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“Politkvoskaja, a tre anni dalla morte”, di Andrea Riscassi

La tomba di Anna Politkovskaja al cimitero moscovita di Troekurov è diversa da tutte le altre. La lapide è un foglio bianco, un po’ piegato, trafitto da cinque colpi di pistola. I segni neri che quei colpi lasciano sul marmo simboleggiano una ferita che rimarrà indelebile nella coscienza della Russia. Come la scrivania che Anna ha dovuto abbandonare, a soli 48 anni, nella redazione della Novaja Gazeta. L’ufficio di Anna è rimasto come lei lo ha lasciato quel venerdì 6 ottobre 2006, suo ultimo giorno di lavoro. I suoi colleghi non hanno toccato un libro, non hanno spostato un foglio. Hanno aggiunto solo la sua foto, una delle poche dove lei (così severa con gli altri e con sé stessa) sorrideva. Da qualche mese, di fianco alla sua scrivania hanno aggiunto anche la foto di Natalia Estemirova, una sua amica, attivista per i diritti umani e bandiera dell’ong Memorial in Cecenia, rapita e assassinata qualche mese fa. Uccisa a colpi di Makarov, la stessa pistola utilizzata per sparare ad Anna, nell’ascensore di casa. La stessa pistola (un tempo in dote alle forze armate sovietiche) che di fatto è una sorta di garanzia di impunità. Non hanno bisogno di cambiare le leggi in Russia per spegnere la libertà di stampa. Utilizzano in vecchio motto brigatista: colpirne uno per educarne cento.
Doveva rimanere a casa a fare la massaia ripete spesso sul conto della Politkovskaja Ramzan Kadyrov, quel triste figuro che il Cremlino (guidato da tandem Putin-Medvedev) ha nominato a guidare la repubblica cecena. Per lui, la Politkovskaja, l’Estemirova e l’avvocato Markelov (per citare solo tre caduti in questa guerra, mai dichiarata, contro chi difende i diritti umani nella Federazione russa), sognavano un bel tribunale che lo processasse per crimini contro l’umanità. E invece è sempre lì a fare il presidente, circondato da decine di guardie del corpo e pronto, si dice, a passare lo scettro a un parente, anch’egli ovviamente accusato di essere il mandante di alcuni omicidi politici.
Doveva rimanere a casa a fare la massaia, dice Kadyrov, che la Politkovskaja chiamava (pensando a Dostoevskij) l’idiota. Eppure quel sabato 7 ottobre, Anna stava proprio facendo la massaia. Anzi, come tante donne di questo mondo maschilista, faceva la massaia, dopo aver fatto la mamma, la figlia e la giornalista. A differenza di Kadyrov, Anna riusciva a fare più cose contemporaneamente.
Doveva rimanere a casa a fare la massaia, dice quello che molti indicano come il mandante del killer. E questo faceva Anna quel giorno. Aveva fatto la spesa. Ma era troppa da portare in un solo viaggio di ascensore. Quando, riscendendo al piano terra, le porte si sono riaperte, la più grande giornalista russa ha trovato davanti a sé l’assassino.
Cinque i colpi che le ha sparato. L’ultimo quello di grazia. Via Lesnaja a Mosca è in una via semicentrale e molto trafficata. Ma nessuno ha visto l’assassino fuggire. Le telecamere hanno ripreso parte del suo volto. Ma giustizia non è stata fatta.
Uno dei paesi con il maggior numero di poliziotti e di agenti dei servizi segreti al mondo non solo non è riuscito a garantire che Anna Politkovskaja, la più coraggiosa giornalista russa, fosse protetta (aveva ricevuto centinaia di minacce). Non ha nemmeno fatto finta di cercare, seriamente, chi l’ha uccisa. Il processo ai suoi presunti killer va a fasi alterne. L’assoluzione in primo grado, il ricorso della procura, le nuove indagini.
Vivo da 42 anni in un paese che è maestro nell’arte di sotterrare la verità. Vivo in un paese che non ha perseguito i responsabili delle più infami stragi. E quindi non ho molta fiducia nella giustizia e negli organi inquirenti. Qui come in Russia. Ce lo spiegava bene Pasolini. Si può sapere, si può farsi un’idea di quel che è successo anche senza che un tribunale ci dica quel che è accaduto. Qualcuno ha ucciso Anna Politkovskaja nel giorno del compleanno di Vladimir Putin. Questo è un fatto.
Qualcuno avrà gioito e avrà brindato per festeggiare il suo omicidio. Questa è un’ipotesi.
In milioni, in tutto il mondo, la rimpiangiamo. E questa è un’assoluta verità.
A tre anni di distanza da quell’orrendo omicidio, di una cosa sono certo. Nessuno l’ha dimenticata. Anche quelli che fanno finta di niente. Anche gli amici di Putin, sempre numerosi nel nostro paese.
Quei segni sul marmo sulla sua tomba spero non facciamo dormire sonni tranquilli agli assassini, ai loro mandanti e a chi li protegge.

Articolo21.info, 7 ottobre 2009