Victoria De Grazia è direttore dell’Istituto Europeo e docente di Storia Contemporanea alla Columbia University nonché studiosa dei diversi modelli di forza di persuasione nei sistemi liberali o autoritari. È autrice di «Le donne nel regime fascista» e di «Impero irresistibile» sulla rivalità europea all’egemonia americana nel XX secolo.
Vive tra New York e Sartiano.
Professoressa,lei si è occupata di come la politica nazionale e familiare influenzi e formi il comportamento delle donne. In Italia, per esempio?
«Mi sembra che in Italia, nell’ultimo decennio, si debba guardare a un aspetto che segna fortemente le donne soprattutto giovani. La crisi economica, dagli anni 90, ha creato un’oligarchia di fatto con forti svantaggi per i giovani. Le donne pur avvantaggiate dai buoni risultati scolastici o universitari e da un mondo di lavoro più paritario si sono poi trovate in un panorama asfittico. I maschi sono forse colpiti di più in generale. L’insieme porta a un’esasperazione di antifemminismo e visione reazionaria della donna».
Significa che l’attuale condizione femminile è dovuta alla mancanza di prospettive economiche e non è una questione culturale?
«L’ingresso in ambienti dirigenziali e universitari per le donne è bloccato. La loro è una non-presenza: stipendi bassi, impieghi squalificati. Una situazione che si presta a modelli nuovi e squalificanti sul mercato del lavoro, a una visione reazionaria della donna come oggetto. È un segno di dequalificazione politica: emerge un rigurgito del dispotismo italiano che va dal manzoniano DonRodrigo a Mussolini, allo staracismo degli anni ’30 fino agli anni ruggenti di Berlusconi».
Quindi, le italiane oggi si barcamenano tra lavori non gratificanti e attenzioni maschili non gradite?
«Diciamo che la combinazione dei fattori che ho nominato porta a una visione sessuale delle donne, come le “contessine del Viminale” di epoca fascista: quelle ragazze che si presentavano a cercare lavoro sotto il regime offrendo in cambio favori sessuali. Ecco, con Berlusconi sono sorte le nuove “contessine”».
Eppure, tra questi due periodi storici sono trascorsi almeno 70 anni. Possibile che non sia cambiato nulla?
«Berlusconi arriva in un momento in cui si pensava che le ragazze fossero libere, emancipate, formate dall’istruzione e dall’ambizione di avere tutte le possibilità di libertà, anche sul proprio corpo e sull’amore».
Invece?
«È una liberazione che deve trovare collocazione. Berlusconi gioca su questo nuovo protagonismo femminile, lo corrompe e lo usa per appoggiare un potere maschilista e profondamente antidemocratico».
Perché le donne lo accettano?
«Una parte sceglie consapevolmente questa strada per affermarsi nell’immagine sociale e nel simbolismo del potere. Ci guadagnano. Ragionano. La D’Addario è una donna furba e intraprendente che gioca la sua partita usando un sistema corrotto per le proprie necessità».
La tentazione di farsi strada usandola bellezza esiste da sempre. Oggi quali contrappesi sono venuti a mancare nella società perché sia diventato non solo il modello dominante ma quasi l’unico?
«Vedo una strategia politica in questa forte esasperazione del culto della bellezza che rende l’Italia simile a Ipanema. Certo, lo spunto viene dalla comunicazione di massa, da moda e industria cosmetica. Ma è un fatto politico, non di costume. Sarebbe un errore attribuire colpe diffuse».
Il berlusconismo, di tutto questo, è causa o effetto?
«È causa. Dagli anni ’80 con sempre maggiore demagogia. La reazione al femminismo di un certo mondo culturale maschile che non è riuscito a rinnovarsi ed è rimasto geriatrico. E da nessuna parte la politica italiana ha risposto che qui non si passa. Senza rendersi conto che questa mobilitazione della “pulcritudine” è un modo per affondare il sistema, per rovinarlo. Come Caligola che nominò senatore il suo cavallo».
È un paragone forte.
«Berlusconi gioca sulla degradazione delle donne e poi le immette nel circuito politico. A quel punto tutti in coro insorgono: è un sistema corrotto. Il punto è che la degradazione femminile equivale a quella del sistema politico. Per questo non è un fenomeno di costume e la reazione non è moralistica o puritana. Mi stupisce che la sinistra non abbia impugnato fino in fondo questo tema. In qualsiasi altro Paese sarebbe accaduto».
Chi,oggi in Italia, si ribella a questo stato di cose, e come?
«Non è un problema dei singoli. L’indignazione è giusta, ma serve una risposta politica. Per questo bisogna continuare il pressing sulla sinistra. Il divorzio di Veronica, che ha infranto la copertura, è un primo passo».
Ha visto “Porta a Porta” con Rosy Bindi?
«Mi ha colpito molto. Berlusconi l’ha attaccata come idea di donna politica, simbolo femminile che non è a sua disposizione. Lui è un nichilista: o con noi o contro. E chi è contro non è virile, non è legittimato come interlocutore. Dire non sei né bella né intelligente significa dire:non esisti fisicamente. Significa, appunto, annichilire».
L’Unità, 12 ottobre 2009