Arrivare al Sud è difficile.
Andarsene è molto, troppo facile.
Tra tutti i dati che disegnano il profilo della crisi italiana ce ne sono alcuni che mi hanno colpito. E che
invece sono stati pressoché ignorati nel dibattito pubblico.
Sono quelli che recentemente lo Svimez ha fornito sull’ultima grande migrazione.
Dal 1997 al 2007 quasi settecentomila persone hanno lasciato il Sud, dirette verso zone più prospere del
Paese o anche all’estero.
La stragrande parte di questo popolo è fatta di giovani.
Tra questi quasi il 38 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti.
Una ferita che ha reso più povero il nostro Mezzogiorno. Che ha reso più debole e incerto il suo futuro.
Una storia che non cambia.
Emigranti sono stati i nonni di questi giovani. Emigranti i padri.
Sulle spalle di quelle generazioni l’Italia ha costruito la sua fortuna. Il suo miracolo. Il suo benessere.
Sulla fatica, sulla forza, sull’intelligenza di quelle persone, spesso sfruttate, umiliate e offese, si è costruita
la ricchezza del resto del Paese.
Anche di quella parte che senza nessuna gratitudine oggi non prova vergogna o rimorsi nel seminare
l’egoismo territoriale e nell’usare la parola secessione.
Si parla ancora, dopo 150 anni di unità nazionale, di questione meridionale.
Ma la questione meridionale è diventata oggetto di studi accademici.
Intanto la realtà continua a scorrere nel segno di un progressivo degrado, di un abbandono.
“Un clamoroso silenzio avvolge la questione meridionale” hanno denunciato di recente i vescovi italiani.
Per la prima volta dal dopoguerra il Mezzogiorno è privato di tutti gli strumenti nazionali di sostegno
dell’economia e del lavoro.
Il Fondo per le aree sottoutilizzate, il Fas, è diventato una specie di bancomat di Tremonti. Il governo vi ha
attinto per ben 26 miliardi di euro.
Persino una calamità nazionale come il terremoto dell’Abruzzo è stata messa tutta in conto alla
popolazione meridionale.
E poi gli ammortizzatori sociali, usati soprattutto nel Nord; ma anche una raffica di favori elargiti ad
amministrazioni amiche, 230 milioni per i buchi di Cammarata a Palermo, 150 milioni alla giunta di centro
destra di Catania, 500 milioni per le casse di Alemanno a Roma, e ancora 400 milioni per pagare le sanzioni
europee degli allevatori del Nord, che non hanno rispettato le quote latte .
Tutto pagato con i miliardi del Fas. Cioè con i soldi del Sud.
Questa espropriazione finanziaria è tanto più grave perché si verifica nel mezzo di una gravissima crisi
economica e occupazionale.
E’ tanto più grave perché quelle risorse sottratte sono state il ringraziamento del Popolo delle Libertà ai voti
ricevuti dalla gente del sud: più del 40%.
E viene resa ancora più inaccettabile da una propaganda politica, specie della Lega, che getta discredito sul
mezzogiorno, aggrava le divisioni del Paese, propone misure assurde e discriminatorie come le gabbie
salariali.
Lo dico con chiarezza: le gabbie sono ingiuste, perché già i salari del Sud sono in media più bassi del 20/25%
rispetto al Nord.
Né si può dimenticare che nel Mezzogiorno la stragrande maggioranza delle famiglie può contare su un solo
reddito.
L’unica vera gabbia del Sud si chiama disoccupazione.
Una disoccupazione che è arrivata a colpire oltre il 25% dei giovani fino a 30 anni, persone adulte che sono
già in età da lavoro e culturalmente attrezzate.
Molti altri, giovani e donne, sono così scoraggiati che non si presentano neppure sul mercato del lavoro e
quindi non sono neanche più censite tra i disoccupati ufficiali.
Basti vedere il drammatico calo del tasso di attività, che mostra lo scoraggiamento e l’abbandono dei
tentativi di cercare lavoro. Dopo decenni il tasso di attività che stava lentamente crescendo, ha ripreso a
diminuire specie nel Sud, per i giovani e le donne.
Sono risorse preziose sottratte alla crescita di tutto il Paese.
Alcuni di questi giovani cercano di prolungare i loro studi, pensando così di impiegare utilmente le loro
energie in attesa di tempi migliori.
