“Questa è la mia lettera al mondo, che non ha mai scritto a me”, dice la poetessa Emily Dickinson.
E’ una frase che riassume la storia delle donne, una storia di paludi di dolore attraversate, di umiliazioni, miserie, violenze.
Ma una storia fatta di riscossa, di forza e di vittoria della dignità sulla sopraffazione.
Una storia che ci parla quotidianamente di libertà, della libertà femminile come strada per la libertà di tutti.
Ed è proprio dalla libertà che voglio iniziare un discorso che per me è un dialogo con le donne italiane.
Per dirvi:noi ci siamo, il Partito Democratico ha a cuore il vostro presente e il vostro futuro.
Non vi lasceremo mai più sole ad affrontare le prove tremende di un tempo pesante.
Il lavoro che manca.
I problemi della fine del mese.
I figli che avete, o che vorreste avere, e che una società sorda non sa accogliere.
L’immensa fatica quotidiana per tenere assieme affetti, famiglia, lavoro, tempo per sé.
Già, il tempo che vi manca sempre.
E allora correte, correte tutto il giorno e la sera non avete neanche un minuto per pensare a voi, perché la stanchezza è tanta.
E il giorno dopo è già lì che vi aspetta, coi suoi affanni, le sue felicità rubate, i desideri e le delusioni.
Le donne italiane secondo i dati ONU sono le donne che lavorano di più al mondo, fra lavoro di cura e lavoro per il mercato.
Ma quanti, nella nostra politica e nella società sono disponibili a trarre le conseguenze di questo dato?
Non parlo di fredde statistiche, ma di carne e sangue, di vite vere, di tempo che passa in una società come quella italiana che preferisce non vedere, non sapere e non fare.
Eppure se le donne italiane si fermassero anche solo per un giorno l’intero paese si fermerebbe, attonito.
E non solo perché molte camicie di molti uomini non sarebbero stirate, non solo perché tanti bambini non avrebbero nessuno che li accompagna a scuola, e i frigoriferi sarebbero vuoti, e i fornelli spenti.
L’Italia si bloccherebbe perché le donne svolgono un ruolo di supplenza nell’assistenza agli anziani, alle persone con disabilità.
Sostituiscono servizi sociali che mancano, servizi educativi ridotti allo stremo.
Perché le donne tengono in piedi quella piramide del lavoro che le vede in tante nei livelli più bassi e in poche, pochissime nei livelli alti.
E’ qualcosa di più di un’ingiustizia da riparare.
E’ ora che si riconosca valore sociale alle capacità femminili.
E’ ora che il nostro paese si apra alla creatività e alla responsabilità delle donne.
In tante in questi mesi mi avete parlato di voi, dei vostri progetti, delle vostre ambizioni, e della paura di non farcela, o della preoccupazione per il futuro dei vostri figli, per la prima volta più incerto di quello dei genitori.
Le più giovani mi hanno detto dell’entusiasmo nello studio, dei successi formativi, della cultura come leva di libertà.
Ma mette paura, provoca angoscia il divario fra le ambizioni, le aspettative di una vita tutta ancora da
scrivere e i primi cocenti insuccessi, le prime delusioni.
Il lavoro precario, quei 1000 euro al mese che non consentono di vivere da sole, o di farsi una famiglia, e gli asili nido che non ci sono.
Come può farcela una giovane donna?
E poi quel datore di lavoro che chiede di firmare la lettera che impegna a non diventare madri, e la scelta terribile fra affetti e lavoro, fra l’amore e la sopravvivenza materiale.
Non è questa la vita che le madri avevano pensato per le figlie, quando combattevano per il nuovo diritto di famiglia.
Per la parità nel lavoro, per uguale salario a parità di mansioni.
Sono le madri della Repubblica, a cui tutti dobbiamo moltissimo.
Sono le madri costituenti, che hanno saputo guardare avanti, nell’Italia sofferente e speranzosa del dopoguerra.
E voglio dire Grazie a Nilde Iotti, a Tina Anselmi, a Giglia Tedesco, a Maria Eletta Martini, alle migliaia di donne senza nome che hanno fatto la storia dell’Italia democratica e antifascista.
