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“La distruzione del lavoro”, di Tito Boeri

In questa recessione abbiamo sin qui perso 562mila posti lavoro. È la cifra cui si giunge depurando dalle statistiche da ieri finalmente disponibili sull´andamento dell´occupazione dall´inizio della recessione al giugno 2009, i dati sul lavoro degli immigrati, viziati come sempre dalla complessità delle politiche di regolarizzazione nel nostro paese. È un conto destinato probabilmente a peggiorare nei prossimi mesi, dato che l´occupazione reagisce sempre con ritardo all´andamento dell´economia.

E dato che molti lavoratori hanno già esaurito la durata massima dei trattamenti di Cassa Integrazione. Tre posti di lavoro su quattro distrutti dalla crisi sono contratti a tempo determinato, collaborazioni coordinate e continuative e altri lavori autonomi che probabilmente malcelano posizioni di lavoro subordinato. Sono tutte posizioni non coperte dagli attuali ammortizzatori sociali considerati dal ministro del Lavoro e da quello della Funzione Pubblica (che gestisce di fatto i contratti di lavoro dei molti precari della nostra Pubblica Amministrazione) i “migliori del mondo”. Le perdite occupazionali più consistenti si registrano nel Mezzogiorno (-4 per cento), dove domina la piccola impresa, da cui si accede, nel migliore dei casi, a sussidi ordinari di disoccupazione della durata massima di 8 mesi. Al contrario di precedenti recessioni, la riduzione dell´occupazione questa volta non riguarda solo l´industria, ma tocca anche i servizi, soprattutto le costruzioni (-2%). E molti posti di lavoro nei servizi non sono coperti o sono coperti in modo del tutto insufficiente dai nostri ammortizzatori sociali, che riservano i trattamenti più generosi ai dipendenti del manifatturiero.
Ha ragione il presidente del Consiglio nel sottolineare che la disoccupazione in Italia è più bassa che in molti altri paesi europei. Soprattutto quelli nell´epicentro della crisi, come Spagna e Irlanda, hanno vissuto una impennata ben più rapida e drammatica della nostra dei loro tassi di disoccupazione. Il fatto è che l´Italia, come la Germania, peraltro colpita più di noi dalla crisi per via dei suoi fallimenti bancari, ha contenuto la crescita della disoccupazione misurata dalle statistiche, attivando strumenti selettivi, come la Cassa Integrazione, che consentono a una minoranza di lavoratori di non perdere il posto riducendo anche a zero ore il loro orario di lavoro. Sarebbero, secondo le indagini dell´Istat, circa 340.000 i lavoratori in esubero e ancora in qualche modo rimasti legati all´azienda che dava loro lavoro prima dell´inizio della recessione. Chiaramente non potranno rimanere in questa condizione all´infinito. In Germania si prevede che le imprese si metteranno a licenziare subito dopo le elezioni, quando si smetterà di finanziare la proroga dei Kurzarbeit, la Cassa Integrazione tedesca.
Da noi il parziale successo di questa operazione nel contenere la crescita della disoccupazione si basa su di una duplice scommessa. La prima è che per uscire dalla crisi non avremo bisogno di ristrutturare il nostro sistema produttivo. Durante le recessioni normalmente cambia la specializzazione produttiva e le imprese meno efficienti cedono il passo a quelle nuove, alla frontiera tecnologica. Avendo congelato i lavoratori in esubero presso imprese in crisi, si è di fatto ostacolato questa ristrutturazione verso i nuovi vantaggi comparati di paesi con il nostro grado di sviluppo, ristrutturazione che in Germania era già in gran parte avvenuta prima della recessione. La seconda scommessa, forse ancora più impegnativa, è che la nostra economia sia in grado di ripartire con insolito vigore, in modo tale da riassorbire rapidamente tutti questi lavoratori lasciati nel limbo.
Quel che è certo è che la Finanziaria approvata ieri dal Consiglio dei ministri non fa nulla per accelerare l´uscita della crisi e per renderla più forte. Non ci sono le tante riduzioni delle tasse sul lavoro promesse sotto l´ombrellone, ma neanche i grandi piani per lo sviluppo del Mezzogiorno annunciati subito dopo aver regalato 4 miliardi alla Regione Sicilia. Non ci sono fondi per la ricerca e l´università. Né ci sono risorse per gli ammortizzatori, in grado di coprire quel più di mezzo milione di persone che ha già perso il lavoro e che è stato sin qui ignorato. Una spinta alla nostra economia non verrà neanche dalle nuove regole della contrattazione. Il primo contratto di lavoro siglato dopo l´accordo del gennaio scorso, quello degli alimentari, si è chiuso ignorando del tutto le nuove regole, segno della loro impraticabilità. Per fortuna al tavolo questa volta c´era anche la Cgil. Una forte conflittualità legata a gare a rialzo fra sindacati che portano avanti piattaforme separate è qualcosa che proprio non possiamo permetterci in questo momento.

La Repubblica, 23 settembre 2009