150.000. A piazza del Popolo. E altrettanti nelle vie limitrofe, tutti per la libertà di stampa. Così la FNSI ha rimepito la piazza per dire No all’informazione al guinzaglio.
C’è il sole, allegria, ma la manifestazione inizia con un minuto di silenzio per la sciagura di Messina. Il primo a parlare è Franco Siddi, il segretario generale della Federazione, che invita Berlusconi a ritirare «il ddl Alfano sulle intercettazioni» e «le cause intentate contro i giornalisti. Al premier, al Parlamento e al governo – afferma Siddi – chiediamo di cancellare le norme che vietano l’esercizio del diritto di cronaca, e di consentire che le indagini giudiziarie possano svolgersi secondo l’indipendenza della magistratura. Al presidente del Consiglio chiediamo anche di cessare la campagna di accuse contro i giornalisti, di smetterla di additarci come farabutti e di dire finalmente la verità. Chiediamo all’onorevole Berlusconi e a tutti i politici che hanno intentato azioni legali contro i giornalisti – ha insistito Siddi – di ritirare le cause».
“Quello che sta accadendo dimostra una vecchia verita’, e cioe’ che verita’ e potere non coincidono mai”. Partiamo dalla fine della vera orazione civile di Roberto Saviano. Fa impressione vederlo sul palco, sotto il sole, di fronte a migliaia di persone e non braccato: “La liberta’ di stampa che vogliamo difendere – ha sottolineato l’autore di Gomorra – e’ la serenita’ di lavorare, la possibilita’ di raccontare senza doversi aspettare ritorsioni”. Ha ricordato come l’Italia sia “il secondo paese dopo la Colombia per il numero di persone che si trovano sotto protezione. Raccontare in certe parti d’Italia, soprattutto al sud, e’ complicatissimo – ha detto ancora lo scrittore – e costringe a dover difendere la propria vita”. Tra i nemici principali del dovere di raccontare, ha sottolineato Saviano, ”c’e’ l’indifferenza, che isola chi prova a descrivere la realta’. Ecco perche’ siamo qui’, per dire che ogni paese ha bisogno della massima liberta’
di espressione”. Un modo, secondo Saviano, anche per difendere la memoria ”dei giornalisti che sono caduti per e in nome della liberta’ di informazione”.
Il, pensiero dell’autore di Gomorra e’ andato poi alle
vittime della tragedia di Messina, ”frutto non della natura, ma del cemento. Se si permette a chi scrive di rispondere solo alla propria coscienza, probabilmente la parola avrebbe potuto contribuire ad evitare una catastrofe del genere. Raccontando in qualche modo e’ possibile trasformare la realta. Le mafie – ha concluso Saviano – ci hanno tolto l’uso di un termine fondamentale, l’onore: oggi, trovandoci quì, abbiamo dimostrato che il paese tiene al suo onore”.
In piazza Franceschini, Bersani e Marino.
“Penso che ci troviamo di fronte ad una grande prova della societa’ italiana, dei cittadini che dimostrano di avere ancora la capacita’ di indignarsi e di reagire”. Lo ha detto il segretario del Pd, Dario Franceschini, arrivando a piazza del Popolo. “Ora dobbiamo portare avanti questa battaglia in modo ancora piu’ determinato, perche’ e’ quello che ci chiedono queste persone”.
“Berlusconi dice che non ci sono problemi nell’informazione in Italia. Peccato che tutto il mondo dica il contrario e che anche questa piazza dica che il problema, invece,
c’e'”. Così Pierluigi Bersani ha replicato al premier sulla liberta’ di stampa in Italia. “Un presidente del Consiglio che possiede le sue tv, e influenza gli altri media, ha la possibilita’ di esercitare un potere ricattatorio su una sfera di interessi diffusi. Questa gente non chiede altro che un mondo in cui i giornalisti possano fare il loro dovere con serenita’- aggiunge- Perche’ se racconti
che la crisi non c’e’, stai prendendo in giro la gente”.
“Viviamo in un paese che, come dice il Censis, ha scelto per chi votare alle Europee formandosi la sua opinione nel 70% guardando i Tg e sappiamo che i Tg piu’ visti sono uno posseduto dal premier e l’altro controllato. Ma e’ evidente che il problema non e’ stato risolto quando il
centrosinistra era al governo”. Ignazio Marino, candidato alla guida del Pd, ammette la responsabilita’ del partito nel non aver fatto la legge sul conflitto di interessi. “Per questo chiedero’ al congresso un impegno comune perche’ se non viene garantito il pluralismo
in Rai si chiedano le dimissioni dei consiglieri di
centrosinistra e del presidente della Rai”. Marino ribadisce la necessita’ di ”discutere una nuova legge perche’ si vada verso un servizio televisivo che come dice il codice civile, abbia un amministratore unico e scelga i giornalisti sulla base della professionalita’ e del pluralismo come avviene nella Bbc”.
da www.partitodemocratico.it
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da la Repubblica, “Crolla il muro della finzione”, di Curzio Maltese
C’ERA un solo Paese, fino a ieri, dove si potesse definire una “farsa” una manifestazione per la libertà di stampa in Italia. Indovinate un po’, il nostro. Nel resto d’Europa e dell’universo democratico, l’anomalia italiana è ormai evidente a tutti. Bene, da oggi diventa più difficile per il potere negarla. La folla di cittadini che ha riempito all’inverosimile Piazza del Popolo e dintorni ha avuto l’effetto di far crollare un muro di finzione.
