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Dal Congresso: “Dario infiamma, Pier Luigi rassicura”, di Aldo Cazzullo

Dal primo attacchi a D’Alema, il secondo parla di redditi e lavoro. Franceschini, cosa non le piace di Bersani? «D’Alema». Il segretario dice proprio così, nell’intervista alle lene che andrà in onda domani, facendo pure l’aria atterrita mentre nomina l’uomo che considera il suo vero rivale. E infatti tutto contro D’Alema per quanto citato una sola volta era rivolto il suo intervento al minicongresso Pd.
Franceschini ha citato invece spesso Bersani, anzi «Pier Luigi», per sottintendere maliziosamente che in realtà non ce l’aveva con lui. Era per D’Alema la stoccata ai sostenitori dell’alleanza con il grande centro, «magari mandandoci pure qualcuno di noi», con il risultato di condannare il Pd all’opposizione «per altri 35 anni». È D’Alema quello che, secondo Franceschini, indossa «una delle casacche del `9oo», vale a dire quella comunista.
Che la prossima volta vorrebbe eliminare le primarie.
Che dovrebbe badare alle frequentazioni proprie e dei suoi uomini, ai «comportamenti personali», allo «stile di vita». Che vorrebbe «riproporre alleanze vaste da Mastella a Diliberto», che oggi significa da Casini a Vendola.
Era per L’Alema la critica a «coloro che danno interviste contro i compagni», nello specifico lo stesso Franceschini, definito l’altro giorno «incommensurabilmente» meno credibile di Bersani.
In quella stessa intervista, D’Alema,aveva lasciato intravedere la ribellione degli iscritti, qualora il loro voto per Bersani venisse sovvertito dalle primarie. Ma gli iscritti amano il partito ha replicato il segretario e saranno felici di vederlo allargato a una platea più vasta tra due settimane. E se D’Alema critica «l’antiberlusconismo che tende a diventare spirito anti-italiano», Franceschini ne approfitta per piazzare l’affondo che agita la platea, anche al di là della claque postdemocristiana: «E antiberlusconismo difendere i precari della scuola? E antiberlusconismo difendere Napolitano e la Corte Costituzionale? E essere anti-italiani dire che è un “ominicchio” chi ha offeso Rosy Bindi?» (tutti in piedi ad applaudire la Bindi, che peraltro sta con Bersani). Non a caso, la linea di risposta l’ha dettata D’Alema: Bersani, «più equilibrato anche sul piano caratteriale» , ha fatto un discorso da segretario, Franceschini un comizio (Reichlin dice «comiziaccio»). Secondo Penati, «Dario ha parlato al partito, Pierluigi al paese».
Ma Fassino, che contro il ritorno di D’Alema si sta battendo come un leone: «Bersani ha fatto un discorso da ministro, Franceschini da segretario».

Bersani è stato meno applaudito perché, più che ad accendere, ha badato a rassicurare.
Ha parlato il suo «sermo humilis», come lo definisce Miguel Gotor: il linguaggio della quotidianità, adeguato a un partito che in vista delle primarie si è dato come simbolo la molletta e il guanto da cucina, nuovo emblema del lavoro al posto di falce e martello, in un congresso senza video né musiche, dentro un albergone vista aeroporto.
Bersani denuncia un quadro in cui «il capo dà la fiducia alla maggioranza», nomina i parlamentari, sottopone a «pressione e ricatto» i soggetti terzi, induce «assuefazione e conformismo», e «porta l’opposizione in un angolo vociante» dove sono premiati riflessi ribellistici minoritari e impotenti». Un angolo da cui uscire rilanciando la questione sociale: redditi medio-bassi, lavoro dipendente, produttori, piccole imprese; tutti i settori delusi o almeno perplessi di fronte a Berluscoru, accostato al signor Wolf di Pulp fiction, che si presenta come chi «risolve i problemi» e non va molto oltre la promessa.
Verso Bersani si è ormai spostata in massa la nomenklatura del Pd. Veltroniani come Zingaretti, stretti collaboratori di Fassino come Migliavacca e Morri, Epifani capo della Cgil, quasi tutti i prodiani a cominciare da Sircana, che arriva in ritardo, abbronzatissimo, e resta in piedi; mentre parla Franceschini la sua teorica sostenitrice Linda Lanzillotta lascia la sala (Rutelli non è nemmeno venuto), e Ignazio Marino sorride e confabula con Bersani. Sondaggi e pronostici sono a senso unico. Resta da capire se peseranno di più il legame dalemiano con l’apparato e le coop o gli abboccamenti di Franceschini con Di Pietro, e soprattutto quanti voteranno alle primarie gli uomini del segretario fissano a un milione e mezzo la soglia per avere una chance -, e perché: per dare forza al leader scelto da vertice e iscritti, o per decidere in autonomia? I dalemiani valutano che con il discorso di ieri Franceschini si sia giocato pure l’incarico di consolazione da capogruppo alla Camera. Franceschini promette veltronianamente che se vincerà chiamerà al suo fianco Bersani e Marino; gli altri, quelli che hanno cambiato campo, saranno democristianamente attesi al varco.
Corriere della Sera 12.10.09

