Competizione e coesione sono le caratteristiche della società emiliano – romagnola. Le due grandi ideologie della sua storia, rivali tra di loro, ma che esprimevano entrambe il valore della solidarietà.
L’ironia guareschiana le traduce nella corsa in bicicletta di Peppone e don Camillo, ma “se uno si attarda l’altro lo aspetta”.
Questo ha consentito a questa regione un solido e qualificato welfare, uno sviluppo attento non solo alla dimensione economica e del profitto, ma anche dell’equa distribuzione delle risorse e delle opportunità. Un tale impianto ha costituito un modello di qualità della vita delle persone e di “capitale sociale”.
Nell’epoca della ricostruzione post – bellica c’era sia chi pensava che dentro al collettivo potesse migliorare la vita dei singoli, sia, viceversa, chi partiva dalle persone per arrivare all’emancipazione della società, ma tutti si sono impegnati per gli altri ed hanno contribuito ad affermare e ad allargare la coesione, che oggi può comprendere anche gli stranieri.
Terminata la guerra fredda, conseguito un maggior benessere, sembra che detti valori stiano regredendo ed emerga un nuovo tipo di conflittualità dovuto all’individualismo ed alla conservazione dei risultati raggiunti, che occorre tutelare con ogni mezzo e che è sempre più difficile condividere.
Il bene comune era un obiettivo non solo sul piano etico, ma anche pratico, ed ha animato le politiche regionali per diversi decenni, con il momento più alto quando è entrata in vigore l’autonomia delle regioni a statuto ordinario. La rete dei servizi sociali e le istituzioni territoriali hanno costituito la protezione per i lavoratori, per i più deboli, ma hanno anche sostenuto la ricerca e l’innovazione.
Consolidati alcuni standard, che restano tuttora invidiabili, è sembrato che la politica si sia chiusa nelle sue dispute autoreferenziali, e sebbene capace di assicurare risultati complessivi, ha perso il contatto con le persone e le comunità, le quali si sono sentite a rischio, soprattutto per paura degli immigrati, che, insidiavano non tanto l’incolumità personale quanto la sicurezza del benessere e del lavoro. Certi mestieri erano da tempo abbandonati, ma comunque la presenza degli stranieri diventava competitiva, nei ritmi produttivi, nell’abbassamento delle tutele sindacali, nelle remunerazioni, nell’accesso ai servizi, ecc., per cui gli italiani hanno temuto e temono un peggioramento complessivo delle condizioni, ora aggravato dalla crisi economica.
L’avanzamento del mercato, della globalizzazione, anche se mitigato da strumenti più vicini alle persone, come la cooperazione, e buoni ritorni economici, sembrano far calare la predetta rete sociale, incrementando una dimensione commerciale degli stessi servizi, dei beni collettivi, nonché dell’impresa e del lavoro. A ciò aggiungasi che il tessuto produttivo comprende tanti piccoli imprenditori e “partite iva”, che si sentono ancora meno rappresentati politicamente.
Tra queste incertezze si è infilata la Lega, che oggi costituisce la vera insidia all’operato del centro – sinistra, nel così detto radicamento territoriale, offrendo rassicurazioni, per ora soltanto a proclami, che però tende a sostituire quella politica che viene percepita in fase di allontanamento, che mostra una classe dirigente stanca, di funzionari politici, che lottano per la spartizione del potere.
Quello che dunque accadrà al congresso del PD sarà molto vicino alle prossime elezioni regionali e non riguarderà tanto problemi organizzativi quanto un progetto politico che rimetta al centro la coesione, rilanci i servizi, mantenga il livello diffuso di benessere.
In passato l’Emilia Romagna era un esempio di governo del territorio; alle recenti amministrative si sono avute spiacevoli sorprese e oggi si dice che la regione è politicamente “contendibile”.
Occorre invertire questa tendenza al declino riaprendo un rapporto di lealtà con l’elettorato; il consenso infatti è diminuito non tanto nella fase di elaborazione della proposta politica, quanto nel passaggio alla sua attuazione pratica.
Questo passa anche attraverso un rinnovamento della classe politica, l’adesione al partito passa spesso attraverso il candidato, il confronto avviene sul territorio.
E’ il territorio il punto di riferimento, è stato scritto anche nei sacri testi fondativi di un partito “federale”, ma il rischio è che la logica congressuale lo riduca ad una frazione dei consensi di ciascun leader a livello nazionale. Per esorcizzare dunque il pericolo delle correnti come unico criterio per il governo del partito, occorre una forte valorizzazione delle candidature regionali, in quanto punto intermedio della riorganizzazione dello stato, nell’ottica delle nuove autonomie costituzionali e della elaborazione della cultura politica e di governo che sa interpretare le nostre tradizioni, ma sa anche intercettare il cambiamento e sostenere lo sviluppo.
Se sembra naturale concentrarsi sulle mozioni dei principali candidati come al tutto del congresso, non si deve dimenticare che è il potenziale e la diversità delle parti ad offrire il valore aggiunto. Ci potrebbe dunque stare anche il voto disgiunto, per valorizzare la candidatura di Mariangela Bastico, sicura interprete, per storia e competenza, della realtà emiliano – romagnola, quella del “non uno di meno”.
Questa ipotesi è dettata dalla preoccupazione di governare una regione che ha fatto del messaggio politico un sicuro sostegno all’azione delle istituzioni e delle reti sociali. I recenti dati elettorali ci fanno capire che è necessario tornare su quei contenuti, per evitare che una certa disaffezione alla politica possa mettere a rischio un sistema che ha dato prova di efficienza ed equità anche oltre i confini del Paese.
Le elezioni regionali alle porte hanno bisogno di figure affidabili che sappiano coniugare la riflessione politica con la capacità di governo. Figure che una volta trovata una maggioranza per eleggerle operino davvero in maniera trasversale, cercando non solo di fare squadra all’interno, ma di avere la necessaria visibilità per dialogare con l’esterno, prima con le persone, portando loro un valido progetto, e poi nel cercare le alleanze di governo.
Le mozioni per le segreterie regionali hanno avuto meno diffusione di quelle nazionali, e, come era prevedibile, i media cercano di personalizzare il confronto, sapere per chi si vota, più che il perché. Votare Bastico significa innanzitutto pensare all’Emilia Romagna.
www.ulivisti.it, 21 settembre 2009