La risposta della nostra generazione alla sfida climatica sarà giudicata dalla storia perché, se falliamo, rischiamo di consegnare le generazioni future a una catastrofe irreversibile. Nessun Paese, grande o piccolo, ricco o povero, può sfuggire all’impatto del cambiamento climatico.
E il tempo che abbiamo per rovesciare la situazione sta finendo. Eppure possiamo ancora rovesciarla. Come disse una volta John F. Kennedy «i nostri problemi sono causati dall’uomo, perciò possono essere risolti dall’uomo». È vero che per troppi anni l’umanità è stata lenta a rispondere o addirittura a riconoscere le dimensioni della minaccia climatica. Questo è vero anche per il mio Paese. Lo riconosciamo. Ma oggi è un altro giorno. Una nuova era. E io sono orgoglioso di dire che negli ultimi otto mesi gli Stati Uniti hanno fatto più di quanto non avessero fatto in tutto il loro passato per promuovere le energie pulite e ridurre l’inquinamento da anidride carbonica. Poiché però nessuna nazione può affrontare queste sfide da sola, gli Stati Uniti hanno sollecitato l’impegno di partner e alleati per trovare nuove soluzioni e messo il clima in cima all’agenda di tutti gli incontri diplomatici: con la Cina, il Brasile, l’India, il Messico, i Paesi dell’Africa e quelli dell’Europa.
Messi in fila uno dietro l’altro, tutti questi passi rappresentano un riconoscimento storico da parte degli americani e del loro governo: abbiamo capito la gravità della minaccia climatica. Siamo decisi ad agire. E ci assumiamo le nostre responsabilità di fronte alle prossime generazioni.
Quello che c’è da fare non è facile. La parte più ardua del viaggio è davanti a noi. Cerchiamo cambiamenti difficili ma necessari proprio nel mezzo di una recessione globale, quando la priorità immediata di ogni nazione è rivitalizzare la sua economia e riportare la gente al lavoro. Così ognuno di noi, nella sua capitale, deve fronteggiare dubbi e difficoltà, mentre cerchiamo soluzioni durature alla sfida climatica.
Ma oggi io sono qui per dire che le difficoltà non devono essere una scusa per l’autocompiacimento né i dubbi una scusa per l’inazione. Ognuno di noi deve fare la sua parte per far crescere le nostre economie senza danneggiare il pianeta – e dobbiamo farla tutti insieme. Non possiamo permettere alle vecchie divisioni, che in tutti questi anni hanno caratterizzato il dibattito sul clima, di bloccare il nostro progresso. Sì, i Paesi sviluppati che nell’ultimo secolo hanno causato la maggior parte dei danni al pianeta continuano ad avere la responsabilità della leadership – Stati Uniti compresi. E noi continueremo a farlo, investendo nelle energie rinnovabili, promuovendo una maggiore efficienza energetica e riducendo le nostre emissioni di anidride carbonica per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati per il 2020 e, più a lungo termine, per il 2050.
Anche i Paesi a crescita rapida, che nei prossimi decenni produrranno quasi tutto l’aumento di gas serra, devono fare la loro parte, impegnandosi a restrizioni severe e rispettandole, esattamente come fanno i Paesi sviluppati. Possiamo affrontare la sfida climatica solo se i Paesi che più inquinano agiscono insieme. Non ci sono altre strade.
Dobbiamo anche aumentare gli sforzi per mettere i Paesi più poveri e più vulnerabili sulla strada di uno sviluppo sostenibile. Questi Paesi, per combattere il cambiamento climatico, non hanno le stesse risorse degli Stati Uniti e della Cina, ma sono i più interessati a una soluzione. Perché sono loro a dover già convivere con gli effetti di un pianeta che si riscalda – carestie, siccità, scomparsa dei villaggi costieri, conflitti per la divisione delle scarse risorse. Il loro futuro non è più la scelta tra crescita economica e pianeta più pulito, perché la loro sopravvivenza dipende da entrambi. Non serve a molto alleviare la povertà se poi non trovi più acqua potabile. Per questo abbiamo la responsabilità di fornire a quei Paesi assistenza tecnica e finanziaria.
Quello che stiamo cercando, dopo tutto, non è soltanto un accordo sulle emissioni di gas serra. Cerchiamo un accordo che consenta a tutti i Paesi di crescere e raggiungere buoni livelli di vita senza danneggiare il pianeta. Sviluppando e disseminando tecnologie pulite e condividendo il nostro know how, possiamo aiutare i Paesi in via di sviluppo a liberarsi delle energie sporche e ridurre le emissioni nocive.
Sarà un viaggio lungo e difficile. E non abbiamo molto tempo per farlo. E’ un viaggio che chiede a ciascuno di noi di perseverare nelle sconfitte e combattere per ogni centimetro di progresso. Dunque, rimbocchiamoci le maniche. Perché, se saremo flessibili e pragmatici, se sapremo lavorare indefessamente in uno sforzo comune, raggiungeremo il nostro scopo comune: un mondo più sicuro, più pulito, più sano di quello che abbiamo trovato. E un futuro degno dei nostri figli.
Dal discorso del Presidente degli Stati Uniti al Forum del clima convocato da Ban Ki-moon alle Nazioni Unite.
La Stampa, 23 settembre 2009