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«Quell’azzardo da respingere», di Salvatore Bragantini

C’è un indicatore infallibile del grado di civiltà economica di un Paese: l’attrazione che esso esercita su coloro che fanno la gimkana fra le norme del Codice Penale. Se per altri temi siamo poco attraenti, qui andiamo forte: pensiamo al falso in bilancio. E ancor meglio andremo se la settimana prossima passerà la proposta, all’esame in Parlamento, di estendere la copertura dello «scudo fiscale» — il cui testo già mette al riparo dal reato di evasione — anche ai procedimenti penali in corso. Il ministro dell’Economia lo esclude, ma questa è la proposta della maggioranza. Essa va respinta.

Già il termine «scudo» dice tutto: il fisco è visto come un aggressore, cui va opposto un impenetrabile scudo.
Nella sua prima edizione, il provvedimento venne definito come volto a «recuperare la ricchezza all’estero di italiani onesti… colpevoli solo di non aver dichiarato onestamente le tasse». Questi onest’uomini se la cavarono pagando — senza svelare il proprio nome — un modesto 2,5% della somma denunciata: il costo di uno spallone.
Dopo la seconda edizione, arriva ora la terza, che costa il 5%: in pratica una tassazione al 50% forfetario dei soli interessi presunti. Il capitale in sé è esente, soprattutto resta l’anonimato.

Le obiezioni al provvedimento sono molte. Per cominciare, un’amnistia richiede una maggioranza di due terzi, e ce ne vogliono di cavilli per sostenere che tale non è l’ultima proposta. Per il ministro, il nostro progetto è in linea con quello degli altri principali Paesi, ma come ha scritto M. Cecilia Guerra su «La voce.info», si sbaglia.
Negli Usa l’imposta è dovuta, oltre che sugli interessi, anche sul capitale, se non ha pagato le tasse all’origine: si aggiungono poi altri balzelli vari, ma soprattutto la dichiarazione è nominativa. C’è una bella differenza!
Per massimizzare l’incasso ora la maggioranza pensa ad uno zuccherino per i delinquenti: allegria! Per un ministro che decanta l’economia sociale di mercato e si dipinge come un Robin Hood, tutta questa legge è un azzardo.

Essa toglie ai poveri per dare ai ricchi: viene piuttosto in mente lo sceriffo di Nottingham. Uno Stato che rinunci a far valere i principi su cui si fonda il contratto sociale ne prepara il collasso, lo ha scritto spesso sul «Corriere» Giulio Tremonti. Perché poi favorire solo gli evasori cosmopoliti, e non anche quelli caserecci? Tutti sono uguali davanti alla legge, diamo anche a loro una chance!
La malavita organizzata pesa su vaste aree del Paese: sarebbe triste constatare che trova difensori in Parlamento. La maggioranza fa della sicurezza la propria bandiera, ma la nuova proposta dà man forte a chi la mette in pericolo; data la presa che il governo ha sulla maggioranza, sarebbe arduo incolpare qualche parlamentare sciolto. Gli interessati, poi, scrutano ansiosi il profilo dello scudo n˚ 4, magari verso la fine della legislatura. Forse che per allora sarà finita la ricerca del gettito aggiuntivo?

Mai nella storia dell’Italia democratica la separazione dei poteri è stata così debole, mai il presidente del Consiglio è stato l’uomo più ricco del Paese, e dominus dell’informazione televisiva. Se non si cambia registro, è inutile prendersela con gli stranieri cattivi che ce l’hanno con noi. Gli attenti osservatori della nostra storia, poi, sanno che alcuni dei nostri grandi scandali finanziari videro le istituzioni non già a fianco di chi li combatteva, ma dei delinquenti: pensiamo al caso Sindona, al Banco Ambrosiano, all’Italcasse. Ne va del buon nome del Paese.
Se Tremonti fa sul serio, bocci almeno questo zuccherino con un ultimatum: o io, o i delinquenti. Ha già funzionato.

dal Corriere della Sera Economia