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«Purché l’arte non sia messa da parte», di Cesare De Seta

L’insegnamento cancellato dai programmi di molti istituti. Ignorando la lezione di civiltà.

Il presidente Sarkozy il 5 luglio del 2007 inviava una lettre de mission al ministro dell’Educazione Darcos in cui si legge: “Noi desideriamo che l’insegnamento della storia culturale e artistica sia rafforzato perché è un fattore di crescita individuale e collettiva e, in un paese come il nostro, elemento d’identità nazionale. Lei introdurrà a tal riguardo un insegnamento obbligatorio di storia dell’arte”. La disposizione verrà ribadita in agosto al ministro della Cultura Abanel. Dunque un paese nel quale la storia dell’arte non era mai entrata nei programmi scolastici, vi entrerà dalla porta principale. Progetto che per decenni aveva visto inascoltati gli appelli di André Chastel che portava a modello l’Italia, dove l’insegnamento era stato inserito nelle scuole superiori dalla Riforma Gentile nel 1923.

Purtroppo negli ultimi decenni la storia dell’arte ha avuto un destino ingrato. I governi della Repubblica non hanno mostrato nessun interesse al riguardo: anche se presidenti e ministri sono sempre presenti a ogni vernice di mostra di rilievo. Flatus vocis. Il degrado è stato tale che se non fosse stata per la tenacia degli insegnanti di storia dell’arte (Anisa), di alcuni autorevoli studiosi – a partire da Argan – la deriva si sarebbe risolta in un’eutanasia dell’insegnamento e nell’azzeramento della disciplina nei programmi scolastici.

Non mancano teste gloriose che ritengono l’insegnamento inutile. Dinanzi a una così grave crisi il 22-23 maggio promovemmo un convegno italo-francese all’Istituto italiano di Scienze umane a Firenze che fece il punto e lanciò l’allarme. La Francia, forte del deliberato di Sarkozy, partecipò con alte autorità dell’Educazione nazionale, le nostre brillarono per la loro assenza. In conclusione fu stilato l’Appello di Firenze, indirizzato alle più alte cariche dell’Unione europea, in cui si ribadiva l’esigenza che l’insegnamento obbligatorio della storia dell’arte entrasse nei programmi di formazione di ogni giovane cittadino europeo. Come si fa a capire qualcosa della nostra civiltà se non si ha idea di Velázquez o Rembrandt, di Michelangelo o Borromini, di Dürer o Picasso? Parte essenziale del Dna della civiltà europea. L’appello sortì un esito persino superiore alle attese. Lo hanno sottoscritto in tutta l’Europa intellettuali come Umberto Eco e Pierre Rosenberg, i direttori dei maggiori musei e migliaia di studiosi e cittadini. Ma sul nostro paese le nuvole s’erano addensate, perché la bozza di riforma Gelmini, resa nota in giugno, falcidiava ulteriormente le già risicate ore di insegnamento. Battendo il chiodo l’impegno dell’Anisa, del Fai, le inziative parlamentari – ragionata l’interpellanza dei senatori Rutelli e Zanda – hanno rotto il muro d’indifferenza. Infatti nell’ultimo deliberato della Riforma Gelmini le nuove bozze dei quadri orari assegnano 2 ore di storia dell’arte nel triennio di tutti gli indirizzi liceali, 3 nel quinquennio di quello artistico e 2 in quello musicale. È un primo non trascurabile risultato.

Ma sorprende negativamente che negli istituti tecnici e professionali si preveda la riduzione delle ore e in taluni casi l’eliminazione (indirizzo moda). Tra essi l’indirizzo turistico e non si vede che ragione ha d’essere se non s’insegna l’arte a chi deve introdurre in Italia i molti che vengono a visitarci per quanto offriamo in arte, centri storici e contesti paesistici. Moneta sonante! Così non si spiega la cancellazione dell’indirizzo Beni culturali all’artistico, incongruente con l’esistenza della facoltà universitaria di Beni Culturali. Ci conforta che, all’allarmata lettera inviata al presidente Napolitano, questi abbia risposto il 27 luglio: “Per quanto mi consentiranno le mie competenze, non mancherò di sostenere la validità e la sempre maggiore diffusione dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole”.

da www.espresso.repubblica.it