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Pd, a Franceschini la prima sfida-applausi, di Giovanna Casadio
Affollata, come non accadeva più da tempo alle assemblee del Pd. Coinvolti e un po’ emozionati, i delegati. Qualcuno dice che è stata solo «una cerimonia di 160 minuti» — perché la convenzione nazionale dei Democratici, prima tappa del congresso, ha un valore di ratifica dei congressi dei circoli e basta — però «una cerimonia riuscita». E il Pd riprende fiato e parla al paese con il programma di Pierluigi Bersani, il manifesto di Dario Franceschini, le suggestioni di Ignazio Marino. Un partito e i suoi tre candidati alla segretaria, da ieri in corsa per le primarie del 25 ottobre, aperte a tutti gli elettori che decideranno chi vince. Confronto franco. Senza colpi bassi, anche se non mancano le asprezze, gli scontri. È il giorno soprattutto del duello tra Bersani, l’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Prodi, e Franceschini, il segretario uscente e ricandidato, che è stato vice di Veltroni e rivendica gli sforzi fatti in questi dieci mesi di gestione del partito: «Ho avuto l’onore di essere stato chiamato e di avere fermato la ritirata. Come il Piave che viene ricordato come una vittoria e non come una sconfitta». Bersani è il vincente (ha ottenuto il 55,13% nei congressi dei circoli) e gioca in casa. Parla alla ragione dei militanti, denuncia «la deformazione populista della democrazia italiana» e «il rimpicciolimento economico» e lancia una proposta di prospettiva politica del Pd: «Dobbiamo riaprire il cantiere dell’Ulivo con movimenti politici e civici disposti al dialogo con noi e lavorare a un quadro ampio di alleanze politiche, non vogliamo fare da soli né ci immaginiamo da soli nel futuro. Penso anzi già per le prossime regionali ad alleanze democratiche e progressiste». Però è Franceschini a scaldare il cuore della platea, in cui pure è minoranza, e a ricevere più applausi. «Offendendo Rosy Bindi», (con quel “lei è più bella che intelligente” detto a Porta a Porta), «il premier Berlusconi ha offeso tutte le donne italiane. É antiberlusconiano o anti-italiano dire che è un un ominicchio?», va subito all’offensiva il segretario uscente e incassa un’altra standing ovation, dopo quella che Bindi (grande elettore di Bersani) ha già avuto. Annuncia che il “suo” Pd farà un’opposizione «dura e intransigente», mette a segno un punto a proposito di unità («Se sarò eletto chiamerò Bersani e Marino a collaborare con me»), e un altro quando va allo scontro con Massimo D’Alema, che su un eventuale ribaltone dei risultati alle primarie aveva avvertito: «I dirigenti rispetteranno le regole ma gli iscritti non so se lo faranno». E Franceschini, allora: «A D’Alema voglio dire che i primi a rispettare l’esito delle primarie saranno gli iscritti, che continueranno ad amare il partito indipendentemente da chi vince». Poi, su Twitter rincarerà: «Il passaggio più applaudito da una platea di iscritti è stato quando ho detto che difenderò le primarie. Loro non hanno paura…». Marino, l’outsider, il senatorechirurgo, incalza: «La laicità deve essere un metodo irrinunciabile »; «le priorità sono scuola, ambiente e diritti, è l’indignazione il motore del futuro». Picchia duro contro «i capibastone» e i personalismi. In camicia e maglione, Marino. In giacca e cravatta, Bersani. In maniche di camicia, Franceschini: anche nell’abbigliamento i tre marcano le differenze. Alla fine, le polemiche. Su chi è stato applaudito di più, in primo luogo. «Le minoranze sono sempre più rumorose, gli applausi non durano», osserva la Bindi. La bersaniana Livia Turco: «Noi non ci siamo scatenati». Per Ugo Sposetti, supporter di Pierluigi, «la politica con la P maiuscola non è uno spettacolo». Il dalemiano Latorre: «Dario ha fatto il comizio della domenica». Spuntano pure veleni: «Franceschini si è portato la claque». Indignati i franceschiniani snocciolano i numeri della platea. Su laicità e bio-testamento Franceschini riceve un lunghissimo applauso. Anche quando Bersani definisce Berlusconi personaggio da “Pulp Fiction”, l’applausometro si accende.
La Repubblica 12.10.09

