crisi. Le elezioni regionali sono alle porte. Così, il PdL propone una ricetta peggiore: il lassismo senza riforme. Così, si apre sull’Irap un conflitto senza senso. È retaggio di un’eterna cultura assistenzialistica rimuovere, proposta del sen Baldassarri, importanti agevolazioni selettive alle imprese per dare quattro spiccioli a tutti. È frutto di imperdonabile ignoranza cancellare un’imposta efficiente invece che imposte distorsive (su www.nens. it le brevi note di alcuni dei migliori scienziati delle finanze italiani). Soprattutto, è riflesso di ideologico populismo supply side insistere,come fanno i Giavazzi ed i Tabellini, sulla riduzione dei costi di produzione, quando siamo di fronte ovunque ad un crollo dei consumi del settore privato. La competizione di costo per tentare di catturare o conservare una fetta di domanda globale anemica è una scorciatoia illusoria. In Europa, la corsa avviata delle Destre alla svalutazione reale, via tagli alle imposte sulle imprese (Francia e Germania) o alle retribuzioni (Italia) è molto pericolosa. Porta a sbattere, come haricordato il prof Monti in un’intervista al Financial Times.Èl’opposto di quanto firmato a Pittsburg dai G20. Minaccia il mercato unico ed allontana ancora di più l’unica exit strategy possibile: una politica di bilancio comune, finanziata dall’emissione di Eurobonds, per sostenere investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali. L’intervento europeo è pura utopia, si dice. Non è vero. È un obiettivo raggiungibile da classi dirigenti consapevoli che è in corso una lunga ed accidentata transizione geo-economica e geo-politica, non una crisi congiunturale. Tuttavia, è vero che chi sente la sopravvivenza a rischio non può aspettare. Allora, il sostegno alla domandadeve partire a livello nazionale. A tal fine, noi dovremmo concentrare le poche risorse disponibili su quattro obiettivi: alleggerire il carico Irpef sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione; allentare il Patto di Stabilità Interno sulla spesa per investimenti di Comuni e Province; potenziare i crediti di imposta per le imprese più innovative e dinamiche e la dote per Industria 2015; saldare almeno una parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese attraverso anticipazioni di Cassa Depositi e Prestiti. Nell’orizzonte temporale del DPEF, la copertura degli oneri di finanza pubblica va trovata nelle maggiori entrate e minori spese determinate dalle riforme strutturali e dagli interventi di politica industriale. Insomma, per rendere sostenibile il debito dobbiamo tornare a crescere. Per tornare a crescere dobbiamo avere il coraggio politico delle riforme.
L’Unità, 28 ottobre 2009