Gli economisti: «Sono il mercato emergente. In cinque anni il reddito globale femminile crescerà del 50%».
Se per un’impresa trovare un mercato promettente è importante in tempi normali, riuscire ad azzeccarlo in momenti di tempesta come l’attuale è questione di sopravvivenza. Questo mercato, però, è sotto gli occhi di tutti: sono le donne. È in loro che gli economisti sperano per uscire dalla crisi. Nelle donne che orientano i consumi delle famiglie (e queste le conoscevamo già, considerata l’influenza sulla scelta delle vacanze, dei mobili di casa, dei cibi, ma anche sull’educazione dei figli). E nelle donne che fanno acquisti per sé perché lavorano sempre di più, guadagnano di più, spendono di più.
Sono, dunque, le donne il vero mercato emergente mondiale. Più di Cina e India messe insieme. Addirittura quasi il doppio di queste due potenze economiche, secondo uno studio del Boston Consulting Group al quale ieri il settimanale americano Newsweek ha dedicato la copertina.
I ricercatori hanno stimato che in cinque anni il reddito globale femminile crescerà del 50%, per un totale di oltre 5mila miliardi di dollari in più, contro una crescita del reddito maschile di poco più del 30%. La differenza tra i due universi resta alta, visto che il totale dei redditi degli uomini è più del doppio di quello delle donne (23mila miliardi di dollari contro 10mila), ma il divario va attenuandosi.
La crisi sta rimescolando la carte. Negli Stati Uniti la percentuale di donne occupate sfiora oggi il 50%, avendo i licenziamenti colpito soprattutto gli uomini. E anche in Italia sono stati persi più posti maschili che femminili. «La recessione — dice Maurizio Ferrera, docente di Scienza politica a Milano e autore del saggio Fattore D — ha avuto un effetto di ricomposizione della forza lavoro perché ha colpito settori dove si concentrava l’occupazione maschile e perché le donne occupano posti più flessibili che le imprese, quando hanno potuto, hanno risparmiato. Ma — aggiunge — ci sono due effetti inerziali che vedremo nei prossimi anni. Il primo è che iniziano ad avere effetto in Europa le politiche per le pari opportunità, per cui mi aspetto nei prossimi cinque anni dati diversi nell’occupazione e nella distribuzione dei redditi. Il secondo è l’entrata nel mondo del lavoro di donne più istruite anche in settori a monopolio maschile».
Se si resta all’oggi, però, le differenze si vedono e fanno riflettere anche in Paesi molto avanzati. Basta guardare l’analisi pubblicata dal quotidiano inglese The Guardian , secondo la quale le donne meglio pagate tra quelle al vertice delle prime 100 società quotate alla Borsa di Londra hanno guadagnato un decimo degli uomini meglio pagati. Solo in 9 hanno avuto un compenso superiore al milione di sterline contro 269 uomini. E solo cinque hanno superato la media maschile.
In Italia, sempre agli ultimi posti di tutte le classifiche fatte sul tema, le analisi di Livia Aliberti Amidani di Aliberti Governance Advisors dicono che il progresso c’è, ma lentissimo: 6,3% le donne nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane a fine luglio, contro il 5,8% di fine 2008 e il 4,7% di fine 2006. Ma la parte più consistente (quasi il 9%) è data da consigliere non esecutive e non indipendenti, cioè parti della famiglia proprietaria, mentre le indipendenti sono sotto il 4%.
Il punto è che prima di pensare alle differenze di reddito e ai consigli di amministrazione, in Italia le donne devono trovare un posto: «Abbiamo un tasso di occupazione femminile fermo al 47%, in Europa siamo seguiti solo da Malta», dice Paola Profeta, docente all’università Bocconi. Per questo la sua collega Daniela Montemerlo sostiene che «sono necessarie politiche che spingano le aziende, non basta la buona volontà di una singola realtà». «Questo tema è uscito dall’agenda politica — dice Ferrera — E c’è anche una bassa pressione delle donne. È chiaro che bisogna mobilitarsi per contrastare il velinismo, ma non bisogna dimenticare il fronte della conquista di posizioni di potere dentro la struttura sociale ed economica». «Non è vero che le donne hanno gettato la spugna — ribatte Anna Puccio, consigliere indipendente di società quotate — Sono circondata da donne che parlano solo di questo argomento. Ma nessuno le ascolta».
Il Corriere della Sera 16.09.09