Sabato ho partecipato al corteo indetto dai Coordinamenti precari scuola e confluito nella manifestazione per la libertà d’informazione. La condivisione di un’idea di scuola e società precisa, ma messa in discussione dall’attuale maggioranza politica, era tangibile… Da un lato il nostro sconforto e dall’altro l’assoluta consapevolezza di essere scesi in piazza per difendere la nostra scuola e il futuro dei nostri giovani. Non stiamo infatti tentando di far sentire la nostra voce con forza da mesi, semplicemente per i tagli che si sono abbattuti sugli organici quest’anno e che continueranno nei prossimi. Il nostro grido di protesta ha radici più profonde. Alla giornalista dell’Unità che mi ha chiesto perché ero in piazza, ho risposto che ero lì con mia figlia, 14 anni, per il suo futuro e quindi per quello dei nostri giovani che non può essere relegato alle politiche diseducative di questo Governo. Ovviamente ero obbligata ad una sintesi. Ma è chiaro che con quella frase volevo contrapporre quella che è l’idea di una scuola che possa formare i nostri giovani, attraverso valori forti, alla legalità, alla conoscenza, ad aprirsi agli altri e alle differenze, alla consapevolezza che lo studio è la chiave per affrontare il futuro, a quel messaggio scellerato che l’apparire, il denaro o peggio ancora l’arte dell’arrangiarsi, siano valori! L’approvazione del decreto sullo scudo fiscale come può essere definito se non un incentivo a frodare il fisco e ad evadere le tasse e quindi a disobbedire alle leggi dello Stato, tanto poi un qualche condono generale premierà chi lo ha fatto a tutto svantaggio dei cittadini onesti? Nel “Discorso agli educatori” di Dario Franceschini ho trovato molti elementi di riflessione che vanno in questo senso. È infatti vero che i tagli alla scuola “sono prima di tutto tagli alla civiltà” e che sempre più ci ritroviamo in una società in cui “non c’è più bisogno di educatori” poiché “bastano i venditori.” Franceschini ben individua quanto nel cambiamento dei valori di riferimento sia stato intaccato il ruolo sociale dell’insegnante, scrive infatti: “fino a qualche anno fa la figura dell’insegnante aveva un prestigio sociale di primo piano. Si trattava di uno status che prescindeva dallo stipendio che un professore o un maestro poteva percepire ma che aveva a che fare con la nobiltà della loro funzione. Con il riconoscimento dell’importanza del sapere come elemento decisivo nella formazione e nella vita delle persone. Oggi la realtà è diversa. In una società abituata a misurare il successo sul livello del reddito gli insegnanti hanno visto ingiustamente consumare il loro ruolo e la loro posizione nella scala sociale in modo proporzionale al valore delle loro retribuzioni.” Quanto sottolineato dal segretario del PD, lo avverto tutti i giorni. Intendiamoci non è il mancato riconoscimento di un ruolo sociale quello che lamento. Ma il motivo che porta a questo mancato riconoscimento. Vengo da una famiglia per la quale il valore dell’istruzione è stato sempre al centro delle scelte educative, a partire da mio nonno e ancora prima da suo padre, che agli inizi del secolo scorso più volte si recò negli Stati Uniti d’America, lavorando come un pazzo per mesi per riportare a casa un po’ di “contanti” che nel paesino della Ciociaria dove viveva facevano la differenza. E di quella differenza si è giovato mio nonno e i suoi fratelli, quindi mio padre che ha potuto studiare e trovare un buon lavoro e permettere così a me di studiare a mia volta. La persona che mi è mancata di più il giorno della mia laurea è stato proprio mio nonno, che purtroppo era morto da qualche tempo e che era già fiero del fatto che il tipo di facoltà che avevo preso avrebbe fatto di me un’insegnante, anche se faticava a capire cosa accidenti studiasse sua nipote, che si era iscritta, come diceva lui, a “fisolofia”! Mio nonno non avrebbe mai potuto lontanamente immaginare che la prima laureata della famiglia avrebbe dovuto faticare per trovare un lavoro e che a 46 anni ancora avrebbe lavorato ogni anno con un contratto che scade e che non le dà mai la certezza di lavorare l’anno successivo! Mio nonno non avrebbe mai potuto immaginare che avrei dovuto fare i salti mortali per arrivare alla fine del mese e meno che mai che la mia retribuzione potesse essere causa del mio posizionamento in basso nella scala sociale. E’ difficile comunicare ai nostri alunni, che hanno come modelli quelli televisivi, quanto sia importante la conoscenza, quanto il tempo passato sui libri possa essere il modo per leggere il mondo e aprirsi ad esso. Non serve per fare la velina o il tronista! Conta di più l’immagine! D’altra parte come posso essere un modello se dopo tanto studio sono ancora relegata al ruolo di precaria? Come può rappresentare la scuola nel suo insieme un modello se viene demonizzata come un covo di fannulloni? Come può rappresentare un modello se sulla scuola non si investe, se gli alunni vedono ridotto il tempo scuola (segno che c’erano un sacco di cose inutili da studiare), se il percorso di apprendimento-insegnamento viene interrotto tutti gli anni, se i gruppi classe sono sempre più numerosi, se gli alunni di piccoli paesi vedono le loro scuole chiuse e se quelli delle superiori vedranno venire meno l’indirizzo di studi che hanno scelto quest’anno? E’ a tutto questo che ci stiamo opponendo! La difesa del nostro posto di lavoro passa obbligatoriamente per la difesa della qualità della scuola pubblica, maltrattata e falcidiata dai tagli che sta subendo. La nostra battaglia deve essere la battaglia di tutti i cittadini, di tutti perché la scuola e il valore della conoscenza sono le fondamenta di una società che tiene al proprio futuro! Nel cielo di Piazza del Popolo sabato risuonavano le parole di Gramsci “Odio gli indifferenti…”, quando ho visto quello striscione sospeso nell’aria mi sono subito venute alla mente altre sue celebri parole: “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.”
6 ottobre 2009