Grazie per la vostra capacità di resistere nella guerra di liberazione, grazie per le battaglie nella Costituente, grazie perché avete unito le donne italiane in battaglie comuni, che hanno reso l’Italia un paese moderno è più uguale.
Grandi battaglie di un glorioso passato, diranno i cinici della politica.
Ebbene io penso invece che nessun diritto, nessuna conquista ci è data per sempre.
Serve il coraggio di ricominciare, giorno dopo giorno, a ricostruire una rete di diritti diffusi e riconosciuti.
Serve l’abilità di tessere, che è tipica delle donne, con tenacia, una nuova trama della crescita dell’Italia.
A partire dalla grande questione del lavoro delle donne.
Siamo fra i paesi europei con il più alto differenziale salariale fra uomini e donne, a parità di mansione.
Vuol dire che il lavoro è uguale, ma una donna è pagata di meno.
Sembra impossibile, ma è così, in particolare in larga parte del Sud e nel ricco nord est del paese.
Le donne lavorano di più, vogliono lavorare e non solo per il reddito, ma anche per la costruzione del loro progetto di vita.
Ma molte donne non trovano lavoro, o lo trovano precario.
Molte altre finiscono nel part time che molto spesso interrompe i percorsi di carriera, non per scelta ma per
occuparsi dei figli o degli anziani in famiglia.
Altre finiscono nell’illegalità o nel lavoro nero.
Altre ancora rinunciano, sfinite da insuccessi e frustrazioni.
Sarebbe questa la piena occupazione di cui si parla tanto frequentemente?
Non è arrivato forse il momento di togliere il velo di ipocrisia e dire le cose come stanno?
Il momento è ora.
Lo dico al governo: per uscire dalla crisi l’Italia ha bisogno delle donne, del loro lavoro, dei loro talenti.
Serve un piano nazionale straordinario per il lavoro delle donne.
Incentivi alla formazione permanente, incentivi alle imprese per l’assunzione di lavoratrici, sgravi fiscali per favorire la stabilità del lavoro, perché la flessibilità non diventi precarietà.
Nuove regole contrattuali e di organizzazione del lavoro per aprire alle donne i percorsi di carriera, nel privato e nel pubblico.
Adeguamento alle normative europee a cominciare dalla parità salariale, prima della questione dell’età pensionabile, non si può cominciare dal punto più difficile.
Congedi parentali finanziati e rivolti anche agli uomini, perché si è madri, ma dobbiamo cominciare a prenderci la responsabilità di essere padri.
Allentare il patto di stabilità perché i comuni possano aprire nuovi asili nido, essenziali per il lavoro dei genitori e, aggiungo, importanti per i bambini, nella fase più delicata dell’esistenza e della crescita.
E allentarlo, quel patto, perché gli enti locali riprendano a diffondere nel territorio servizi sociali, per i diversamente abili, per le persone che soffrono del dolore dell’anima, per gli anziani non autosufficienti, e per gli anziani che vogliono ancora sentirsi utili, anche in collaborazione con il privato sociale di cui il nostro paese è ricco.
Questo serve alle donne e all’Italia.
Per smetterla di nascondere la realtà di una crisi di cui le donne pagano il prezzo più alto: le ultime ad entrare, le prime ad uscire.
Mi sono chiesto, da uomo, se non sia arrivata l’ora di parlare da uomini.
Se non sia giusto interrogarci sul perché teniamo ancora salda nelle nostre fragili mani la leva del potere economico sociale, politico e civile, e accampiamo la pretesa di rappresentare il tutto, noi che del tutto siamo solo una parte, neanche quella più grande.
Non mi sono ancora dato una risposta convincente, ma di due cose sono sicuro.
La prima è che dovremo far entrare nella scena del dibattito pubblico il tema dell’identità maschile in mutamento e un po’ in crisi.
Perché dello stereotipo uomini veri, uomini forti che non devono chiedere mai niente a nessuno, si può anche morire.
La seconda è che la ricerca va fatta insieme a voi.
Gli uomini hanno bisogno delle donne per capirsi e per cambiare.
La divisione del lavoro domestico in Italia è per il 70% delle donne e solo per il restante 30% degli uomini.
