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«Con iscritti e primarie il PD funziona», di Carlo Rognoni

RITORNO ALLA BASE. E’ vero, si chiedono un inusuale sforzo di riflessione e un’assunzione di responsabilità. Ma questo è il sale della democrazia

Ancora una settimana e gli iscritti al Partito democratico avranno fatto e finito la loro parte: indicare i candidati alla segreteria del partito da sottoporre al voto delle primarie del 25 ottobre. Già perché non sono gli iscritti a scegliere il prossimo segretario del Pd. Non spetta a loro per le regole che il Pd si è dato. A loro tocca solo una prima indicazione: chi secondo loro è giusto che venga sottoposto al giudizio dei popolo delle primarie? Ed è quel popolo che è fatto soprattutto di non iscritti che sceglierà il prossimo segretario del Pd.
Qualcuno parlando di queste regole ne ha attribuito l’invenzione a una specie di dottor Stranamore della politica. In realtà è uno dei più grandi esperimenti di democrazia al quale milioni di persone sono invitati a partecipare.
E quelle che potrebbero sembrare davvero regole inutilmente complicate per un partito solido e strutturato, per il Pd che non è ancora un partito con una identità forte e precisa, al punto che dopo due anni è considerato ancora allo stato nascente, sono un passaggio e una scommessa decisiva non dimentichiamo che malignamente qualcuno continua a definire il Pd “il partito che non c’è”. Ebbene, se il 25 ottobre più di due milioni di italiani avranno preso la briga di farsi coinvolgere per la scelta del prossimo segretario, nessuno potrà più ironizzare.
Se pensiamo che un partito quello che ci governa è nato sul predellino di una mercedes a piazza San Babila a Milano, è facile capire la straordinaria portata e il grande valore democratico che ha questo modo di procedere nelle scelte.
Quello che è certo è che agli iscritti viene chiesto uno sforzo di generosità intellettuale fuori dal comune. Aloro, infatti, tocca un compito che va aldilà di quello che normalmente si richiede a un semplice militante. Devono indicare con il loro voto chi può riscuotere l’attenzione, stimolare l’impegno e la partecipazione del più alto numero possibile di elettori. Devono fare un doppio sforzo di riflessione: pensare per se stessi ma anche pensare per quei tanti molti di più degli iscritti che potrebbero essere indotti a dire la loro presentandosi ai gazebo il 25 ottobre.
Agli iscritti spetta una responsabilità pesante: scegliere in modo che l’entusiasmo passi da loro alla grande massa dell’elettorato, che la speranza nel Pd non sia solo di chi si è iscritto ma di un numero crescente di elettori. Devono riflettere su quali sono le condizioni perché si abbia voglia di andare a votare il prossimo segretario del Pd. Devono chiedersi che fare per ricreare quel entusiasmo, quella voglia di esserci che portò prima quattro milioni di italiani a votare per Prodi e poi tre milioni e mezzo per Veltroni. Hai detto un nespolo!
Se le primarie del 25 ottobre venissero vissute come un gioco chiuso, per il Pd vorrebbe dire subire un altro brutto colpo. Nessuno può nascondersi che dopo due anni dal Lingotto il Pd è andato progressivamente perdendo consensi fino a perdere 4 milioni di voti con le elezioni europee.
In qualche modo il pericolo che il confronto fra i candidati si potesse trasformare in una resa dei conti fra vecchi gruppi dirigenti è stato per ora evitato sia dal sistema di voto messo in campo per cui non sono gli iscritti a scegliere sia dalla presenza di un terzo uomo, del “guastafeste” Ignazio Marino, come ha detto qualcuno. La sua presenza ha avuto un primo effetto: aumentare considerevolmente il numero degli iscritti. Ma soprattutto ha dato alle primarie l’atout per trasformare il Pd in un campo aperto.
Qualunque sia il risultato del voto degli iscritti, saranno proprio le primarie ad avere un ruolo determinante, definitivo.
La presenza di Marino questo è quello che penso io ha fatto bene anche a Bersani e a Franceschini.
Senza Marino il confronto per la segreteria del Pd avrebbe avuto una lettura di sicuro meno appassionante: Veltroni contro D’Alema? Oppure Margherita contro Ds? Gruppi dirigenti che comunque hanno grandi responsabilità che si contano per contare di nuovo loro. La presenza di Marino costringe anche i migliori di quei dirigenti a confrontarsi con una realtà in movimento. Aver messo al centro il rinnovo delle classi dirigenti del Pd non è stata una operazione banale, non è una sciocca ricerca di nuovismo fine a se stesso. Vuol dire aver preso atto che il Pd può riprendere la sua strada, può sperare di decollare se ha l’ambizione di essere davvero un soggetto politico nuovo e non la somma mal riuscita di ex.
da Il Secolo XIX

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