Ma l’utilità di questi sforzi è spesso ridotta o frustata perché questi ragazzi non trovano risposta adeguata
nelle strutture scolastiche e universitarie, sottodimensionate, affaticate, colpite dai tagli del governo.
Tanti giovani, non sappiamo quanti, vanno ad affollare la schiera di quelli che sono stati definiti la
generazione dei “né – né”.
Né a scuola, né al lavoro, né impegnati in altre attività: semplicemente troppo avviliti, delusi, per reagire
alle difficoltà.
Questi giovani non sono neppure arrabbiati; sono indifferenti, abulici, cinici.
E’ un’intera generazione che rischia di pagare un prezzo umano e sociale gravissimo.
E questa piaga non si cura con le illusioni, con le promesse, con la demagogia.
Il Sud è abbandonato dal governo.
E questo abbandono produce danni maggiori che nel resto del Paese. Perché ci sono ritardi che funzionano
da moltiplicatore degli effetti della crisi.
Abbiamo detto tante volte che l’Italia è un Paese bloccato. Senza mobilità sociale.
Senza giustizia sociale.
Senza spazio per il merito, che in una cultura democratica è l’unica vera forza che può cambiare le cose.
Che può garantire ad una ragazzo povero, se vale, se ha capacità e talenti, di cambiare la sua situazione.
Ma perché il merito funzioni, sia riconosciuto e fatto valere, servono istituzioni efficienti.
Servono politiche pubbliche coerenti.
Un ragazzo, Giovanni, mi ha raccontato la sua storia. Una storia comune a tante e tanti giovani calabresi,
lucani, pugliesi, siciliani, campani.
Primo di quattro figli. Padre operaio, madre precaria della scuola. Mai nessun laureato in famiglia.
Diplomato con il massimo dei voti, sbarca a Roma, pieno di speranza e carico di responsabilità.
La sua borsa di studio copre meno della metà della cifra necessaria a mantenersi nella grande città. Il resto
è a carico della famiglia. Quel resto vale un terzo del reddito familiare. Il calcolo è semplice: un terzo per un
figlio, due terzi dello stipendio per mantenere tutto il resto della famiglia, cinque persone. I conti non
quadrano.
Giovanni per contribuire alle spese, comincia a lavorare. Di giorno studia. La sera fa il cameriere in un pub.
E questo gli abbassa la media.
Il secondo anno la strada si fa in salita.
Sulla base dei requisiti di merito e di reddito, infatti, Giovanni viene superato in graduatoria ed escluso dal
finanziamento.
Uno di quelli che lo precedono è il figlio di un lavoratore autonomo stranamente col reddito molto basso.
Un altro ha trasferito la residenza dalla nonna, vedova e pensionata, e così risulta a reddito quasi zero:
imbattibile in graduatoria.
Un altro ancora gli confessa candidamente di aver dichiarato nei moduli un reddito molto più basso di
quello reale.
Giovanni verifica: l’azienda per il diritto allo studio aveva effettivamente controllato solo tre domande su
migliaia ricevute. Quando chiede spiegazioni gli rispondono: cosa vuoi, manca il personale…
Al terzo anno, e con una sorella che a sua volta inizia l’università, Giuseppe deve rinunciare.
Abbandona il sogno di un anno all’estero con il progetto Erasmus.
Deve tornare a casa.
Il suo diritto alla studio è stato scippato. Dai furbi. Dai figli degli evasori. Da ragazzi che non avevano
bisogno e che magari spendevano i soldi della borsa di studio solo per pagarsi una vacanza in più.
Ma quello scippo aveva dei complici nelle istituzioni.
Quelle istituzioni che non sono state in grado di assicurare giustizia.
Di valorizzare il talento di un ragazzo che ce l’ha messa tutta ma che si è trovato solo nella battaglia per il
suo futuro.
Merito, allora. Per far ripartire l’ascensore sociale.
Merito significa che i giovani talenti devono essere sostenuti e aiutati nel loro percorso formativo, e poi
nell’inserimento nel mondo del lavoro.
Educare al merito significa qualificare maggiormente i percorsi formativi. Più scuola, più università. E più
opportunità per gli studenti.
Per gli studenti del Sud significa poter fare esperienza nei migliori atenei del paese, ma anche all’estero,
attraverso il potenziamento dei progetti Erasmus.
Ma il percorso non deve essere unidirezionale.