Non si tratta solo di contare il tempo che si dedica alla famiglia e alla casa, benché anche questo concorra, ma di mescolare i ruoli, e capire che una famiglia che parte da due deve essere vissuta da due.
I tempi sono cambiati, e anche le famiglie.
Penso che un giovane uomo oggi abbia più voglia di suo padre di essere protagonista della cura degli affetti, che possa essere più sensibile alla giustizia della quotidianità, e sia più portato a vivere davvero il valore delle pari opportunità.
Anche per questo dobbiamo dare fiducia alle donne e ai giovani e spalancare le finestre delle nostre case al vento dolce della parità.
Se ne esce insieme soltanto se si cresce insieme.
Aiutateci a intraprendere il cammino verso la libertà, voi che avete affermato la vostra differenza come un valore.
E avete fatto capire al mondo che le differenze sono ricchezze, e che si può convivere fra diversi, e
affermare diritti universali partendo da diverse culture ed esistenze.
Voi che combattete ogni giorno contro volgarità e concezioni arcaiche, contro immagini che vi dipingono tanto diverse da ciò che siete.
E’ il tema della libertà civile dell’Italia, una posta in gioco altissima, che ci passa davanti senza che quasi ce ne accorgiamo.
Oggi più che mai essa passa dalla libertà delle donne, misura della civiltà di una nazione.
L’uso del corpo delle donne è giunto a livelli insopportabili.
Le nostre città sono piene di immagini che esibiscono donne eternamente nude e giovani, d’estate e d’inverno.
La televisione propone nella crescente spazzatura corpi femminili come oggetti.
Donne come oggetto di largo consumo: è il modello che sta viziando e inquinando la nostra cultura. Che domina in tv e sulle copertine di settimanali a larga tiratura.
E’ il modello patinato dell’Italia berlusconiana, che usa le donne e le getta. E poi si autoassolve con un ammiccamento. Perché nessuno è un santo. E perché così fan tutti. O tutti vorrebbero fare così.
Corpi come privi di anima, che fanno sognare ad adolescenti infelici una vita da veline come massima ambizione. E sono le vittime, non le colpevoli.
Oppure ci parlano di un mondo femminile che ha poco a che fare con la vita di tutti i giorni, fatto di intrighi, di tradimenti, di valori mercantili, di consumatrici di sentimenti e di vestiti.
Oppure tacciono, più semplicemente, la realtà, scelgono di non raccontare la storia vera delle donne italiane, speranze, condizioni, vittorie e sconfitte.
Ecco la mia proposta: faccia il una legge antisessista, che sanzioni i comportamenti contro la dignità delle donne, a partire dai media e dalla carta stampata.
Certo, ognuno dovrebbe fare la sua parte.
Penso alla politica. Penso per esempio che la selezione delle classi dirigenti di un paese sia un lavoro davvero importante e delicato
Possono essere la lunghezza delle gambe o il colore degli occhi, o la propensione alla seduttività requisiti essenziali, e in qualche caso gli unici per qualificare la presenza delle donne nelle istituzioni?
Non dovrebbe valere il principio liberale delle capacità intellettuali e dell’onestà come prerequisiti dell’etica pubblica?
Ebbene. Se chi ha offeso le donne non sente di scusarsi per come le ha trattate, per come continua a trattarle, lo faccio io.
Io vi chiedo scusa. A nome di tutti gli uomini di questo paese.
Chiedo scusa per non esserci opposti con sufficiente consapevolezza e forza a questa deriva volgare e offensiva della dignità di tutte le donne italiane.
Sul corpo delle donne in tutto il mondo si sta combattendo una delle più grandi battaglie della storia dell’umanità: la libertà e la dignità contro la violenza e i fondamentalismi.
In una parte grande del pianeta le donne lottano contro la fame, la sete, le malattie, la povertà, l’analfabetismo.
Si ribellano alla barbarie delle mutilazioni genitali, ancestrale forma di dominio sul corpo e sul piacere, ipoteca sulla riproduzione, che è e rimane il potere femminile più detestato dagli uomini che si credono padroni delle donne.
In molte parti della Terra le donne combattono per la democrazia, per la libertà del loro paese, e pagano con il carcere e le torture, talvolta con la vita.