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Bersani-Franceschini: la sfida parte dalle alleanze, di Claudio Sardo

Il non-congresso del Pd comincia con il corale applauso di solidarietà a Giorgio Napolitano e finisce con il rilancio di Dario Franceschini, che attacca Massimo D’Alema per attaccare Pier Luigi Bersaní e che scatena i suoi supporter per vincere la gara dell’applausometro. Il tutto in due ore e mezzo. Tanto è solo l’avvio della competizione vera, quella che culminerà nelle primarie del 25 ottobre. La «convenzione» del Pd (così chiamata dallo Statuto) aveva il compito formale di proclamare i risultati del voto degli iscritti: tra i 450mila votanti Bersani ha prevalso con il 55%, contro il 37% del segretario uscente e l’8% di Ignazio Marino. Ma è inevitabile che diventi anche il palco del primo confronto diretto sotto i riflettori.
Bersani parla per primo, legge il suo discorso, cerca di delineare un’alternativa di governo e un quadro di alleanze. Nessun riferimento a polemiche interne. Franceschini invece va a braccio, risparmia gli sfidanti Bersani e Marino ma usa D’Alema come bersaglio polemico. All’outsider Marino, il solo senza giacca e cravatta, il compito di concludere. E dal suo punto di vista, di indicare se stesso come la scelta più «laica» e «innovativa».
Le sulle alleanze comunque che emergono le differenze più corpose tra Bersaní e Franceschini. Per il primo bisogna «riaprire il cantiere dell’Ulivo» con movimenti politici e civici disposti a dialogare col Pd. Ma al tempo stesso «lavorare per un più ampio quadro di alleanze». L’«organizzazione del campo dell’alternativa» per Bersani può cominciare da una comune risposta alla «deformazione populista» di Berlusconi: è la proposta di un progetto unitario di riforme istituzionali, rivolto a Udc e sinistra per marcare così la cesura più netta con la stagione «bipartitista» del Pd. Franceschini invece è molto freddo con i centristi: dice sì che bisogna fare «alleanze ampie» per le regionali, ma contesta «l’idea di appaltare il voto moderato al centro, magari aiutandolo a nascere. Così viene meno la ragione sociale del Pd». Peraltro, sui temi istituzionali, Franceschini rilancia non solo il bipolarisino, ma il principio della scelta diretta della maggioranza e del premier.
Nei confronti di Berlusconi i toni di tutti sono duri. Bersani chiede un’opposizione più «combattiva». Marino fa appello agli italiani che non si fanno intimidire dall’«arroganza» e della «volgarità» di Berlusconì.
Franceschini, se possibile, va ancora oltre, urlando che «l’anti-berlusconismo» non ha nulla di anti-italiano». E definisce il premier un «ominicchio». L’affondo contro D’Alema riguarda invece il partito, anzi gli iscritti. Per D’Alema un ribaltone alle primarie rischia di allontanare i militanti. Il segretario in carica gli risponde: «Se vincerò io, i primi a rispettare l’esito delle primarie saranno gli iscritti». E comunque assicura: «Se vincerò non toglierò mai al popolo delle primarie il diritto di scegliere il segretario».
In prima fila Franco Marini, suo sostenitore, ha appena finito di dire che lo statuto va cambiato. Insieme, ma va cambiato.
Il Messaggero 12.10.09