Ha portato un pezzo di realtà sulla scena pubblica, restituito un senso alle parole rubate dal marketing politico, come popolo e libertà, segnalato l’esistenza e la resistenza di un’Italia aperta al mondo, allegra e pronta a scendere in piazza per i propri diritti. Ed è un segnale del paradosso orwelliano in cui ci tocca vivere che proprio questa Italia si presenti in piazza al grido: “Siamo tutti farabutti”.
È crollata in un pomeriggio una finzione costruita da mesi e anni di propaganda. Quella per cui la questione della libertà d’informazione in Italia è soltanto una lotta di élites nemiche, di qui Berlusconi e i suoi media, di là Repubblica e un pugno di giornalisti di tv e carta stampata, spalleggiati dalla fantomatica Spectre internazionale del giornalismo di sinistra. Se così fosse, aggiungiamo, avremmo già perso da un pezzo, visto i rapporti di forza.
Ma la questione è altra ed è quella che vede benissimo l’opinione pubblica internazionale. Da un lato c’è una concezione classica delle libertà democratiche, per cui il governo e l’informazione fanno ciascuno il proprio mestiere. Dall’altro, il fronte berlusconiano, dove è affermata ormai a chiare lettere una concezione di democrazia mutilata in cui i media debbono astenersi dal criticare il potere politico, perfino dal porre domande non previste dal protocollo. Altrimenti rischiano ritorsioni economiche, politiche, giudiziarie.
Sullo sfondo di un irrisolto e monumentale conflitto d’interessi, il progetto di Berlusconi è di costringere l’intero campo dell’informazione a due sole possibilità. Una metà militante a favore del padrone, cioè servile. E l’altra metà comunque deferente.
Nei quindici anni di carriera politica, Berlusconi non era mai giunto tanto vicino a raggiungere questo obiettivo come al principio del suo terzo mandato. Una televisione e una stampa prone ai voleri del governo, in molti casi liete di fare da semplici megafoni, hanno scortato il premier fra infinite passerelle nella luna di miele con l’elettorato. Poi qualcosa si è rotto. Le voci non servili o non deferenti rimangono poche, ma suonano forte e soprattutto sono sostenute da un crescente sostegno popolare.
Perfino il pubblico televisivo, il “popolo” di Berlusconi, ha cominciato a ribellarsi a una rassegnata deriva. Per il re delle antenne, abituato a riferire dell’azione di governo prima (o solo) in tv piuttosto che in Parlamento, far segnare record negativi di ascolti, quando il “nemico” Santoro polverizza un primato dopo l’altro, è davvero un brutto segno di declino. La risposta di massa in piazza all’appello del sindacato giornalisti è un altro pessimo segnale. Pessimo, s’intende, per l’egemone. Magnifico per chi continua a pensare all’Italia come a una grande democrazia occidentale.
Non sappiamo se l’opinione pubblica è davvero e ancora “una forza superiore a quella dei governi”, come scriveva Saint Simon agli albori della democrazia. Nell’Italia di oggi è in ogni caso una forza superiore a quella di un’opposizione politica divisa, confusa e a giudicare dagli ultimi voti parlamentari anche distratta. Il potere ne è consapevole e infatti gli attacchi agli organi d’informazione in questi mesi hanno raggiunto toni mai toccati dalla polemica politica.
Per finire con una nota grottesca, parliamo del Tg1, ormai scaduto a bollettino governativo. Ieri sera il direttore Augusto Minzolini è intervenuto con un editoriale nel quale, dopo aver esordito definendo una manifestazione di cittadini in favore della libertà di stampa “incomprensibile per me” (nel suo caso, si capisce), ha ripetuto parola per parola gli slogan appena usati nel pastone politico dagli esponenti del Pdl.
Minzolini, che è quello senza occhiali – per distinguerlo da Capezzone – non è l’ennesimo portavoce del premier, ma un dipendente del servizio pubblico, pagato coi soldi del canone versato anche dai manifestanti. Anzi, forse più da loro che da altri. Dovrebbe tenerne conto e dare qualche notizia in più, invece di propinarci per la seconda volta il Berlusconi-pensiero mascherato da editoriale.
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