Visto che sono parole del ministro dell’Economia, è giusto prenderle sul serio. O è tutta demagogia che gli serve per cercare consensi a sinistra, comunque per spiazzarla. Oppure, dato che lui è il cassiere del pubblico impiego, vuole stabilizzarne i precari. O ancora, pensa di incentivare la creazione di posti fissi nel privato». Un’unica certezza: l’elogio di Tremonti del posto fisso, mentre si dissolve il valore della flessibilità, non lo stupisce. Dell’economista Tito Boeri è appena uscito il libro La crisi non è uguale per tutti (Rcs). Per i milioni di precari, flessibili, atipici italiani, per esempio, è peggio. Dice di non essersi stupito, eppure è un’affermazione che contraddice tutte le precedenti. «È indubbio che la maggioranza degli italiani preferisca un sistema occupazionale rigido, in cui prevalga il posto fisso. Volendo essere popolari, cercando di costruire consensi, non si può che concordare. Fermo restando che non è possibile garantire il posto fisso a tutti». Che cos’è realistico fare, invece? «Garantire a tutti una copertura assicurativa: procedere con la riforma degli ammortizzatori sociali, in modo che vengano tutelate anche le fasce oggi non coperte. Si può anche ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro, rendendo più uniformi le protezioni e creando un percorso d’ingresso con regole nuove, per conciliare flessibilità e tutele». È la sua proposta di contratto unico del lavoro. «Esatto. L’idea è entrare subito con un contratto a tempo indeterminato, senza più periodi di prova, con uno schema di tutele progressive della durata di tre anni. In questa fase, il licenziamento può avvenire solo dietro compensazione monetaria. Il problema è che oggi chi ha un contratto temporaneo riceve poca formazione, perché se non è previsto di poter ammortizzare l’investimento in tempi lunghi, si evita tout-court di farlo. A quel punto, si diventa tutti sostituibili». Però nei primi tre anni sarebbe più facile licenziare. «Più facile rispetto agli attuali contratti a tempo indeterminato. Peccato, però, che adesso il 70% delle assunzioni avvenga con contratti temporanei. Anzi, questa fase si accompagnerà ad una grande incertezza, e la tendenza delle imprese sarà di riprendere ad assumere solo con contratti temporanei. La quota rischia di salire al 90% e oltre. La nostra proposta, a costo zero per le casse statali, dovrebbe venire messa in campo subito». Confindustria l’ha bocciata, e anche la Cgil ha storto il naso. «Molti esponenti del sindacato, come del Pd, sono interessati. Lo stesso Guglielmo Epifani non mi sembra pregiudizialmente contrario. Chi invece ha chiuso nettamente è Alberto Bombassei (vicepresidente di Confindustria, ndr), ma perchè lui nega il problema del precariato, sostiene sia minimale». La crisi non è uguale per tutti: chi paga di più? «I precari. Tra i lavoratori a tempo determinato si registrano già adesso perdite occupazionali nell’ordine del 10-15%. I dipendenti a tempo indeterminato per ora sono perlopiù congelati nella cassa integrazione. Poi, si pagano costi maggiori al sud, dove si ha un aumento dell’inattività e una netta diminuzione dei consumi». Domandone finale: la crisi è davvero finita? «Guardand oi tassi di crescita c’è stato un punto di inversione, il nervosismo sui mercati è diminuito. Ma per l’occupazione il discorso è opposto. E, comunque, per recuperare il terreno perduto ci vorrà una quindicina d’anni: abbiamo livelli di produzione anche del 30% in meno rispetto a prima della crisi, e il reddito pro capite è tornato indietro di dieci anni. Bisognerebbe ripartire con ben altra forza in campo».
L’Unità, 21 ottobre 2009