lavoro

“Sono i figli e non i padri a perdere il lavoro per la crisi”, di L.L.G.

ROMA I figli, più che i padri, perdono il lavoro a causa della crisi. Per 4O4mila unità di lavoro perdute da parte dei giovani, il calo occupazionale dei genitori si è limitato nel secondo trimestre 2009 a 152mila unità. Lo ha rivelato il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, parlando alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. I genitori che perdono il lavoro, ha proseguito Giovannini, sono per lo più lavoratori autonomi che vivono al Sud. Il saldo occupazionale è invece positivo per le famiglie di un solo componente (spesso stranieri o italiani ultracinquantenni) e per le donne, anche in questo caso in gran parte straniere, occupate nei servizi alle famiglie.
La recessione internazionale, ha detto ancora Giovannini, è probabilmente finita la scorsa estate, anche se non mancano le incertezze sul punto di svolta. In Italia, però, i settori in evoluzione positiva superano il 50% nel trimestre giugno-agosto: buon segno per un progressivo irrobustimento della ripresa.
Male invece i conti pubblici: l’Istat ravvisa il rischio che il debito pubblico, già elevatissimo, finisca per autoalimentarsi in una sorta di spirale a causa dell’insoddisfacente andamento del saldo al netto degli interessi. Il gettito dello scudo fiscale poi, destinato dal governo al 2010, dovrà probabilmente essere tutto attribito al 2009 in termini di competenza (cioè a valere per i conti europei).
Anche il presidente della Corte dei conti ha segnalato il forte deterioramento della finanza pubblica rispetto alle previsioni di inizio legislatura. Tullio Lazzaro ha anche osservato che, in base agli stessi dati del governo, «il deterioramento dei saldi ingloba una rilevante parte strutturale»: come dire che il peggioramento dei conti indicato nei documenti ufficiali solo in parte è dovuto alla crisi economica. «Il peggioramento del saldo non attribuibile alla sfavorevole evoluzione congiunturale è commisurato a ben 2,2 punti di prodotto» al 2013. L’indebitamento (deficit) risulterebbe in sostanza, a fine del periodo contemplato dalle stime, negativo per il 2% del Pii contro un sostanziale pareggio o lieve avanzo dello 0,2% indicato nel Dpef 2009: un aggravio di quasi 40 miliardi. Dovuto, ha concluso Lazzaro, per metà a rettifiche del consuntivo 2008, per metà alla perdita di prodotto potenziale che diventa eredità permanente della crisi. Si tratta di «una vera difficoltà, con cui sarà necessario confrontarsi in un futuro non lontano».

Il Sole24Ore, 16 ottobre 2009