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Pd, è scontro sull’applausometro, di Angelo Bocconetti

Ovazioni per Franceschini, che sfida D’Alema. Gli uomini di Bersani: «Era una claque». La convergenza politica è nella garanzia offerta da tutti gli aspiranti leader: «Chiunque vinca, sarà il segretario di tutti». Ma siccome la corsa per conquistare la guida dei Pd è in pieno svolgimento, a far volare gli stracci basta e avanza la disputa sull’applausometro. Dario Franceschini ritiene di aver stravinto alla riffa del battimani, tanto da incassare le congratulazioni di Ignazio Marino, mentre alle latitudini di Pierluigi Bersani si parla di «claque organizzata», prima di correggere il tiro in un più cortese «le minoranze, si sa, sono sempre più agguerrite».
In realtà a segnare un punto a favore di Franceschini non è il gioco dell’applausometro, ma l’umore della platea della Convenzione Nazionale dei Pd. E l’umore raccolto dice che la competizione per la segreteria si giocherà all’ultimo voto, alle primarie del 25.
Franceschini ha scaldato i cuori di una platea che, in base allo statuto, era composta in prevalenza da simpatizzanti di Bersani: i 920 delegati presenti erano, al 55% aderenti alla sua mozione; al 37% in rappresentanza dell’attuale segretario; l’8% a sostegno di Marino. Ciascuno dei tre poteva invitare una ottantina di amici e simpatizzanti personali. Franceschini ha fatto il pieno cominciando con una mozione degli affetti, e dunque dicendo che da segretario vorrà con sè i i suoi competitor, ma ha scaldato i cuori indicando il suo atteggiamento verso il governo: «Nessuno mi chiede di fare meno opposizione, a migliaia mi suggeriscono di farne ancora di più».
Franceschini ha poi preso di petto le future alleanze: «Di tattica si muore.
Qualcuno lavora per fare nascere un nuovo centro che possa sostituire Berlusconi, ma poi questo centro, inevitabilmente, andrà a destra e noi resteremo all’opposizione per 35 anni. Non vorrei che questo partito, nato a vocazione maggioritaria, finisca per diventare un partito a vocazione minoritaria».
E così è stato servito Massimo D’Alema, fra i principali sostenitori di un centro forte. Ma il capolavoro di Franceschini è stata la stoccata al premier: «Diciamoci bene le cose, quando Berlusconi offende Rosy Bindi e tutte le donne italiane, si mostra per quello che è: un ominicchio. E questo non è antiberlusconismo, è dire la verità».
I delegati hanno fatto rapidamente il confronto con il giudizio di Bersani sui Cavaliere: «Lui è come Wolf, il personaggio di Pulp Fiction. Sono Wolf risolvo problemi. Ma finisce che lava soltanto la macchina». Alla platea è piaciuta di più l’impostazione di Franceschini, appellatosi all’orgoglio di chi si è sentito offeso per quella frase dei premier («La Bindi è più bella che intelligente»).

