Oltre un miliardo di affamati nel mondo è una cifra enorme. Che riporta indietro gli orologi della storia e della civiltà quasi al 1970, cioè all’epoca in cui un intero continente -l’Africa- stava morendo di inedia. Seguirono poi gli interventi internazionali che con molte storture riuscirono comunque a migliorare un po’ la situazione all’inizio dello scorso decennio. Ora quel numero nero ritorna. Ma la situazione non è più quella di allora. E non riguarda più solo l’Africa, dove comunque un quarto della popolazione continentale -265 milioni di persone- è denutrito. Nelle pagine del nuovo rapporto preparato da Fao e Pam, le due agenzie delle Nazioni Unite per gli aiuti alimentari, presentato ieri, si leggono altre cifre, grandi numeri, lampeggianti.
I CONTINENTI MALNUTRITI
Ad esempio fa riflettere che anche nei Paesi più sviluppati la Fao segnali 15 milioni di persone malnutrite. O che il continente più affamato oggi sia l’Asia, in particolare la zona del Pacifico, dove a soffrire la miseria nera sono 642 milioni di esseri umani. Mentre in America latina e Caraibi sotto la soglia della povertà ne restano 53 milioni e nel Medioriente e Nordafrica altri 42 milioni. Complessivamente lo spettro della fame nel mondo ha guadagnato 9 punti percentuali rispetto al 2008. Colpa della crisi economica e finanziaria che ha colpito globalmente masi è radicata di più dove le condizioni economiche di partenza erano già molto precarie. Colpa soprattutto degli squilibri nei m ercati internazionali, che fanno sì che una tonnellata di frumento oggi costi duecento dollari negli Stati Uniti e 600 dollari, tre volte tanto, in Mauritania, Sri Lanka o in Perù. Nei mercati locali più isolati, dei Paesi più poveri, l’impennata dei prezzi agricoli che si è verificata nel 2006 si è sommata agli effetti della crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2008 e i prezzi dei cereali e degli altri prodotti alimentari non sono scesi. Perciò Fao e Pam, in collaborazione con l’Ifad, in vista della Giornata Mondiale dell’alimentazione venerdì prossimo insistono non solo sulla carenza di aiuti alimentari, che con la crisi e la scelta di salvare le banche, si sono notevolmente ridotti (l’Italia è 14esima).
L’ALLARME
«È il livello più basso mai registrato », denuncia la direttrice del Pam Josette Sheeran. La richiesta pressante è soprattutto quella di agire nel medio termine per la sicurezza alimentare, scegliendo con decisione la strada di potenziare gli investimenti in agricoltura e nelle infrastrutture per migliorare l’accesso ai mercati, stimolare la produzione agricola delle piccole fattorie e migliorare il rendimento dei terreni. Dove questo è stato fatto come in Rwanda, con aiuti al credito dei piccoli produttori, istituti di consulenza, collegamenti tra mercati regionali, servizi per gli esportatori di caffè e té, anche nel 2009 il Pil si presenta in crescita di circa 5 punti. Al contrario ad Haiti, crocevia di traffici di droga, armi e tratta di esseri umani nei Caraibi,dopo l’intervento militare franco-americano che ha cacciato l’ex presidente Jean Bertrand Aristide, l’economia ha continuato a precipitare. Tanto che con il prezzo del riso triplicato due anni fa la gente di Port-Au-Prince ha ricominciato a diluire la farina con il fango. Per fare biscotti, non avendo croissant.
L’Unità, 15 ottobre 2009
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“Sulle strade del mondo un miliardo di affamati”
Nel mondo ci sono oggi più di un miliardo di persone affamate. L´allarme arriva dalla Fao, che nel suo ultimo rapporto ha registrato un aumento del 9 per cento. La crisi economica ha dunque portato sotto la soglia della denutrizione un sesto della popolazione mondiale. Non senza colpa dei governi, più preoccupati evidentemente dei mercati finanziari: «I leader mondiali hanno reagito con determinazione alla crisi mobilitando miliardi di dollari in un lasso di tempo molto breve. La stessa azione decisa è adesso necessaria per combattere fame e povertà», dice il direttore generale della Fao Jacques Diouf.
Novità anche sul fronte della geografia della fame. La denutrizione colpisce ora soprattutto l´Asia e le aree del Pacifico, dove gli affamati sono 642 milioni. Ma non è un fenomeno sconosciuto nemmeno nei paesi sviluppati, dove 15 milioni di persone non hanno il cibo necessario al loro sostentamento.
Ma non sono solo le politiche dell´Occidente a finire nel mirino. Sostiene l´intellettuale indiana Vandana Shiva: «Sono stati i metodi di sviluppo sbagliati ad affamare centinaia di milioni di persone. E di questo è responsabile anche la Fao».
Eppure la Fao ha sostenuto l´uso di queste sostanze. L´India quest´anno ha perso buona parte dei suoi raccolti per alluvioni e siccità, effetto dei cambiamenti climatici. Ci sono contadini affamati. Altri che si sono suicidati. E l´anello iniziale della catena sta in queste politiche, che la Fao ha appoggiato ma di cui oggi denuncia gli effetti».
Sta dicendo che quella di ieri è una denuncia inutile?
«No, dico che arriva in ritardo. Ma forse ora anche loro capiranno che pensare “business as usual” non è più possibile. Bisogna ripensare a che modello di agricoltura si vuole. Serve prestare attenzione alle cooperative, alle donne che stanno nei campi, ai modelli territoriali».
Il direttore della Fao Jacques Diouf ha puntato il dito, fra l´altro, verso la crisi economica e la conseguente riduzione dei finanziamenti: condivide almeno questa parte dell´analisi?
«Più soldi per le cose sbagliate non faranno che rendere l´agricoltura più vulnerabile. Più soldi per comprare sostanze chimiche significa nel lungo periodo aumentare il numero delle persone che soffriranno la fame. Significa mettere i produttori in una trappola sempre più profonda: dovranno fare più debiti per comprare semi ogm e prodotti fertilizzanti. Se questa è la strada non verrà niente di buono dai finanziamenti. Pochi o tanti».
Quale strada occorrerebbe seguire a suo avviso?
«Dare soldi in modo corretto. Puntare sull´agricoltura di piccola scala. Sull´uso delle sementi locali. Offrire appoggi a chi punta sul biologico. E non dare sussidi per i fertilizzanti chimici».
Quali sono secondo lei le responsabilità dei Paesi ricchi?
«Hanno imposto l´uso di ogm: lo hanno fatto con l´arma del dumping, offrendo sussidi ai produttori di queste sostanze che le hanno così potute vendere a basso prezzo nei Paesi poveri. Creando una dipendenza».
È un processo reversibile?
«Forse. Ma bisogna innanzitutto fermarsi. In questo senso la crisi economica può, anzi deve, essere un´opportunità. Tornare a una scala locale di produzione e di consumo, puntare sul biologico. E finirla con i sussidi che, ricordiamocelo, sono pagati dai contribuenti: sarebbe bene che fossero usati in altri modi».
Ma nei supermercati biologico è spesso sinonimo di caro…
«A causa dei sussidi. Se non ci fossero non sarebbe così. Ci sono Paesi e regioni che hanno interrotto il ciclo e dimostrato nei fatti quello che sto dicendo: prendiamo il caso di Cuba, del Brasile o della Toscana, che ha ricevuto riconoscimenti a livello mondiale per il suo modello agricolo di eccellenza. Che è su base locale e ripudia gli ogm».
La Repubblica, 15 ottobre 2009
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