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“Ricerca, italiani primi ma in fuga”, di Gabriela Jacomella

PISA — Evidentemente, non è solo questione di soldi. Perché i giovani ricercatori che si sono appena portati a casa i finanziamenti dello Starting Grant 2009, l’ambitissimo bando dello European Research Council, hanno solo l’imbarazzo di come spendere quel milione e 200mila euro (in media) di borsa. Su un punto, però, sembrano concordare: mai in Italia, o quasi. Anche quando è il Paese in cui hanno studiato e spesso vissuto finora. Qualche dato, tra quelli che saranno presentati oggi a Pisa, in una giornata di studi alla Scuola Normale: su 2.503 domande, per un budget disponibile di 325 milioni (i grant vanno dai 500 mila ai 2 milioni di euro; oggi, in Italia, l’ordine di grandezza dei finanziamenti «tradizionali» più corposi si aggira sui 100mila euro all’anno), quelle provenienti da ricercatori italiani erano 513, e in 434 casi era italiano l’istituto di ricerca candidato ad «ospitare » il progetto. I vincitori (età media, 36 anni) sono stati 237: tra questi, 32 studiosi italiani — ma solo 16 istituti di ricerca del nostro Paese.

L’Italia è dunque la prima nazione per numero di premiati, a pari merito con la Germania. Peccato che 18 di loro abbiano già la valigia pronta: le loro ricerche non si svolgeranno in laboratori del nostro Paese, bensì di Regno Unito (8), Francia (4), Spagna (3), Germania (2) e Svizzera (1). I candidati inglesi, per dire, vincono «solo» 18 borse, ma negli atenei britannici — il meccanismo dell’Erc prevede che si possa anche decidere di sviluppare la propria ricerca in istituzioni straniere — saranno ospitati ben 43 progetti. Nell’elenco dei centri premiati in Italia, per contro, solo due «ospiteranno» cervelli stranieri: all’Istituto di oncologia molecolare (Ifom) di Milano lavora già Dana Branzei, 34enne romena con dottorato in Giappone, mentre a Padova hanno assunto il chimico olandese Leonard Jan Prins, 35 anni. Un po’ poco, per controbilanciare la fuga verso l’estero dei 18 di cui sopra.

Consola, forse, che il nostro Paese sia primo per il numero di donne premiate. Così come constatare che le qualità per competere ci siano, eccome. Chi le possiede, però, spesso non abita più qui; e dall’estero, non li rimpiazza nessuno. «Il punto su cui riflettere — interviene Salvatore Settis, direttore della Normale — è che nonostante la cifra ricevuta, italiani e soprattutto stranieri non vogliono lavorare in Italia, perché non hanno fiducia nella nostra ricerca». «L’elemento scatenante di questa fuga — concorda Claudio Bordignon, direttore scientifico del San Raffaele di Milano—non è una carenza di strutture: se si cerca l’eccellenza, in Italia la si trova. Il problema è non sapere cosa succederà quando i soldi dell’Erc saranno finiti». «In tutto il panorama Ue — incalza Settis — non esiste un Paese in cui i concorsi per cattedra siano bloccati da 4 anni». La chiave, dunque, è la scarsa «affidabilità» di un sistema che non offre garanzie di carriera (ragionevolmente) rapida e livelli retributivi dignitosi. Non stupisce, quindi, che la giornata di oggi sia intitolata «Erc: una sfida per l’Italia»; a fare gli onori di casa, Settis e Bordignon, unici italiani del Consiglio scientifico dell’Erc. «Nel nostro Paese—chiude Settis—ci sono i soldi per il Ponte sullo Stretto e per la Tav, non per la ricerca. Eppure, soprattutto in tempo di crisi, è l’unica priorit à : lo dicono l a Merkel, Sarkozy, Obama. O sbagliano loro, oppure chi ci governa deve prenderne atto».