Alla fine, anche l’applausometro certifica questo clima: Franceschini ha ricevuto 38 applausi e un coro finale da stadio «Dario, Dario» (un risultato secondo soltanto alla standing ovation che tutti i delegati hanno dedicato a Giorgio Napolitano). L’entourage di Bersani non l’ha presabene. Dapprima ha cercato di spiegare che si trattava di claque appositamente convocata. Alla contestazione sulla composizione matematica della platea si è poi corretto il tiro: «Le minoranze sono sempre le più agguerrite». Ma c’è un episodio che conferma la vittoria di Franceschini: «Se fai ancora un piccolo sforzo, e riconosci le unioni civili e l’adozione per i single, allora puoi di diritto iscriverti alla mia mozione», si è congratulato anche il professor Marino, portabandiera dell’ala laica del partito.
Bersani è uscito con l’onore delle armi: il suo è stato un intervento più “di governo” che di partito. Ha spiegato che va «riaperto il cantiere dell’Ulivo», che «lucrare sulle disgrazie dell’altro schieramento sarebbe una tentazione suicida», che «è stato un grave errore non fare una legge sul conflitto di interessi quando si era maggioranza», che «bisogna recuperare quella parte del ceto popolare che guarda a destra». « È stato un discorso programmatico: Bersani vincerà proprio per questa sua serenità e per la qualità di offrire un’alternativa di governo» dicono nell’entourage dell’ex ministro.
A Marino resta assegnato il ruolo di coscienza critica: oltre alle questioni etiche, il “terzo candidato” ha fatto proprie le tesi sulla green economy di Barack Obama. Le tre ore e mezza di Convention, ieri, non hanno però nascosto del tutto i rancori personali che dividono ancora i vertici del Pd.
«A D’Alema voglio dire che i primi a rispettare l’esito del voto alle primarie saranno proprio gli iscritti che continueranno a sostenere il Pd», ha detto dal palco Franceschini. «Mi pare, onestamente, che l’unico progetto politico che ho ascoltato – gli ha risposto, dalla platea, l’ex ministro degli esteri – Per il resto ho sentito tante osservazioni giuste; altre molto meno».
Il Secolo XIX 12.10.09

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Tra Dario e Massimo e scontro aperto Il gelo di Marini, di Simone Collini

Massimo D’Alema rimane impassibile, la mano stretta a pugno davanti alla bocca mentre Dario Franceschini sferra il primo attacco: «Se lo dicono gli avversari che criticare il governo è antiberlusconismo e essere anti-italiani è normale, ma se questo dibattito parte da casa nostra…» e neanche si sente la fine della frase perché è un boato di applausi e urla quello che scoppia in sala. A fare un discorso sui rischi dell’«antiberlusconismo che sconfina in un sentimento anti-italiano» era stato giorni fa proprio D’Alema. Ma mentre Franceschini continua ad attaccare e l’applauso a farsi sentire, è la persona seduta accanto al presidente di Italianieuropei che si agita di più sulla sedia: Franco Marini ascolta il candidato segretario da lui sostenuto e sospira, il mezzo toscano nervosamente infilato tra le labbra e poi rimesso nel taschino.
Il fatto è che man mano Franceschini parla, si capisce sempre meglio che fino alle primarie il clima dentro il Pd sarà piuttosto caldo. «In questa ultima parte del congresso è importante che ci siano i toni giusti perché il partito ha bisogno, finite le primarie, di unità», dice Marini arrivando all’Hotel Marriott a chi lo avvicina. Un pio desiderio dopo l’intervento di Franceschini, per il quale Marini spende una sola parola: «Efficace». Mentre degli applausi che suscita dice con un sorriso: «E l’entusiasmo della minoranza».

I più maligni attribuiscono l’imbarazzo di Marini al fatto che se Franceschini imposterà le due settimane di campagna elettorale sul registro mostrato ieri, rischia di saltare quello che viene definito un accordo stipulato tra le parti. Ovvero, secondo il pronostico del rutelliano Renzo Lusetti: «Bersani segretario e Marini presidente del Pd». Sul fatto che il Pd dal 26 ottobre deve «lavorare unito» insiste però anche Romano Prodi nel suo messaggio. E comunque Marini non ci sta a passare per la testa di ponte nel fronte franceschiniano: «Ho coordinato per Franceschini la mozione a Pescara, ha ottenuto il 41,5%». E però al di fuori della sua terra, l’ex presidente del Senato non si è impegnato troppo per Franceschini.

