Abbiamo scoperto l´origine dell´uomo; abbiamo capito che un petalo di rosa, un ippopotamo, e tutti gli esseri viventi, sono simili tra loro; abbiamo imparato a trasferire geni da una specie all´altra per ottenere farmaci, come l´insulina, che salvano migliaia di malati; oppure per ottenere piante che producono più cibo.
Centotrenta milioni di ettari nel mondo producono piante geneticamente migliorate per combattere il disastro della fame. Abbiamo imparato a identificare con più sicurezza l´autore di un crimine. Sono i primi risultati della Rivoluzione del Dna, a cui è dedicata la Conferenza Mondiale sul Futuro della Scienza, che si apre oggi a Venezia. Non tutti ci rendiamo conto di vivere un´epoca nuova in cui, per la prima volta, disponiamo di conoscenze e mezzi per intervenire su ogni forma di vita, compresa la nostra: sul suo inizio, la sua durata, la sua qualità. E poiché tutti noi vorremo vivere meglio e più a lungo, e la maggior parte di noi si riproduce e si ammala, il dibattito sul Dna ci tocca inevitabilmente da vicino.
Tre gli interrogativi più urgenti che siamo chiamati a risolvere. Il primo è se è lecito modificare geneticamente gli esseri viventi, interferendo con l´ordine naturale delle cose. Il secondo è se la conoscenza dei geni individuali può fornire informazioni preziose su come siamo e come saremo, senza metterci a rischio di discriminazioni. Il terzo è se correggere alcuni aspetti sfavorevoli del genoma, può incoraggiare la cosiddetta eugenetica. Il primo quesito riguarda le inconciliabili visioni della vita di chi ha fede e chi non ha fede. Per i credenti, in linea di principio non si potrebbe toccare in alcun modo il Dna, perché così è stato creato da Dio ed è dono ed espressione della sua imperscrutabile volontà. Nella pratica, la Chiesa ha tuttavia accettato il trasferimento genico per ottenere farmaci o piante ed ha approvato anche la terapia genica, cioè l´inserire alcuni geni nelle cellule di un paziente per curarne la malattia.
Dunque per salvare una vita o migliorarne la qualità, nessun problema è stato posto a fronte dell´intervento dell´uomo sul genoma. Le difficoltà sono iniziate a sorgere quando la medicina ha pensato di intervenire prima della nascita. All´origine di oltre 6000 malattie (tra cui alcune drammatiche come la distrofia muscolare, la Corea di Huntigton o la fibrosi cistica) c´è un gene difettoso che si può trasmettere da genitori a figli.
Con la diagnosi prenatale, quotidianamente praticata negli ospedali, è possibile individuarlo e decidere di interrompere la gravidanza per non mettere al mondo bambini malformati e destinati al tormento e alla morte precoce. La barriera è stata poi sollevata dalla Chiesa di fronte alla diagnosi preimpianto che, in caso di fecondazione assistita, permette di introdurre nell´utero materno, fra gli embrioni generati (poiché in ogni caso non tutti possono essere impiantati), quelli che non presentano importanti difetti genetici. Se la diagnosi preimpianto non fosse ideologicamente osteggiata, potrebbe essere applicata più ampiamente e diventare, nel caso di genitori portatori di malattie genetiche, uno strumento per ridurre il numero degli aborti. Infatti la diagnosi prenatale conduce, in caso di accertato danno genetico grave, all´interruzione di gravidanza, che è sempre un evento doloroso e traumatico per la donna, che può essere evitato se la diagnosi avviene prima dell´introduzione dell´embrione nell´utero.
Per il primo quesito dunque c´è già la riposta del mondo laico, secondo il quale il DNA offre preziose possibilità per curare e prevenire, che non dovrebbero essere precluse per principio, ma applicate nel rispetto della volontà della persona. Il secondo interrogativo riguarda la cosiddetta medicina predittiva. Oggi noi possiamo esaminare il Dna di un bambino e capire per quali malattie è maggiormente a rischio. Saperlo può essere utile dal punto di vista medico, ma angoscioso dal punto di vista psicologico e pericoloso dal punto di vista della protezione dei dati personali. Ma l´idea che gli individui abbiamo il diritto inviolabile di decidere e controllare le proprie informazioni biologiche, non è in discussione.
Chi non vuole sapere ha il diritto di non sapere e non far sapere. Il problema della privacy è senza dubbio complesso, ma la legge è alleata alla scienza nel delineare la linea di confine fra l´abuso delle informazioni personali e la paralisi della ricerca scientifica. Inoltre va ripetuto che la scienza applica solo quelle conoscenze che sono utili per il benessere dell´umanità o degli individui. Anche per questo, il terzo quesito credo sia da non considerare tale. Il termine «eugenetico» era nato un secolo fa negli Usa, quando le conoscenze del Dna erano ancora lontane, al fine di migliorare l´umanità. Poi, con il nazismo, la parola ha acquisito un significato deteriore, giustamente negativo, legato alla ferocia e alla follia del concetto hitleriano della razza. Oggi il termine eugenetica è ormai abbandonato: nessuno vuole «migliorare» gli esseri viventi, ma solo tutelarne la salute. A nessuno interessa avere più bambini biondi, ma tutti desiderano non avere bambini malformati o con malattie che conducono a infinite sofferenze e morte prematura.
da la Repubblica
Pubblicato il 20 Settembre 2009