Difende le sue dichiarazioni (“Ho detto che preferisco il lavoro fisso, mi sembrava una cosa scontata”) e nel frattempo incassa la solidarietà del premier Berlusconi (“Confermo la mia completa sintonia a Tremonti, per noi il posto di lavoro fisso è un valore”) e di parte del mondo sindacale, Bonanni in testa (“Un’economia come quella italiana retta soprattutto dalla manifattura deve poter contare su lavoratori stabili, soddisfatti e ben remunerati”). Per Brunetta, Sacconi e Marcegaglia “è un’impossibile ritorno al passato”. Intanto arriva la doccia fredda dell’Istat: gli ordini alle fabbriche sono diminuiti del 27,5% rispetto all’anno scorso.
A margine dell’Ecofin che si è tenuto in Lussemburgo, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti sembra quasi stupito del polverone che si è alzato dopo la sua difesa del posto di lavoro fisso: “Se uno mi chiede se preferisce stare al caldo o stare al freddo, io preferisco stare al caldo”, ha spiegato il titolare del dicastero di via XX Settembre. “L’ho scritto – dice – anche nel mio libro di due anni fa. Detto questo, non è che quando uno dice così difende chi non lavora. Siccome il lavoro non fisso fa parte del mondo portato dalla globalizzazione, è bene che ci siano leggi che lo definiscono. La legge Treu ha portato sul lavoro precario una stabilità che io condivido assolutamente”. “Non sono un fanatico darwinista sociale, da sempre sostengo che lo Stato deve correggere, deve rendere meno gravose le forme della precarietà” ha aggiunto il ministro, sottolineando che anche in un paese come l’America “ora si cerca la stabilità”.
Il copione pirandelliano vuole che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si schieri in difesa del suo ministro, sottolineando come “la polemica della sinistra sulle dichiarazioni di Tremonti e sul posto fisso” sia “l’ennesima conferma della malafede di molti esponenti della sinistra”.
“Per noi, come dimostrano i provvedimenti presi in questi mesi a tutela dell’occupazione, è del tutto evidente che il posto fisso è un valore e non un disvalore”. Così come sono un ‘valore’ “le cosiddette partite Iva. Il governo è a fianco dei milioni di italiani che lavorano come collaboratori dipendenti così come è a fianco di milioni di italiani che intraprendono, rischiano e producono ricchezza per sé e per i loro collaboratori, nell’interesse dell’Italia. Il governo lavora per una società fatta di libertà, di sviluppo economico e di solidarietà. A questi principi dell’economia sociale di mercato si ispira anche la tutela della famiglia come prezioso elemento di stabilità sociale ed economica”.
Impossibile non sottolineare come, per l’ennesima volta, il presidente del Consiglio, come se niente fosse, smentisce quanto da lui più volte affermato sulla necessità, citiamo testualmente, di “uscire dalla mentalità del posto fisso”. Viene da dire che il Governo, abituato alla politica degli slogan, voglia farsi opposizione da solo, almeno a parole. E mentre va in scena questo teatrino, ci sono 300mila precari che hanno perso il lavoro, dall’inizio dell’anno, e che non hanno avuto nessun sostegno al loro reddito. Ma questo non interessa nessuno.
Tanto che la leader di Confindustria Emma Marcegaglia e i ministri della Pa e del Lavoro Renato Brunetta e Maurizo Sacconi, prendono le distanze e affermano che il posto fisso “è roba dell’altro secolo, un ritorno al passato non possibile”.
Ovviamente, ha precisato il numero uno di viale dell’Astronomia, “nessuno è a favore della precarietà e insicurezza in un momento come questo, in particolare. Però noi siamo per la stabilità delle imprese e dei posti di lavoro che peraltro non si fa per legge” ha aggiunto.
“Riteniamo che la cultura del posto fisso è un ritorno al passato non possibile, che peraltro in questo Paese ha creato problemi”. Imprese “piglia tutto” dunque: da una parte chiedono riforme per rendere le imprese più competitive, dall’altra chiedono la flessibilità, sia pure regolata e tutelata come quella fatta con Treu e Biagi che ha creato 3 milioni di posti di lavoro.
Ai precari la tripla beffa: prima lavorando con un salario inferiore e con meno diritti per un lungo tempo, poi come prime ‘vittime’ della crisi. In futuro, quando ci sarà la ripresa, con un nuovo lavoro precario.
Brunetta, intervistato da “Repubblica”, spiega di non condividere la ricetta di Tremonti. “Tornare indietro è più facile, ma non risolve i problemi. Bisogna cambiare occhiali per capire come è fatto il nuovo mondo. Non si deve aver paura”. “La flessibilità che abbiamo visto negli ultimi 10-15 anni è figlia della società dei salariati – prosegue Brunetta -, è figlia degli ultimi fuochi dello scontro tra capitale e lavoro, è figlia di un capitalismo ormai in declino. Abbiamo vissuto la stagione del lavoro atipico come estrema conseguenza dell’egoismo del lavoro tipico, dell’egoismo degli insiders contro gli outsiders. Tutte le garanzie ai primi, protetti dal sindacato, tutte le flessibilità scaricate orribilmente sui secondi privi di rappresentanza”.
Per Sacconi “nessuno vuole subire la mobilità da posto a posto di lavoro, ciascuno vorrebbe poter scegliere il momento nel quale cambiare e cambiare ovviamente in meglio. D’altronde la continuità del posto di lavoro non si afferma con norme di legge, deve essere affidata soprattutto alla cosiddetta occupabilità del lavoratore, a ciò che lo fa forte sul mercato del lavoro perché – osserva Sacconi – ha conoscenze, competenze. Direi che un diritto fondamentale del lavoro nell’epoca moderna, è il diritto continuo alla conoscenza, al miglioramento delle proprie competenze. E questo porta spesso il lavoratore a decidere del proprio percorso lavorativo”.