Andrebbero previsti incentivi nei trasferimenti statali a quelle università del Sud capaci di attrarre studenti
del Nord o stranieri, in modo da attivare un circuito che sia davvero occasione di arricchimento.
In modo da aprire le comunità locali al mondo e di far conoscere al mondo la ricchezza di umanità,
intelligenze, bellezza del nostro mezzogiorno.
Università oggi significa mobilità.
Ma una mobilità che rappresenti una scelta libera, formativa. E non l’inizio di un esilio senza ritorno.
Formazione, dunque. E lavoro.
Servono misure e strumenti straordinari.
Dobbiamo creare una forte sinergia tra mondo della scuola, dell’università e mondo dell’impresa.
Per questo ho proposto di istituire 100.000 stage finanziati dallo Stato presso imprese private destinati ai
giovani diplomati e laureati del sud. E poi un anno ancora a carico dello stato a quelle imprese in grado di
assumerli a tempo indeterminato.
Per favorire il loro inserimento lavorativo qualificato incentivando le imprese che li assumono a tempo
indeterminato.
E dato che la mobilità, lo scambio di esperienze, l’apertura di orizzonti più vasti è un elemento
fondamentale nella formazione di professionalità competitive, credo che sarebbe utile predisporre percorsi
orientati a questo obiettivo.
Penso a borse di studio per giovani del Sud, da utilizzare al Nord e all’estero, presso imprese e centri di
ricerca al fine di accumulare nuove conoscenze formative e di lavoro. Con l’impegno a ritornare nel
Mezzogiorno per mettere a frutto queste esperienze.
Andiamo avanti su questa strada.
Liberiamo il futuro del nostro Mezzogiorno.
Oggi si aprono nuove straordinarie possibilità per farlo.
La globalizzazione apre nuove opportunità al Sud, nel cuore del Mediterraneo.
Un tempo crocevia di culture e di civiltà, dalla scoperta delle Americhe in poi questo mare sembrava
condannato a diventare marginale e periferico rispetto al cuore dell’Europa ma i grandi mutamenti
geopolitici ed economici della nostra epoca gli hanno restituito una nuova centralità.
I porti meridionali diventano strategici per il flusso delle merci su scala intercontinentale: il Sud può
diventare la principale porta d’accesso del vecchio continente, la piattaforma di interconnessione tra Asia
ed Europa, scommettendo sui nostri hub marittimi ma anche sui trasporti, sulla logistica, sull’assemblaggio.
Si tratta di opportunità da cogliere, di scelte da fare.
Lasciatemi dire qui quello che non mi stanco mai di ripetere con forza nella mia terra, al Nord: l’Italia per
essere competitiva nel mondo globalizzato deve partire dal riscatto del Mezzogiorno.
E’ miope e perdente pensare che una parte del Paese possa farcela da sola.
Il Mezzogiorno va rilanciato, perché solo così l’intero sistema Paese può vincere le sfide della modernità ed
uscire dalla crisi.
Il riscatto del Sud è il riscatto dell’Italia.
Bisogna liberarne le energie, valorizzarne i talenti e le eccellenze, scommettere sui talenti e la voglia
crescere.
Ci sono fermenti positivi, ci sono vivacità del mondo sociale, culturale e imprenditoriale che vanno
riconosciute e sostenute.
C’è una straordinario giacimento di umanità e di cultura della solidarietà.
Penso a quello che in queste regioni il volontariato e le vostre comunità fanno per l’integrazione degli
immigrati.
Ci sarà un motivo se al Sud la parola razzismo non ha significato.
Ma il riscatto della vostra terra è nelle vostre mani.
Il domani migliore non sarà quello che qualcuno vi regalerà ma quello che sarete capaci di costruire.
Scrivere una pagina nuova sta a voi che in questa terra ci siete cresciuti e che non vi rassegnate all’idea di
non continuare a viverci, piuttosto che a qualcuno che arriverà qui, magari con l’orizzonte temporale di un
fondo di investimento.
Sta a voi che abitate e amate le vostre città, i vostri paesi, che ne conoscete la bellezza, le potenzialità, che
sapete coglierne le aspettative e anticiparne le tendenze.
C’è una nuova, grande frontiera dello sviluppo sostenibile in Italia. E’ quella della green economy. E io
penso che il Sud, per le sue caratteristiche e le sue straordinarie potenzialità legate all’ambiente, abbia un
enorme spazio per investire in questa opportunità e per crescere.