In tutto il mondo troppe donne devono lottare ogni giorno contro l’umiliazione della vostra dignità, contro quella violenza sessuale che fa più morti del cancro e degli incidenti stradali, e che si annida nel segreto della famiglia, in un silenzio carico di colpa, di impotenza, di paura.
Quella stessa paura che accompagna tante donne quando tornano a casa di notte, o nella solitudine delle periferie delle città, nel buio di strade così poco amiche.
Una paura che fa diventare diffidenti, che suscita inquietudine, che fa chiudere in se stessi.
Che fa votare per chi alimenta questa paura per incassare qualche voto in più.
Servono allora tante cose. Ma innanzitutto serve una scuola che educhi al rispetto, alla sessualità responsabile, alla non violenza. Servono città amiche delle donne
E forze dell’ordine messe in condizione di lavorare.
E famiglie in cui ci sia più dialogo e meno indifferenza.
I diritti delle donne sono diritti umani universali, recita la risoluzione finale della Conferenza di Pechino dell’ONU.
I fondamentalismi violano il dettato internazionale.
Quando si confonde la tradizione con la religione, quando un’etica vuole prevalere sulle altre, quando si
rinuncia al pluralismo, quando ideologie e religioni intendono intromettersi nella vita delle istituzioni si viola il principio della laicità, cuore degli stati democratici moderni, fondamento della nostra Costituzione repubblicana.
Le donne pagano di più, perché è la loro libertà che viene messa maggiormente in discussione: maternità libera e responsabile, metodiche meno invasive per il corpo delle donne nella scelta dolorosa di interrompere la gravidanza o in quella assai impervia di volere un figlio e non potere averlo sono banchi di prova per la laicità.
Sto parlano di questioni assai delicate, di drammi umani, di un confine labile fra le possibilità della scienza e la coscienza individuale.
Continuo a essere convinto che si debbano scegliere le strade meno dolorose e punitive per le donne, e che nessuno possa imporre divieti etici alle leggi, ma che si debba agire con responsabilità e senso del limite. Questo devono farlo il legislatore e gli organismi preposti alla stesura dei regolamenti in campo sanitario.
Un’Italia moderna è un’Italia in cui i diritti civili abbiano patria.
Vi chiedo ospitalità, mentre parlo con voi di voi, per poter aprire una finestra sull’omofobia, un comportamento odioso, purtroppo non ancora iscritto fra i reati, grazie alla destra che ha affossato col voto in aula alla camera un provvedimento che pareva essere condiviso, condiviso a parole.
E’ stata un’altra pagina nera per la vita civile italiana.
E non solo per chi in quanto omosessuale è soggetto a violenze verbali e fisiche, fatto di per sé già gravissimo, paragonabile al razzismo.
E’ un problema che riguarda l’intera comunità italiana, perché parliamo di persone e di diritti di cittadinanza, non del problema di una minoranza.
Tutti dobbiamo farcene carico.
Per questo il Partito Democratico ha presentato subito una nuova proposta di legge contro l’omofobia.
Ci batteremo perché venga discussa e approvata nel minore tempo possibile in Parlamento.
La civiltà dei rapporti fra esseri umani non ammette ulteriori ritardi.
Anche in questo caso la storia del movimento delle donne ci indica la strada più giusta, anche se difficile: battersi contro il conformismo dilagante, contro il perbenismo e la doppia verità, quella pubblica e quella privata, andare avanti contro ogni evidenza.
Sperare, e vincere.
E voi, donne dell’oggi avete un compito immane, quello di risvegliare il nostro Paese da torpore in cui è immerso da molto, troppo tempo, dall’aver dimenticato i valori fondamentali della società.
Certo, la politica non ha dato il meglio in questa direzione, anzi direi che è stata al limite della connivenza.
Quanti silenzi, troppi, sulla mancanza di legalità in intere parti del paese.
Quanta indifferenza sulla questione morale, sull’elezione di personaggi con troppe ombre intorno, sulla commistione fra affari e politica.
E quanti errori abbiamo commesso anche noi, allontanandoci progressivamente dall’ascolto del paese reale, troppo presi a litigare fra di noi, chiusi nell’illusione di bastare a noi stessi.