Chi si impegnerà eccome nella campagna per le primarie è D’Alema, che sarà candidato nelle liste a sostegno di Bersani a Roma e che già oggi farà due iniziative in Toscana, per passare poi i prossimi giorni in un tour tra il Lazio, la Campania, la Puglia. «Non voglio neanche commentare», è il commento piuttosto eloquente che fa dell’intervento di Franceschini. Mentre il segretario uscente sferra il secondo attacco, questa volta con tanto di nome e cognome («lo voglio dire a Massimo, lo dico a D’Alema, i primi a rispettare l’esito delle primarie saranno gli iscritti»), D’Alema rimane di nuovo immobile. E non fa una piega quando Franceschini va all’attacco sul «partito a vocazione minoritaria».
E Rosy Bindi a sporgersi verso Marini: «Franco, questa non è correttezza, e lo sai». Il presidente di Italianieuropei, seduto tra i due, non pronuncia sillaba. Poi lascia il Marriott dicendo: «Lavorerò con ulteriori motivazioni per fare in modo che le primarie diano a Bersani la forza di realizzare questo progetto politico che, onestamente, mi pare l’unico presentato oggi». Un avvertimento che non sembra preoccupare Franceschini, che si mostra tutt’altro che pentito del taglio dato al suo discorso (definito da Nicola Latorre «un comizio domenicale») e degli attacchi frontali a D’Alema.
«Ha detto che sarebbe paradossale se vincessi le primarie e che non è certo che gli iscritti rispetteranno le regole che ci siamo dati», ricorda a chi lo avvicina nei corridoi del Marriott. E poi: «La mia è stata legittima difesa»
L’unità 12.10.09

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Veltroni sceglie la tv per spingere Dario, di Fabio Martini
In maniche di camicia e con la cravatta rossa, per lui oramai una divisa, Dario Franceschini sta trasformando il discorso della nomination in un comizio. E dopo 25 minuti arrembanti, si mette ad urlare: «Io non so cosa sia l’anti-berlusconismo, ma vi chiedo: è antiberlusconismo, è anti-italiano dire che lo scudo fiscale è uno schiaffo dato ai cittadini onesti? E’ anti-berlusconismo dire che il lodo Alfano è un insulto? E’ antiitaliano dire che è un ominicchio l’uomo che, offendendo Rosy, offende tutti gli italiani?».
Quasi tutta la platea applaude con entusiasmo e a quel punto Franceschini si sente autorizzato all’affondo più delicato. A Massimo D’Alema, che era arrivato a paventare una rivolta antistatutaria da parte degli iscritti davanti a una eventuale vittoria di Franceschini alle Primarie, il segretario risponde così: «Vorrei dire a Massimo che i primi a rispettare l’esito delle Primarie saranno gli iscritti, che continueranno ad amare il partito indipendentemente da chi vince!».
Dunque, il dado è tratto: davanti ai delegati eletti dai congressi di Circolo, Dario Franceschini, oltre a proporsi come “il” candidato anti-Berlusconi, suggerisce il vero avversario in vista delle Primarie: non Pierluigi Bersani, ma semmai Massimo D’Alema.
La vera sorpresa è la reazione della platea: le parole di Franceschini sono coperte da applausi prolungati e in quei momenti diventa plateale la “notizia” della giornata: il segretario uscente è riuscito a rubare la scena al segretario in pectore. Poco prima Bersani era stato sì applaudito ma senza grande pathos.
La sensazione di una vittoria ai punti di Franceschini per quanto effimera è rafforzata dal linguaggio del corpo dei principali sponsor di Bersani: mentre parlava il segretario, un corrucciato Massimo D’Alema è restato a mani conserte e quanto a Rosy Bindi (per parte sua applauditissima) si è voltata perplessa verso una platea che non riusciva a “riconoscere”.
Il “piano sequenza” è significativo perché nel grande salone del Marriott Hotel un albergone sulla Roma Fiumicino in occasione della Convenzione nazionale del Pd, è schierata una platea che riflette rigidamente le percentuali ottenute dai candidati-segretario nei congressi di Circolo: il 55% dei mille delegati e dei 255 invitati in sala sta con Bersani, il 37% sta con Franceschini, l’8 per cento con Ignazio Marino.
E che la partita si sia riaperta lo ha capito il fin qui copertissimo Walter Veltroni.
Dopo aver disertato la Convenzione, ieri sera l’ex leader del Pd ha fatto il suo intervento congressuale davanti alla platea “amica” di Fabio Fazio su RaiTre: «Voterò per Franceschini, ho grande fiducia in lui, può evitare che si infranga l’idea di un partito riformista».
Il messaggio di Veltroni, un ex Pci che ha ancora seguito nell’elettorato di sinistra, è questo: il Pd può sfasciarsi e l’unico che può salvarlo è Franceschini, un ex dc di cui ci si può fidare.
Ora il giudizio passa alle Primarie, fissate per il 25 ottobre.
Ieri i tre candidati per la prima volta si sono rivolti a una popolo più vasto di quello di partito. Per Bersani quaranta minuti da gran signore, privi di demagogia e di colpi bassi, dichiaratamente rivolti «all’Italia», ma sprovvisti di novità visibili, di proposte capaci di fare opinione. Berlusconi? «In 10 anni quale riforma si può ricordare e che non riguardi lui stesso?».
Lo slogan più arrembante di Bersani: «Ci vuole una politica di combattimento».
D’Alema? «Iscritti ed elettori decidono, noi ci atterremo alle loro decisioni». La politica delle alleanze? «Il Pd deve riaprire il cantiere dell’Ulivo».
I rischi per il Paese? «La deformazione populista degli equilibri costituzionali» e «il progressivo indebolimento delle prestazioni sociali ed economiche».
Per Ignazio Marino, «l’indignazione deve diventare il motore del nostro futuro».
Contenuta la vis polemica verso i notabili del Pd, riassunta nel consueto grido di dolore: «Che errore non aver risolto il conflitto di interessi quando si poteva!».
La Stampa 12.10.09