Il tutto, ovviamente, da realizzarsi in un Paese dove conoscenza e formazione sono relegate agli ultimissimi posti dell’impegno governativo.
Non c’è che dire, prima o poi ci stuferemo di queste prese per i fondelli. Se Tremonti e Berlusconi fossero coerenti dovrebbero o dimettersi o dovrebbero far dimettere quei ministri come Sacconi, Brunetta e Gelmini che stanno praticando una politica di abbassamento delle tutele, di ampliamento delle forme di lavoro precario e di licenziamenti. Ma si preferisce governare con slogan e parole che vengono poi continuamente smentiti dai fatti.
Come la tanto declamata “uscita italiana dalla crisi”. Per quanto il mese di agosto sia poco indicativo a causa delle ferie, i dati resi noti oggi dall’Istat (che sono omogenei perché riferiti allo stesso mese dell’anno precedente), indicano un drastico calo di ordini e di fatturato delle industrie (gli ordini alle fabbriche sono diminuiti del 27,5% rispetto all’anno scorso). L’occupazione è e sarà in sofferenza per un lungo periodo di tempo.
Aprile on line, 21 ottobre 2009
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“Posto fisso, ora ci crede anche il premier. Epifani: ci chiami”, di Felicia Masocco
Lasciando tutti a bocca aperta, il premier Silvio Berlusconi si è detto d’accordo con il ministro Giulio Tremonti sul «valore» del posto fisso. Parole che lasciano stupefatti quelle dell’imprenditore di Arcore, se non altro perché ha guidato almeno due legislature in cui al grido di “flessibile è bello oltre che indispensabile” il mercato del lavoro è stato ridotto in brandelli dagli uomini delle sue squadre, e un paio di milioni di lavoratori sono stati consegnati all’insicurezza del precariato. Si tratta degli stessi esecutivi con Tremonti a capo del ministero dell’Economia. Delle due l’una: o premier e ministro hanno la faccia di bronzo, oppure sono seriamente intenzionati a correggere gli errori commessi. In tal caso potrebbero accogliere la proposta lanciata ieri dal leader della Cgil, Guglielmo Epifani. «Se il governo è davvero interessato ad affrontare concretamente, al di là delle dichiarazioni verbali, il problema della precarietà, convochi subito i sindacati e passi dalle parole ai fatti», afferma Epifani. E aggiunge all’emergenza della precarietà «che pone gravi problemi nel settore pubblico e in quello privato», la questione della crisi industriale «di pari gravità, come il sostegno ai lavoratori da molti mesi in cassa integrazione o che stanno perdendo il lavoro, in particolare del Mezzogiorno». Per il leader sindacale sono questioni che vanno affrontate «senza perdere altro tempo ». «Non scherziamo», lo stoppa subito il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, chiarendo qual è e qual è stata la linea del governo. «Il posto fisso non si fa per legge – afferma Sacconi – c’è una politica che stiamo conducendo ed adeguando per proteggere il lavoro. Questo sul posto fisso mi sembra tutto un gioco di battute».Una tempesta in un bicchiere. La sua «battuta» il presidente del Consiglio l’ha affidata a una nota ufficiale di Palazzo Chigi. Berlusconi ha dichiarato che era «del tutto evidente che il posto fisso è un valore e non un disvalore, così come sono un valore le cosiddette partite Iva». A dimostrazione, secondo il premier, ci sarebbero «i provvedimenti adottati in questi mesi a difesa dell’occupazione ». Il premier non accenna, ovviamente, ai precari della scuola che proprio ieri alla Camera hanno visto bocciare un emendamento a loro favore; né pare di ricordare tutti quei provvedimenti (dalla liberalizzazione dei contratti a termine, all’abuso consentito del contratto a progetto) che portano la firma del suo centrodestra. Per non parlare di che cosa accadde, (Berlusconi premier) con il tentativo di cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Contrordine: ora il posto fisso «è un valore» e tra Berlusconi e Tremonti «c’è piena sintonia», afferma la nota da Palazzo. A ricordare al governo da che parte è stato finora ci sono le parole, certo non incoerenti, di Emma Marcegaglia. Per la presidente di Confindustria «la cultura del posto fisso è un ritorno al passato, non possibile, che peraltro in questo paese ha creato problemi ». L’elenco: «Un aumento della disoccupazione, del sommerso per esempio nel Mezzogiorno, e ha creato nella pubblica amministrazione questa logica dell’assenteismo e dei fannulloni tanto deprecabile». La leader degli industriali si è detta favorevole ad una «flessibilità regolata e tutelata, come quella fatta con Treu e Biagi, che ha creato tre milioni di posti di lavoro». Quasi tutti a termine, contratti «non standard» saltati e non rinnovati al primo accenno di crisi. L’analisi di Confindustria non si discosta molto da quella del ministro per la Funzione pubblica Renato Brunetta, in disaccordo con Tremonti e quindi con il premier. «Tremonti vorrebbe una nuova società dei salariati, solo che questa non risponde alle esigenze di flessibilità che pone il sistema. La sua è una soluzione del Novecento », afferma Brunetta. Lo stesso Tremonti è tornato sul tema: «Ho detto una cosa scontata. Come dire, preferisco stare al caldo che al freddo», commenta dal Lussemburgo. I commenti del ministro della Pubblica amministrazione? «Brunetta non c’entra nulla. Dire di preferire il posto fisso non è una difesa dei fannulloni. Non mi sembra di aver detto una cosa fantomatica».
L’Unità, 21 ottobre 2009