La provincia di Vercelli è lunga e stretta. In pianura, attorno al capoluogo, si allargano le risaie che, da queste parti, sono molto di più di una importante attività economica. Sono cultura, tradizione, lavoro. Ogni anno in questo lembo di terra vengono trasformati oltre3 milioni di quintali di riso, dai formidabili “Baldo” e “Carnaroli” ad altri tipi più popolari, ma sempre di grande qualità.
Dal basso bisogna seguire il fiume Sesia, o “la” Sesia come dicono familiarmente in tanti, e risalire piano piano, godendosi il paesaggio di paesi e torrenti, fino a incontrare le valli, le montagne. A Romagnano gli ipermercati e gli spacci delle grandi firme delle lane e dei tessuti segnalano il cambio di scenario, un’altra vocazione industriale fatta di aziende innovative e di lavoratori abilissimi. Inizia il ricco distretto del Made in Italy. Imboccare la Valsesia è un po’ come tornare a casa. Attorno al fiume generoso, e oggi limpidissimo, si è creata nel tempo una comunità di imprese e di lavoro,ma non solo. Qui, sotto il maestoso Monte Rosa che vigila sull’intera valle, sono state scritte pagine di storia della guerra partigiana e della Liberazione. La Valsesia sa come è nata la nostra Repubblica. A Borgosesia, il centro produttivo, c’è il Museo della Resistenza. Nel 1981 quando morì il comandante partigiano Cino Moscatelli arrivò il presidente Sandro Pertini a celebrare i funerali.
Per questo la sorpresa è grande quando, alla Camera del lavoro di Borgosesia, ci avvertono che il nuovo sindaco è una leghista, la signora Alice Freschi, archeologa, una creatura del parlamentare Bonanno, che viene considerato una specie di fenomeno politico da queste parti e ogni settimana compra pagine di pubblicità sul giornale locale “Notizia Oggi” per illustrare le sue iniziative. Possibile che ci siamo giocati pure Borgosesia? Dov’è finita la sinistra? Scomparsa…
Luciana Mancin, attivissima funzionaria della Cgil, racconta che il centrosinistra «aveva presentato come candidato sindaco un ingegnere un po’ aristocratico che faceva fatica a parlare con la gente e che dopo la sconfitta non saluta nemmeno più se lo incontri per strada». Fantastico. La consolazione, ed è per questo che l’Unità è salita in Valsesia, è nella vita e nei comportamenti delle operaie delle decine di fabbriche attorno. La recessione è arrivata anche qui, seppur senza i drammi sociali che si vivono nelle grandi concentrazioni urbane, e viene affrontata con serietà e pragmatismo. Sono in difficoltà le piccole aziende, gli artigiani, i terzisti che lavorano per conto dei grandi nomi. La crisi è soprattutto finanziaria, troppi debiti per fronteggiare un periodo ancora lungo di incertezze. Un grande nome come la Zegna Baruffa (che non c’entra col vero gruppo Zegna), 800 addetti, è in sofferenza. «Finora abbiamo governato la prima emergenza occupazionale facendo ricorso agli ammortizzatori sociali e speriamo, naturalmente, di poter veder presto la ripresa altrimenti il tessuto produttivo rischia di incontrare gravi problemi» analizza Luciana Mancin.
In queste fabbriche sono le donne a dominare, a indicare la direzione. L’occupazione tessile è in larga misura femminile. E sono state proprio le lavoratrici della Loro Piana, leader del cashmere, un nome conosciuto in tutto il mondo,a scegliere e condividere una via alternativa, concordata dal sindacato e dall’azienda, per superare la crisi. La Loro Piana è stata creata nel 1924, oggi occupa un migliaio di dipendenti nei cinque stabilimenti della zona. Ha un impianto anche in America. Il quartier generale è a Quarona, nei pressi di Borgosesia. Capitalismo familiare in stile piemontese, toni bassi e tanto impegno. E se i figli non studiano vengono spediti in fabbrica a imparare cosa vuole dire la fatica.