Sta a voi che siete consapevoli che il più grande tesoro del Sud è il Sud stesso: il suo inestimabile patrimonio
ambientale e paesaggistico, le sue bellezze storiche ed architettoniche ma soprattutto la forza, la dignità e
la creatività della sua gente.
Lottate per diminuire le distanze infrastrutturali e sociali con il resto d’Italia ma anche tra Sud e Sud, tra
città e paesi, tra le coste, apparentemente lambite dal denaro, e le zone interne abbandonate a se stesse
nell’affrontare povertà e spopolamento.
Ponetevi l’obiettivo di portare il Mezzogiorno allo stesso livello dell’Europa ma rimanendo unici al mondo.
Portando con voi le tradizioni e tutto ciò che rende inimitabile e speciale la vostra identità. Un seme
prezioso per il futuro.
Ma tutto questo sarà possibile solo ad una condizione: vincere la battaglia della legalità.
La speranza del Sud si chiama prima di tutto legalità.
Ho incontrato tanti imprenditori del nord pronti a investire nel mezzogiorno e tutti mi hanno detto : sono
importanti le infrastrutture, sono importanti gli incentivi fiscali ma se non ci date la sicurezza, se non ci
garantite le condizioni per poter svolgere il nostro lavoro senza dover subire ricatti e intimidazioni, senza
mettere a rischio noi stessi o le nostre famiglie, non potremo mai venire ad investire al sud.
Sono le mafie, la criminalità organizzata a uccidere il futuro della vostra terra.
Senza legalità non c’è vero sviluppo.
Senza legalità non ci può essere vera libertà.
Senza legalità non c’è vera cittadinanza.
Lo dico a voi giovani: questa deve essere la vostra missione, la nostra missione.
La legalità non è soltanto rispetto della legge.
C’è qualcosa che viene prima della legge, e che riguarda l’etica pubblica.
Il modo di vivere.
Il modo di esercitare la propria responsabilità all’interno della comunità.
Affermando i propri diritti ma anche riconoscendo i propri doveri.
Ribellatevi a questa opprimente cappa di rassegnazione, che vuole ingiustamente rappresentare il Sud
soltanto come il terreno di conquista del crimine.
Come il regno della violenza e della prepotenza mafiosa.
Gomorra non è un destino inevitabile.
Gomorra voi potete sconfiggerla e schiacciarla.
Ma per vincere, per cambiare la realtà, bisogna riconoscerla.
Bisogna denunciarne i mali.
Un ragazzo del sud come voi, Roberto Saviano, vive sotto scorta, minacciato di morte, solo per aver detto la
verità.
Deve cambiare ogni notte città e albergo.
Ma non fugge. Attacca.
Non ha perso. Ha vinto.
Ha rotto il velo dell’ipocrisia e dell’omertà per amore della sua terra e della sua gente.
Quel libro, Gomorra, e le storie che Saviano ha continuato a scrivere dopo, sono proprio questo: un grande
grido di amore per un Sud che potrebbe essere diverso.
Che potrebbe essere libero dall’ipoteca della camorra, della ndrangheta, della mafia.
Che anche attraverso la forza delle parole può trovare la forza di cambiare.
Le parole, i gesti, i comportamenti. Le testimonianze.
Ecco. Le testimonianze.
Ce ne sono tante nella storia del Sud che si è ribellato. Hanno i nomi e i volti di persone che hanno pagato
con la vita una coraggiosa solitudine.
Perché non è facile opporsi, ribellarsi in certe realtà dove lo stato ha perso il controllo del territorio.
O peggio: dove anche pezzi dello stato, nei comportamenti di chi li rappresenta, troppe volte appaiono
collusi, conniventi, complici dell’illegalità.
Provo disagio a parlare così, a dire queste cose.
Perché sono un politico.
E la politica, da molto tempo, ha perso, agli occhi dell’opinione pubblica, l’autorevolezza necessaria. Quella
che nasce solo dalla coerenza tra ciò che si predica e ciò che si fa.
E una politica che ha perso autorevolezza coma fa a chiedere agli altri, ai cittadini, ciò che essa stessa non
riesce ad essere.
La politica chiede legalità. Ma spesso accetta l’illegalità.
La politica chiede coraggio. Ma spesso non ha il coraggio di cambiare se stessa.
La politica chiede sviluppo. Ma spesso non fa nulla per promuovere quello sviluppo.