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“Non ci serve una copia di Walter” i bersaniani adesso alzano i toni, di Goffredo De Marchis

«Gli altri due discorsi non li commento nemmeno». Massimo D’Alema lascia di corsa la Convenzione democratica dettando alla stampa solo le sue parole di sostegno a Bersani. E molto contrariato, soprattutto per l’intervento di Dario Franceschini.
Antiberlusconiano ma anche antidalemiano. Intervento giudicato «volgare» dai suoi fedelissimi.
Ha capito l’aria che tira, D’Alema.
Il segretario in carica imposterà le ultime due settimane di campagna per le primarie contro di lui e contro il Cavaliere. «Da perfetto imitatore di Di Pietro».
Lui non vuole scendere a quel livello, anche se l’altro ieri ha chiesto le dimissioni del Cavaliere.
Ma al di là del fastidio, ieri dalemiani e bersaniani hanno toccato con mano la possibilità di un ribaltone il 25 ottobre. Ossia un Franceschini in rimonta, che sovverte il risultato del congresso degli iscritti. Se il leader attuale ha avuto più successo di Bersani davanti ai militanti selezionati secondo le percentuali dei circoli, che succederà nei gazebo? I sostenitori dell ‘ex ministro dell’Industria sanno adesso che non si può dormire sugli allori.
Controbattono, alzano il livello dello scontro. Ugo Sposetti, il battagliero tesoriere dei Ds, affonda il colpo: «Un Veltroni lo abbiamo già avuto e ci è bastato. Ha lasciato il vuoto di consensi e di idee. Non abbiamo bisogno di una sua copia». Bersani giura di non essere preoccupato. «Questo sono io spiega -. Niente demagogia. Più Prodi che Veltroni». E due.
«Abbiamo visto la differenza di chi parla alla pancia e chi al cervello.
Chi ha la claque e chi guarda al Paese», dice chiaro e tondo Sposetti. Si, i fan di Pierluigi accusano Franceschini di aver portato almeno 500 amici ultras. «Truppe cammellate», insistono i dalemiani ricordando i vecchi congressi democristiani. Sarebbero questi pasdaran ad aver trascinato i battimani, l’entusiasmo. «Entusiasmo delle minoranze», commenta sottovoce Franco Marini che è da sempre incline a un accordo tra gli sfidanti dopo il 25 ottobre ma da un po’ non sì capisce più per chi tifa. Ufficialmente, Franceschini. E ufficiosamente? Forse pencola per il pareggio.
Ecco il congresso. La competizione verso l’appuntamento del 25 comincia così. I colpi bassi vengono in superficie. Il sangue può scorrere. «Immaginare Bersani che torna a occuparsi di temi economici, se vince lui, è stata una brutta caduta di stile», è il nuovo attacco di Sposetti al segretario.
Piero Fassino invece gongola per la reazione dei delegati al suo candidato Franceschini.
«Pierluigi ha calibrato malissimo il discorso. Ha parlato da ministro non da leader. E la platea ha sentito questo scarto». Bersani ha davvero sbagliato il tono? Lui non è affatto pentito. «Ho parlato al Paese, ho cercato di dire come si può davvero battere Berlusconi».
