Una giovane donna senza volto, che non lascia traccia al suo passaggio: la sua immagine non va riprodotta, la sua voce non va registrata. E, fino a qualche giorno fa, anche i suoi passi si confondevano con quelli di cinque uomini di scorta. Ora no. Ora che è a Partanna di Sicilia, la città da cui è dovuta fuggire 18 anni fa, le autorità hanno deciso che la cognata di Rita Atria e, come Rita, testimone di giustizia, non ha necessità di protezione. Eppure di qui sono i boss della mafia del Belice che lei ha contribuito a far condannare.
È tornata a Partanna 48 ore fa, per rivolgersi alla stampa. Perché? «La mia è una ribellione contro l’assenza dello Stato, che da 18 anni qui non si è mai visto. Lo Stato pretende di gestirci ma non è così. Il servizio centrale di protezione delega al prefetto sul posto. Un prefetto che non sa nulla di me e della mia storia. Io, comunque – quando si è scoperto il luogo dove abito – mi sono rivolta al prefetto e abbiamo concordato l’istallazione della video-sorveglianza. A maggio ho presentato i preventivi ai carabinieri ma le telecamere non sono ancora state istallate».
È vero che non ha più scorta? «I carabinieri mi hanno spiegato che sono uscita dal programma di protezione. Sono fuori. Ma, quando sono entrata, io firmai per accettare. Mi pare che dovrei accettare anche per fuoriuscire. Sarei la persona più felice del mondo se qualcuno mi consegnasse un documento in cui c’è scritto che sono fuori pericolo. La realtà è un’altra: fino a pochi giorni fa avevo 5 persone di scorta. Cosa è successo dopo?».
Come è stato il ritorno a Partanna? «Traumatico e bello. Ho ritrovato affetti e oggetti che avevo lasciato diciotto anni fa: foto, quadri dipinti da me, il mio letto da ragazza…»
Lei dipinge? «Faccio di tutto, ricamo e tutte le cose artigianali che mi impegnano le mani. Serve ad estraniarmi e a restare sola con Piera».
Posso chiederle la sua situazione familiare attuale? «Ho una nuova famiglia. Sono stata vedova per 7 – 8 anni quando mio marito fu ucciso. Poi ho avuto la fortuna della possibilità di riaffacciarmi alla vita».
Il suo primo marito era il fratello di Rita Atria? «Quando fu ucciso mio marito, prima io e poi Rita decidemmo di testimoniare. Consideravamo inconcepibile un’esistenza in cui le persone vengono uccise».
Che ricordo ha di Rita? «Era una ragazza stupenda, aveva 17 anni ma la sua maturità era di una donna di 40. Ed era molto sola. E quando è morto zio Paolo si è accorta di essere rimasta ancora più sola».
Zio Paolo è Paolo Borsellino? «All’inizio gli davo del lei, lo chiamavo onorevole. E lui mi disse: “Con tutto il rispetto, ma io non sono onorevole né voglio esserlo. Sono un semplice procuratore della Repubblica”. Sa, Rita aveva 17 anni, io ventidue, mia figlia tre. Fu lui a dirci di chiamarlo così».
Come seppe dell’attentato? «L’ho saputo dalla Tv».
Come era la vita prima dell’omicidio di suo marito? «Era una vita di sotterfugi, di ribellioni, di bugie, di botte. Quello che oggi per una ragazza è scontato, allora, per noi, era una conquista. Uscire con un’amica a mangiare una pizza, dire quello che pensi. Tutto questo era impossibile».
Sua figlia ha oggi l’età che lei aveva allora. «Va all’università. Studentessa universitaria (c’è una nota di orgoglio in Piera quando pronuncia queste parole, ndr). E l’ultima volta che l’ho vista mi ha detto “mamma, ricordati che hai una famiglia”».
Non è d’accordo con la sua battaglia? «Non riesce ad avere fiducia nello Stato. Del resto, che fiducia si può avere? Ci sono stati troppi giochi di potere in questi 18 anni».
Sua figlia avrebbe preferito che lei non fosse testimone di giustizia? «Pensa che se decidi di testimoniare devi sapere che lo Stato non c’è. Mia figlia, per esempio, a scuola l’ho iscritta io. Andai dal preside e gli dissi: “Spero che lei non sia un mafioso”. Credo che, in un primo momento, mi abbia preso per pazza. Non era mafioso, era un bravo padre di famiglia e mi ha aiutato».
Che ne è delle persone condannate per l’omicidio di suo marito? «Dei processi e delle condanne io so poco. A me non interessa. Mi interessa la storia. Mi hanno detto che qualcuno di loro è libero».
Il sottosegretario Mantovano ha detto che parlare di abbandono dello Stato nel caso di Piera Aiello è cosa destituita di fondamento… «Io sarei felicissima di essere fuori pericolo, ma nessuno ha scritto in un documento che le cose stanno così. Non è una questione politica, è in ballo la vita di persone innocenti. La commissione antimafia ha presentato una relazione sulla condizione dei testimoni, se ne sono occupati Giuseppe Lumia e Angela Napoli che è di An. Una relazione ignorata e boicottata».
Come è stata accolta a Partanna? «Non si è visto nessuno, tranne i parenti e qualche amica cara».
Lei ha rotto l’omertà, non è accettata, c’è paura? «Non ci sono stati comitati di accoglienza. Non si sono “sperticati” per venirmi a trovare».
E quando esce che atteggiamenti incontra? «Da quando sono tornata io vivo in galera, ma volevo arrivare alla conferenza stampa. Ora vedremo, certo non intendo stare rinchiusa a fare una vita monacale».
Pubblicato il 7 Ottobre 2009
“La testimonianza di Piera Aiello: sono rimasta senza copertura”, di Jolanda Bufalini
L’Unità, 7 ottobre 2009