Nessuno basta a se stesso, nel mondo grande e terribile in cui viviamo.
Ognuno di noi ha bisogno dell’altro, anche se l’altro ci infastidisce, perché domanda, non si accontenta, ci costringe ad uscire dall’indifferenza, a guardarci allo specchio.
E allora è successo che siamo diventati stranieri a noi stessi, ci siamo persi.
Voglio che ci ritroviamo nella curiosità di conoscere il mondo attorno a noi, di saperlo leggere, capire, rappresentare.
Voglio che la politica, la nostra politica torni ad essere affascinante per ciò che propone e per le coerenze con cui agisce.
Voglio che voi, donne di questo paese, ritorniate a volerci bene, a riconoscerci come un luogo di speranza, come una comunità aperta di uomini e donne che aspirano ad una società più giusta.
Un mondo in cui libertà e uguaglianza non siano frutto di privilegi sociali, ma una condizione che vive nelle pari opportunità per tutti.
Sbaglia chi pensa che la politica sia fatta solo di ragione.
Certo, la razionalità è importante, decisiva per decidere.
Ma sentimenti e valori sono una dimensione della politica moderna, non possiamo chiuderli in un cassetto in attesa di tempi migliori. Potrebbero ammuffire.
Questo è il Partito Democratico che voglio che cresca per cambiare l’Italia e farla tornare grande e stimata nel mondo.
Per farlo abbiamo bisogno della vostra energia, della vostra vitalità e della vostra intelligenza.
Abbiamo bisogno di sentire la vostra voce levarsi contro l’ingiustizia, per costruire convivenza.
Abbiamo bisogno che siate più numerose nei luoghi del potere, nei posti di guida del partito.
Per cambiare il potere, renderlo più umano, più trasparente, più vicino alle persone e alle loro domande.
E’ tempo che ritorni la discussione su una legge che riequilibri la rappresentanza fra uomini e donne nella vita pubblica, a partire dalle istituzioni nazionali e locali.
Ma è anche tempo che torni ad essere visibile un progetto politico delle donne del Partito Democratio; donne organizzate e forti all’interno del Partito, che ci aiuti ad essere credibili perché concreti, competenti e appassionati.
Come sapete, ieri ho annunciato ed è qui con me stamattina che sarà mio vicesegretario Jean Leonard Touadì, che è un intellettuale straordinario ed è la prova di cosa può voler dire e di cosa può essere una società multietnica, una società non impaurita dal futuro ma che invece decide di investire sulla bellezza delle diversità, sulle bellezze di una società non chiusa, non impaurita e in difesa di se stessa, ma che invece ha voglia e coraggio di entrare nel futuro.
E poi l’ho detto anche ieri e lo ribadisco ora che dato che il nostro statuto stabilisce che i vicesegretari siano due, ci sarà un secondo vice: una donna, che sceglieranno con me le donne del Pd.
In politica, come si dice, bisogna crederci.
E bisogna essere in tanti.
La partecipazione è un valore nell’era della comunicazione in tempo reale.
So che non volete restare spettatrici di uno spettacolo deciso sempre da altri, che alla fine decidono per noi.
So che pensate che essere cittadine è un diritto che implica la responsabilità del dovere civile.
So che voi, le donne italiane, nel vostro cuore avete ancora la speranza. Prendete nelle vostre mani il destino, con il coraggio della vostra storia, la vostra creatività, la forza della vostra tenace pazienza per combattere. Usate i vostri talenti.
Questo è il vostro secolo, il secolo delle donne.
Per ogni scelta, ogni giorno nel lavoro le figlie, le madri, le nonne faticano il doppio di noi, come se mentre noi camminiamo in pianura, voi foste sempre ad una infinita dura salita.
E’ arrivato il tempo di cambiare.
Ha scritto un poeta arabo:
“Ogni volta che dirigo lo sguardo verso un punto
Cavalco la speranza e dimentico la prudenza”.
Ecco, non è il tempo della prudenza.
La speranza ha bisogno di coraggio.
Del vostro coraggio di donne libere.
Adesso.
Palermo, 23 ottobre 2009