La politica troppe volte chiede e non fa.
Devo essere sincero, mi piacerebbe che lo stesso disagio che avverto io lo avvertissero anche quegli
amministratori che hanno gestito il potere e hanno fallito.
E che con il loro fallimento hanno gettato discredito su quegli amministratori onesti e perbene, e sono
tanti, che ogni giorno in trincea fanno il loro dovere.
Vorrei che avvertissero disagio.
Quelli che non sono riusciti a dare speranza a questi territori, e hanno lasciato devastare dal cemento coste
bellissime.
Quelli che hanno consentito che si edificasse abusivamente lungo i fiumi senza preoccuparsi
dell’incolumità delle persone.
Quelli che hanno permesso che si costruissero ospedali sulla sabbia e con la sabbia.
Voglio citare quello che ha detto un grande meridionalista, un uomo del sud che oggi rappresenta con
impareggiabile autorevolezza l’unità nazionale, Giorgio Napolitano.
Il bilancio delle istituzioni regionali del mezzogiorno, con le dovute eccezioni, “è tale da farci dubitare che le
forze dirigenti meridionali abbiano retto alla prova dell’autogoverno”.
E allora, ragazzi, prendetevi la politica e cambiatela.
Non lasciatela a chi ne ha tradito il senso più alto, a chi l’ha sporcata e umiliata, inquinandola con affari e
criminalità.
C’è un’altra politica. Fatta di passione, ideali, servizio.
Una politica può essere e deve essere il vostro strumento per cambiare le cose.
Per far sì che la sanità sia liberata dalla morsa della partitocrazia.
Non la politica degli affari e delle cordate di potere.
Non la politica dei partiti che occupano tutti gli spazi.
Non la politica che si spartisce i primari in base all’appartenenza a questo o a quel partito.
Lo politica pulita, per restituire un futuro alla vostra terra, per incanalare il vostro desiderio di innovare e di
guardare avanti.
Non abbandonarvi alla rassegnazione o al fatalismo.
Dovete fare politica, dovete impegnarvi, dovete rompere gli schemi.
Ribellatevi alla conservazione e l’immobilismo.
Prendetevi la politica e prendetevi questo nostro partito. Senza chiedere il permesso, senza aspettare
cooptazioni o pacche sulle spalle.
Prendetevelo perché ora sta a voi.
Metteteci fantasia, determinazione, trasgressione.
Se non sarete voi più giovani a dare un contributo di freschezza e rinnovamento, a mettere in discussione i
vecchi modi di fare politica, le cose non cambieranno mai.
Voi giovani del Sud siete una grande occasione per il Pd e per l’Italia intera.
Nulla è impossibile per chi ha la voglia di osare, di mettersi in gioco, di guardare lontano. Lo dico in questa
università che ne è la prova tangibile.
Qui dove un intellettuale e politico straordinario ma soprattutto un vero italiano, ha costruito, insieme ad
altri, quella che è un’ eccellenza del sud.
Aveva immaginato qui, fra le colline di Arcavacata abitate da vecchi ulivi, un campus in grado di accogliere
quanti avessero voluto crescere nella loro terra d’origine.
Aveva sognato giovani pronti a rimanere, a non essere costretti ad andarsene. Giovani ai quali offrire
finalmente una opportunità concreta nel nei luoghi dov’erano nati.
Un uomo che è venuto qui a fare il rettore. Un maestro di cui abbiamo nostalgia. Un uomo che ha speso la
sua intelligenza nel segno di una straordinaria passione civile. Beniamino Andreatta.
In un’intervista su “L’Università in cantiere” del 9 giugno 1973, per un programma della Rai, spiegava con
queste parole il senso di questa sua scelta coraggiosa e controcorrente: “Mi sembra che nella profonda provincia del Sud le motivazioni per andarsene siano anche le motivazioni
che nulla di nuovo accade, nulla di veramente importante avviene nelle piccole città, nelle campagne, della
Calabria.
Se noi riusciamo ad inserire Arcavacata, nel circuito delle idee del mondo, mi sembra che si sia invertita la
tendenza.”
Ecco , le idee del mondo passano anche da qui. Qualcosa di nuovo sta già accadendo.
Noi, il nostro partito, l’Italia abbiamo bisogno dei vostri sogni, delle vostre speranze, della vostra voglia di
futuro.
Adesso.
Cosenza, 13 ottobre 2009
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