Oggi giornata nazionale del nuovo movimento Scence for Peace
Il sapere è vita, benessere, pace. Ricordo spesso lo slogan della campagna londinese contro l’Aids: «Don’t die of ignorance », non morite d’ignoranza.
«Science for Peace» è il nome del nuovo movimento lanciato dalla Fondazione Veronesi che, con l’adesione di venti Premi Nobel e di esponenti del mondo della scienza e della cultura, si propone di diffondere una cultura di pace e di arrivare alla progressiva riduzione delle spese militari e al disarmo nucleare. Aderiscono all’iniziativa anche le 70 associazioni riunite nella Coalizione italiana contro la povertà, Emergency, Croce Rossa, Unicef, Medecins sans frontières, Save the Children e la Robert Kennedy Foundation. Il debutto del movimento è previsto per il 20 e 21 novembre con la prima conferenza mondiale a Milano, di cui è presidente Umberto Veronesi e vice presidente Kathleen Kennedy Townsend. Oggi, invece, è la Giornata nazionale di Science for Peace e l’obiettivo è quello di raccogliere adesioni da parte dei cittadini, cliccando l’area Science for Peace sul sito www.fondazioneveronesi.it.
Il rapporto fra scienza e pace è stato spesso offuscato, in passato, agli occhi della gente. Serpeggia ancora la convinzione che la guerra favorisca le innovazioni scientifiche. In realtà le grandi scoperte sono avvenute in tempo di pace e sono state sviluppate per la pace. Enrico Fermi ha realizzato la pila atomica come fonte di energia per l’umanità e certo non immaginava che sarebbe stata utilizzata per costruire la bomba atomica. Einstein ha scoperto la teoria della relatività in tempo di pace; la penicillina è stata scoperta nel 1928, in assenza di conflitti; la molecola del Dna, la struttura della vita, venne identificata dopo la fine dei conflitti mondiali. È innegabile che la creatività scientifica nasce e vive per il benessere dell’umanità. Purtroppo può accadere, ed è accaduto, che quando l’uomo la utilizza, non rispetti il suo fine; ed ecco che le applicazioni della scienza appaiono al servizio di scopi tutt’altro che umanitari, come la guerra.
La pace è la condizione ideale e la spinta più forte per la scienza e per lo sviluppo economico, due componenti strettamente legati l’uno all’altra. Basta guardare i Paesi ancora in balia dei conflitti armati, come quelli del Medio Oriente: senza pace non possono avere sviluppo economico e non possono far fiorire lo studio e la ricerca scientifica, e così non hanno alcuna possibilità di adeguarsi al progresso del resto del mondo pacifico.
Che fare allora? Io penso che la risoluzione dei conflitti attraverso la guerra è anacronistica. I conflitti si risolvono con la cultura: con l’informazione, la formazione e la presa di coscienza. In particolare la cultura scientifica rende l’uomo consapevole di quella che io chiamo la doppia sua natura. La conoscenza dei geni ha svelato da un lato la sua fragilità: la sua struttura biologica è comune, o molto simile, a quella di tutti gli altri esseri viventi, dalle piante agli animali; dall’altro ha rivelato la sua forza, che sta nella cultura, intesa come capacità di sviluppare il pensiero e utilizzarlo per il suo bene. Questo carica l’uomo di una responsabilità maggiore in confronto agli altri esseri viventi; ci fa pensare che la nostra esistenza merita una considerazione diversa e ci impone il principio che ogni vita umana è da rispettare. Più le singole persone saranno informate e consapevoli della propria natura, più saranno contro la violenza. La violenza non è innata nelle popolazioni. Ne è un esempio l’Europa: la Francia, la Germania, l’Italia sono oggi Paesi di pace, anche se fino a metà del secolo scorso hanno guerreggiato uno contro l’altro. Maggiore è l’educazione dei popoli, minore è il rischio di guerra. Chi è evoluto non prende in mano un fucile.
Ciò che noi, gli scienziati e gli uomini di pensiero, possiamo fare concretamente per la pace è fare in modo che le nuove generazioni, che non conoscono la guerra, non considerino neppure l’idea di impugnare una pistola. Il rischio che questo avvenga c’è, ed è legato anche al mondo dell’immagine e dei media. La circolazione delle immagini di violenza su web o sulle televisioni può trascinare i più giovani in un circuito infernale di reazioni che porta ancora alla violenza. A meno che non sia mediato dalla ragione, che è appunto lo strumento di lavoro della scienza.
Per questo gli scienziati hanno il dovere morale di comunicare, di parlare delle loro scoperte e dei loro progressi, anche quando le loro conoscenze sono incomplete. La gente ha molte paure e un tempo solo le religioni davano delle risposte. Ora è tempo che anche la scienza prenda la parola. Ho scritto un libro che uscirà il 12 novembre in Francia, «Le Nobel et le moine» («Il Nobel e il monaco »), dove affronto proprio questo tema. La fede ha avuto (e può continuare ad avere) un ruolo importante nel rispondere alle paure, ma le sue risposte sono dogmi assoluti. La scienza, invece, dà risposte spesso parziali, che provocano altre domande, ma che hanno il pregio di stimolare in questo modo l’articolarsi del pensiero e lo sviluppo della riflessione.
dal Corriere della Sera
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