Il Corriere della Sera, 8 ottobre 2009

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“Pioggia di fondi alla nostra ricerca poi i progetti fuggono all´estero”, Laura Montanari

Bravi e ben formati, i ricercatori italiani, ma se ne vanno o se ne sono già andati: scelgono i laboratori e i centri di ricerca all´estero per portare avanti i loro studi. L´Italia non solo non argina la fuga dei cervelli, non riesce nemmeno ad attrarre scienziati da altre parti del mondo.È la fotografia che ci consegna l´Erc, l´European Research Council, la cassaforte che finanzia idee e progetti scientifici provenienti da ogni parte del mondo che verranno realizzati in Europa: nello Starting Grant 2009 saranno distribuiti 325 milioni di euro. Per i ricercatori italiani medaglie e spine. Siamo i più numerosi ad allungare la mano per cercare soldi, quasi una corsa all´oro: su 2.503 domande, quelle degli italiani sono 434 (nel 2007 erano state persino1600). «Segno che abbiamo fame» dice Claudio Bordignon, direttore del San Raffaele di Milano che con il direttore della Scuola Normale di Pisa, Salvatore Settis è nel consiglio scientifico dell´Ecr. Siamo anche primi nella classifica di chi li ottiene: 32, meglio di noi nessuno, al pari la Germania, a seguire la Francia. Un primato pure per le ricercatrici: le italiane sono quelle con più progetti approvati, 10 (la media delle quote rose in generale si assesta al 23%).
Le spine: dei 32 progetti italiani vincitori, ben 18 verranno realizzati oltre frontiera, soprattutto nel Regno Unito (8) e in Francia (4). Così precipitiamo al settimo posto nei Paesi che ospitano le ricerche più innovative. Sul podio sale il Regno Unito (43), la Francia (31) e la Germania (28). Perché? Carenza di laboratori, macchinari, centri di eccellenza? «In parte, ma il problema generale è la mancanza di prospettiva di carriera» spiega Settis. Il finanziamento dell´Ecr dura cinque anni: «è chiaro che un ricercatore si chiede: e dopo? Cosa potrò fare in quel posto, in quel Paese?». Altro indizio preoccupante: nei Grant 2009 sono soltanto due i ricercatori stranieri (un fisico olandese a Padova e una oncologa romena a Milano) che hanno scelto l´Italia per realizzare i loro studi. «Che i nostri ricercatori vadano all´estero è un bene, semmai riflettiamo sul perché non rientrano e su perché da fuori nessuno venga da noi a fare ricerca» dice Bordignon. Oggi alla Normale ci sarà una giornata proprio dedicata all´analisi dei risultati dei bandi 2009: l´European Research Council distribuirà dal 2007 al 2013 qualcosa come 7,5 miliardi di euro attraverso una iper-selezione realizzata attraverso i giudizi di scienziati revisori che sono al top delle singole discipline: dalle scienze umane e sociali, a quelle della vita, dalla fisica e all´ingegneria. Un grande investimento, una sfida per cercare di spostare più in là la conoscenza, l´innovazione e lo sviluppo. Nella lista dei vincitori c´è chi come, Licia Verde, a Barcellona indagherà sulle origini dell´universo, Leonardo Guidoni che dall´ateneo dell´Aquila e della Sapienza studierà i modelli per capire il funzionamento molecolare degli enzimi e promette di assumere due ricercatori italiani migrati oltre confine; c´è chi come Paolo Benigno della Luiss esplorerà cosa succede nelle economie quando ci sono delle rigidità salariali. I 237 progetti approvati, riceveranno fra i 500 e i 2 milioni di euro, somme elevate rispetto alla media dei normali finanziamenti nazionali. «In Europa nessuno ha i concorsi accademici bloccati da quattro anni – spiega Settis -. L´hanno detto Obama, la Merkel, Sarkozy: in tempi di crisi bisogna investire sulla ricerca, non fermarla. Serve che al governo qualcuno lo capisca. E invece ci sono i fondi per il ponte sullo Stretto, i fondi per la Tav italiana anche se costa 4 volte rispetto a quella francese, ma non ci sono fondi per la ricerca. Deve scattare una scintilla nella mente di chi ci governa. Possiamo sperarci?».

La Repubblica, 8 ottobre 2009