partito democratico

«Lo scudo non copre il Pd», di Pier Paolo Baretta*

Lo scudo fiscale, con il corollario dell’“amnistia” per i reati fiscali, è legge. La camera lo approva, dopo una mattinata turbolenta e con un numero di assenze eccessivo da parte dell’opposizione. C’è, indubbiamente, una componente fisiologica (malattia, missione). Nondimeno si tratta di una occasione persa, soprattutto per il Pd che aveva esplicitamente annunciato di volere impedire l’approvazione di questa legge.
Non solo per il suo inaccettabile contenuto, ma, anche, per il deterioramento del clima politico che l’ha accompagnata.
Dalla minaccia di Fini di stroncare il dibattito, al tentativo di buttarla in gazzarra che, sempre più, associa la Lega all’Italia dei valori, al lucido tentativo del Pdl di rendere residuale il ruolo della minoranza. In più occasioni si sentono tra i banchi della maggioranza affermazioni del tipo: «Noi rappresentiamo tutto il paese… noi siamo la sola cultura, la vera tradizione… noi rappresentiamo l’identità nazionale». Nessuno, sinceramente democratico, può, per quanto consenso popolare accumuli, sostenere di essere, da solo, tutto il paese, tutto lo stato, tutta la nazione.
Bisogna, dunque, rompere questa spirale, anche agli occhi di una opinione pubblica che, se ancora concede il suo consenso a Berlusconi, è, sempre più disorientata. Dobbiamo, insomma, intensificare il nostro ruolo di opposizione, ma dobbiamo farlo… buttandola in politica. Con la nettezza della nostra posizione in aula, compreso il ricorso alle necessarie tattiche parlamentari, abbiamo scongiurato il ricorso alla “ghigliottina”; i contenuti dei nostri discorsi hanno messo oggettivamente in difficoltà il governo e la maggioranza di fronte al paese, evitando di cadere nella tentazione di apparire, in gara con l’Italia dei valori, come i più eccentrici, con l’idea che “bucare il video” sia importante in sé. Il problema del Pd è più ambizioso: è di riuscire a recuperare una credibilità di governo, di essere percepito dagli italiani come una prospettiva alternativa all’attuale quadro politico. Il nostro problema è riuscire a cambiare le carte in tavola. Esiste, certamente, un serio problema di comunicazione e va scongiurato il rischio che il nostro congresso, che sta diventando un importante esercizio di democrazia, finisca per accentuare l’idea che siamo chiusi in noi stessi, mentre il paese viaggia verso altri orizzonti e altri guai. Ma, si pensi, allora, a quale benefico effetto, anche comunicativo, avrebbe avuto la non approvazione di una legge iniqua e sbagliata come questa.
Dobbiamo, pertanto, fare tesoro di quanto è accaduto in questi giorni perché situazioni analoghe si presenteranno ancora. Infatti, la linea del governo e della sua maggioranza è un crescendo di provocazioni e di intolleranza, dettate anche dal manifestarsi di una debolezza intrinseca all’azione di un governo che si dimostra, ancora una volta, molto bravo a prendere i voti e a conservarli, ma incapace di governare. Nel senso che la parola governo assume di fronte alle esigenze di un paese in difficoltà, diviso e a corto di prospettive.
E il merito di questo provvedimento è la palese e patetica dimostrazione di questo scarso orizzonte prospettico.
C’è da chiedersi, infatti, se anche dal punto di vista del governo il gioco valga la candela. Se, cioè, la scelta di allentare le maglie del controllo fiscale, di consentire una operazione che allenta il senso civico, che depotenzia la cultura fiscale del paese, sia compensabile dalla prospettiva di un entrata incerta e comunque poca cosa di fronte allo smisurato debito pubblico italiano che ha bisogno di ben altre cure di quelle assicurate dai condoni.
Il governo italiano sta partecipando attivamente alla lotta promossa dalla comunità europea ai paradisi fiscali, forse perché, in assenza di una politica economica degna di questo nome, pensa di trasformare l’Italia in un paradiso fiscale, anche se solo per chi ha evaso, visto che le tasse per chi ci vive e lavora sono ancora eccessive.
Forse è per questo che è sembrato non bastare il condono finanziario, ma si è scelta la linea del condono penale.
Ma non è soltanto la depenalizzazione di reati fiscali gravi ciò che scandalizza.
La garanzia dell’anonimato per chi usufruisce dello scudo e la possibilità di nascondere la provenienza illecita dei capitali evasi (si pensi ai patrimoni accumulati col riciclaggio o col terrorismo) hanno dell’incredibile.
È difficile ascoltare, per settimane, lezioni di etica, di morale da parte di esponenti autorevoli del nostro governo.
Assistere alla partecipazione ai convegni sulla dottrina sociale della Chiesa, sulle encicliche, soprattutto sull’ultima, da parte del nostro ministro dell’economia. Leggere contriti esami di coscienza sulle responsabilità del capitalismo, sulla necessità di darci nuove regole fondate sulla trasparenza e sulla legalità.
La verità è che nella contorta situazione nella quale si sta cacciando il governo è più facile scrivere libri sull’etica che decreti fiscali etici. Ma forse non dipende soltanto dalla volontà della politica.
Mi vengono in mente le dichiarazioni recenti del ministro Brunetta sui poteri forti. Ebbene, vedo ombre lunghe proiettarsi anche su questo schermo.

* capogruppo PD in Commissione Bilancio della Camera
da Europa

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