Maria Grazia Gritti, 39 anni e nove mesi di lavoro in fabbrica, neo pensionata, è una “rammendatrice”, una delle specialità più richieste nelle imprese tessili. Ha iniziato nel 1969, a 15 anni, con uncontratto di apprendistato a cottimo. Ha un figlio di trent’anni che fa il geometra. Racconta: «È stato il dottor PierLuigi (Loro Piana) a informare il sindacato che l’azienda aveva delle difficoltà perchè gli ordini erano calati. Bisognava fare qualche cosa per superare questo momento e nelle assemblee si è fatta largo la proposta di un patto di solidarietà tra tutti per evitare sacrifici più duri. Si lavora di meno, si taglia un po’ lo stipendio,ma nessuno perde il posto. Io ho preso questa occasione e sono andata in pensione, mi considero fortunata. La preoccupazione più grande è vedere tutti questi giovani che non riescono a trovare un posto vero, fisso. Sempre in ostaggio delle agenzie interinali. La crisi, purtroppo, rischia di mettere un lavoratore contro l’altro, si diventa tutti più individualisti ed è un grave pericolo».
L’impegno in fabbrica, i turni, i sacrifici per difendere i diritti sono i bastioni su cui, nelle parole di queste lavoratrici, le donne hanno costruito la loro dignità e conquistato un ruolo nel mondo del lavoro. Roberta Sasso, delegata Rsu della Loro Piana, ha appena finito il turno. Indossa la divisa dell’azienda: maglia verde, pantoloni beige. Ha una figlia di 23 anni. Sta a Castelletto, ogni giorno fa 30 km per andare in fabbrica e altri 30 per tornare a casa. «Ma non bisogna lamentarsi – dice – vedo tanti uomini e donne, ad esempio nelle fabbriche del biellese, che rischiano di perdere il lavoro, che stanno finendo la cassa integrazione e non sanno cosa succederà domani. A noi, per adesso, è andata bene, anche perchè la Loro Piana si è dimostrata un’azienda responsabile. Il nostro lavoro è organizzato sul “sei per sei”, si lavora sei giorni la settimana per sei ore.Con la solidarietà abbiamo perso sei ore, non lavoriamo al sabato e a noi donne, diciamo la verità, fa comodo stare a casa. Lo stipendio è un po’ più magro, ma l’azienda ci ha mantenuto i premi e la perdita è modesta. Per un anno andiamo avanti così e poi speriamo che la situazione migliori per tutti. Altrimenti sono guai grossi».
La sua collega Nadia Loro Ronco lavora al reparto prodotti finiti, cioè dove arrivano i cappotti, le giacche, i vestiti di Loro Piana. Lavora qui dal 1988. Ha una figlia di 11 anni. «Sono abbastanza ottimista, almeno per la nostra azienda. Abbiamo subito un colpo, perchè la crisi c’è dappertutto, ma vedo che l’attività non è mai cessata, gli ordini bene o male arrivano e adesso bisogna capire cosa succederà per il 2010. La nostra azienda penso sia messa bene, perchè la famiglia Loro Piana non ha mai smesso di investire, di innovare, ha sempre cercato di difendere le professionalità presenti in fabbrica. La cosa che più mi preoccupa è che i rapporti tra lavoratori stanno lentamente cambiando, la crisi e le difficoltà rischiano di dividerci, di allontanarci. Io vedo gli interinali, quelli che non hanno il posto sicuro, sono sempre ricattati, non possono maiagire liberamente. Li invitiamo alle assemblee, ma hanno paura. Questi giovani devono aspettare anni per essere assunti, e non è giusto». Il giro è finito. L’incontro con le lavoratrici dei lanifici è terminato. Si va in pizzeria. Nella piazza centrale c’è un palco disadorno, ingombrante. «Lo ha messo la giunta leghista: al sabato sera fanno un po’ di musica, la gente balla…» spiega la sindacalista della Camera del lavoro. Gli epigoni di Bossi al governo di Borgosesia: di questi tempi uno può immaginarsi di tutto, ma questa proprio no. È troppo.
L’Unità 30.09.09