ROMA – L’ultima notizia è che mancano i registri. Ossia quei fondamentali e temutissimi libri dei prof che servono per fare l’appello, dove vengono annotati i voti e i giudizi, l’attività scolastica e quella extrascolastica, la vita normale insomma di una classe di bambini o ragazzi, in un’Italia che si vorrebbe efficiente e competitiva. Scuola, le casse sono vuote e la povertà incombe. I bilanci sono in rosso e anche le briciole sono state spazzate via. Se i prof sono costretti a fotocopiarsi il registro, perché di soldi per comprarne di nuovi non ce ne sono più, a Palermo i tagli hanno fatto scomparire bidelli e ausiliari, e una delle conseguenze è che non c’è più nessuno che accompagni i bambini al bagno o li sorvegli nell’ora della mensa.
Accade ovunque, al Nord come al Sud: l’anno scolastico 2009/2010 è iniziato da pochi giorni e la scuola italiana manda bollettini da tempo di guerra. Per il secondo anno consecutivo il ministero dell’Istruzione ha erogato “zero euro” per i fondi ordinari, mentre centinaia di istituti attendono dallo Stato rimborsi milionari, e i creditori minacciano di tagliare utenze e forniture. Nelle scuole manca tutto: sapone, carta igienica, lampadine, detersivi, gessi, cancellini per la lavagna, fazzoletti per asciugarsi le mani, fogli, colori, pennarelli, cartoncini, per non parlare di materiale didattico appena un po’ più sofisticato come i libri della biblioteca, un microscopio, o qualche computer. A Napoli mancano addirittura i banchi, senza contare l’edilizia fatiscente e l’incognita del riscaldamento che già adesso molti presidi affermano di non saper come pagare. Oltre il 50% degli edifici scolastici, secondo il drammatico rapporto di Cittadinanzattiva, “presentano crepe, distacchi d’intonaco, cavi a vista, interruttori scoperti”, mentre si fa più serio il rischio sanitario connesso all’influenza A. “La prima prevenzione è quella di lavarsi le mani, ma tra saponi, salviette monouso e altro materiale dovremmo spendere circa settemila euro e non sappiamo proprio come tirarli fuori” ammette desolato il preside della “Goffredo Mameli” di Firenze.
Nel primo anno dell’era Gelmini la scuola si ritrova povera come mai prima d’ora dal dopoguerra. Le aule sono fredde, i servizi igienici al collasso, i laboratori un lusso impossibile, nonostante i contributi dei genitori che si autotassano fino 150 euro l’anno, escluse gite e visite culturali. E i tagli hanno falciato non solo i posti degli insegnanti, ma stanno mettendo a dura prova le più semplici esigenze della quotidianità. La drastica espulsione dei precari ha infatti ridotto ai minimi termini il numero del personale ausiliario. Così non si sa più chi deve portare i bambini a fare pipì o vigiliare sul servizio mensa. Tanto che alla “Santa Teresa del Bambin Gesù”, di Palermo, dopo aver invano chiesto l’assegnazione di una bidella, un gruppo di mamme ha deciso di fare una colletta per pagare una baby sitter esterna che “accudirà” le loro bambine durante l’orario scolastico. Una scelta estrema. Simile a quella di un gruppo di genitori di Bari che dopo aver restaurato a proprie spese la scuola, oggi a turno comprano acqua minerale, carta igienica, colori. Da Torino la dirigente scolastica Nunzia Del Vento, allarga le braccia: “Non abbiamo più fondi e viviamo nell’incertezza totale. Qui gli insegnanti hanno deciso di autotassarsi…”.
Storie piccole e grandi di chi prova a resistere. Rosaria Filetto è mamma di due bambine di 6 e 9 anni che frequentano la prima e la terza elementare alla “Piero Della Francesca” di Roma. “La scuola pubblica? È diventata privata. Ogni mese, tra i contributi fissi, i quaderni, le fotocopie, gli extra, spendo per le due bambine tra i 60 e gli 80 euro. E le maestre spesso uniscono più classi perché non ci sono i soldi per pagare le supplenze. Vi sembra un servizio pubblico questo?”.
La Repubblica, 25 settembre 2009