1. Lei ricorda che la “riforma” che porta il suo nome è stata approvata nel 2008, senza nessun confronto vero, attraverso tre decreti-legge (112, 137, 154), poi convertiti in legge ordinaria con voti di fiducia, praticamente senza discussione alcuna? Non ritiene che questo metodo abbia determinato ostilità, disagio, sfiducia nel mondo della scuola, tanto da mettere a rischio ogni idea di innovazione e riforma? Perché non accetta di confrontarsi serenamente con gli operatori della scuola? Di ascoltare almeno le loro ragioni?
2. Lei non crede di esagerare mostrando insofferenza verso ogni forma di critica, dissenso, preoccupazione per l’attuale situazione della scuola? Non vede il rischio del conformismo di facciata? Lei ritiene forse che la scuola debba pensare all’unisono obbedendo ad alcune verità pedagogiche obbligatorie? E che la scuola debba essere “governata” attraverso interviste e dichiarazioni in prima serata e non – invece – ascoltata in profondità, per coglierne le difficoltà, ma anche le molte risorse che essa sa esprimere, magari silenziosamente?
3. Lei non percepisce che la scuola è un sistema sociale esteso (che si articola in 42.000 scuole piccole e grandi in ogni contrada del nostro paese), che quotidianamente si relaziona con ragazzi, genitori, comunità locali? E che sarebbe opportuno tenere conto di questa grande fonte di coesione e dialogo sociale, anche fornendo adeguati mezzi per sviluppare appieno le potenzialità dell’autonomia scolastica? O forse lei ritiene che la scuola sia un semplice apparato amministrativo dello Stato, un corpo inerte cui far applicare comunque leggi non condivise nel profondo?
4. Lei sa che la consistente riduzione dei finanziamenti pubblici per l’istruzione (circa 7,5 md in un triennio su un budget annuale di circa 42 md) crea una oggettiva difficoltà al funzionamento delle scuole, mette in forse alcuni aspetti qualificanti del sistema educativo italiano (integrazione dell’handicap, inserimento degli alunni stranieri, organizzazione della scuola di base, capillare presenza delle sedi sul territorio)? Lei sa che lo Stato italiano spende il 7,4% dei bilanci pubblici per l’istruzione a fronte del 9,0% della media dei paesi OCSE? Non ritiene che una scuola più povera renda il nostro paese più povero?
5. Lei è al corrente che una delle sue prime riforme (quella della scuola elementare) vede fortemente critici gli insegnanti ed una parte consistente dell’opinione pubblica? L’indagine Eurispes 2009 stima che quasi il 70% degli interpellati esprima preoccupazione per la riduzione degli orari scolastici e per la scomparsa del lavoro di equipe tra i docenti. Non si accorge di aver procurato un danno enorme ad uno dei settori più delicati e qualificati della scuola italiana, come attestano le indagini internazionali (Timss, Iea, ecc.) e la persistente fiducia dei genitori?
6. Lei non ritiene che sia contraddittorio proporre il ritorno della figura del maestro unico nella scuola elementare, quando già nella scuola dell’infanzia operano due docenti contitolari (nel 92% delle sezioni), nella scuola elementare a tempo pieno 2 docenti contitolari per ogni classe (27% dei casi), che la grande maggioranza delle famiglie ha richiesto modelli arricchiti di tempo scuola (30 ore settimanali ed oltre), per i quali è comunque necessario garantire la presenza di più figure per completare l’orario, e che dunque è opportuno rafforzare il lavoro di team? Perché non si è messa nei panni dei tanti docenti elementari che in questi anni hanno lavorato insieme con passione e competenza, invece di irriderli affermando che il “modulo è morto e sepolto”?
7. Lei non crede che di fronte ai grandi divari tra le regioni italiane, nei livelli di apprendimento e nelle condizioni strutturali della scuola, sarebbe opportuno un grande sforzo condiviso, al di sopra delle parti, per aumentare le risorse, rinnovare le strutture edilizie, metterle in sicurezza, migliorare la qualità degli ambienti di apprendimento, dotarli di adeguate tecnologie? Come si concilia questo con le consistenti riduzioni di impegni (anche finanziari) nei confronti del sistema pubblico di istruzione? con il clima di conflitto (o di rassegnazione) che si va diffondendo nella scuola? con difficoltà crescenti con il sistema delle autonomie locali?
8. Lei non è convinta che insegnanti e dirigenti motivati, preparati, competenti, capaci di fare “squadra” siano la migliore garanzia di qualità della scuola? Lei è al corrente che negli ultimi anni i fondi per la formazione in servizio dei docenti sono stati ridotti del 70%? Pensa forse che qualche piattaforma informatica possa sostituire il gusto, il piacere, la voglia di fare ricerca didattica, di incontrarsi, di formarsi, di ritrovare il “senso” del fare scuola? Lo sa che la Fondazione Agnelli propone di incentivare il lavoro d’equipe dei docenti, mentre lei suggerisce una differenziazione che fa trasparire la solitudine e la competizione tra i docenti?
9. Lei non pensa che i programmi, i curricoli, i progetti più significativi per elevare la qualità culturale della nostra scuola dovrebbero essere il frutto di una elaborazione condivisa, trasparente, qualificata, in dialogo permanente con le comunità scientifiche, professionali, il mondo della scuola? Lei sa che di molti gruppi, commissioni di studio, consulenti, “esperti” che operano per progettare il futuro della scuola non è dato di sapere nome, qualifica, provenienza?
10. Lei non crede che sia giunto il momento di esprimere qualche gesto di simpatia, attenzione, fiducia verso gli insegnanti italiani, invece di amministrare solo tagli, riduzioni, contenimento di spese? Non sarebbe il caso di lanciare qualche idea forte, di innovazione vera, di qualità culturale elevata, per creare motivazioni, entusiasmo, passione verso l’insegnamento e l’educazione? Tra gli insegnanti? Nei genitori? Nell’opinione pubblica?
Per favore ministro, risponda…
ScuolaOggi, 21 settembre 2009