Il dalemiano Nicola Latorre si scatena contro Franceschini: «Comizio domenicale». Poi ammette: «Se il discorso di Pierluigi lo avesse fatto D’Alema, le cose sarebbero andate diversamente».
Fassino racconta di non essersi stupito: «Bersani ha illustrato idee anche interessanti. Ma sembrava parlasse a un’assemblea di artigiani. Mentre Dario è stato perfetto, soprattutto sul fine vita». Bersani indirettamente ribatte: «Non cederò mai al dipietrismo. Io parlo di cose concrete».
E qualcuno, in platea, sa apprezzare la distinzione. La deputata toscana Silvia Velo commenta: «Sentito Dario? È un altro che fa regali a Berlusconi, come Di Pietro.
Con lui non vinceremo mai».
Tra le cose concrete incassate dall’ex ministro dell’Industria, va registrato l’endorsement di Guglielmo Epifani. Che significa la macchina Cgil, i voti del sindacato.
«Altro che applausi», ironizzano i suoi collaboratori. Gira voce che in cambio il segretario Cgil avrà la candidatura a governatore dell’Umbria il prossimo anno.
Adesso si muoveranno le strutture organizzative. Le liste dei candidati sono chiamate a fare da traino. Ignazio Marino punta sui giovani e il coordinatore della sua mozione Meta sottolinea: «Finalmente qualcuno parla di politica».
Franceschini schiera Sassoli, Serracchiani, Barraciu, acchiappa-voti delle ultime Europee. E in campo anche D’Alema. Oggi alle 12 ingaggia un duello sul filo dell’ironia con il blogger Diego Bianchi.
In una Roma develtronizzata correrà il 25 nel collegio popolare Tuscolano-Appio-Cinecittà. Ha già fatto dei sondaggi che danno vincente la mozione Bersani anche nel Lazio. E secondo i suoi calcoli, alle primarie potrebbero andare 3milioni di persone.
Una folla che non sembra spaventarlo.
La Repubblica 12.10.09

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Veltroni: «Voto Dario. E’ leale, virtù rara»
Le sue dimissioni da segretario: «Un grande dolore, ma era giusto che si sviluppasse una dialettica nuova. Avrei sbagliato a restare in mezzo». Il congresso di giornata: «Ho mandato un messaggio di auguri e buon lavoro, con affetto». Walter Veltroni ospite a Che tempo che fa parla del suo libro Noi e risponde anche alle domande di Fazio sulla politica: per chi voterà alle primarie? «Lo sanno tutti, ho grande fiducia e stima per Dario Franceschini che possiede una delle virtù rare in politica: la lealtà, lui crede nel progetto del Pd». Lo scenario politico attuale non è confortante, chiosa: «Dopo il terrorismo, non ricordo un altro periodo con così tanto odio, di scontro e violenza verbale: L ‘ltalia ha bisogno di una stagione dì riformismo. Ai bambini dobbiamo garantire un Paese civilmente migliore».
Corriere della Sera 12.10.09

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