Il dibattito nel Pd e sul Pd è aperto in vista della scelta del nuovo segretario. In discussione il futuro e le strategie del Partito democratico. Alcuni di questi temi erano affrontati nell’editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 10 settembre. A quell’editoriale rispondono oggi Ignazio Marino e Pierluigi Castagnetti con due interventi che pubblichiamo
«La vocazione maggioritaria non è autosufficienza», di Pierluigi Castagnetti
Gentile Direttore,
il professor Panebianco sul Corriere della Sera di ieri fa un’analisi spietata delle difficoltà del PD, che in alcuni passaggi è possibile condividere e considerare una utile sferzata, se si esclude però il giudizio liquidatorio che se ne può ricavare dalla lettura complessiva. Parto dal riconoscimento più importante fatta a Veltroni, la scelta cioè di un partito a vocazione maggioritaria, “idea eccellente realizzata male”.
Condivido. Anzi, si dovrebbe dire, non ancora veramente realizzata. Vocazione maggioritaria non significa autosufficienza e, dunque, rinuncia alle alleanze, al contrario significa esattamente quello che dice Panebianco, non rinunciare cioè mai – anche con un consenso attorno al 30% – a rappresentare il sentimento maggioritario del Paese, con un messaggio che vada oltre i confini del proprio campo con alleanze coerenti con tale obiettivo. Questo credo debba essere ancora l’obiettivo principale del PD, e non capisco dove si possano cogliere nel dibattito in corso contraddizioni e incompatibilità.
Del resto anche Berlusconi, il cui partito non dispone di un consenso sufficiente a governare, ha mostrato sin dal primo momento della sua “discesa in campo” una abilità straordinaria a costruire alleanze fra sigle e siglette che gli hanno permesso di ottenere i risultati che conosciamo. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, il messaggio vincente glielo ha confezionato proprio l’alleato maggiore, la Lega. Proprio sul tema citato da Panebianco, quello dell’immigrazione, il messaggio radicale ed estremo e perciò vincente, è stato quello della Lega. Ma, restando a questo esempio, a me pare che quel messaggio radicale sia servito a creare un clima di consenso emotivo, ma resta tutto da dimostrare che quella sia la strada risolutiva del problema.
Ed è proprio sul governo del processo migratorio, che a breve tenderà a diminuire a causa della riduzione dell’offerta di lavoro in Italia, pur essendo destinato a ripetersi in futuro, e che il governo delle destre ha già affrontato qualche anno fa con una sanatoria di settecentomila clandestini e ora con un’altra che arriverà attorno al milione, che si giudicheranno le proposte del centro destra e del centro sinistra. I respingimenti? Ma, come vengono fatti, e poi i liberali lasciano solo alla sinistra e alla Chiesa la difesa dei diritti soggettivi? In quali altri Paesi è reato non più solo rubare o uccidere, ma essere un povero-cristo, cioè un pover’uomo respinto da tutti? La povertà, oltre ad essere un dramma in se, è anche una colpa?
La maggioranza degli italiani, forse, oggi pensa di si, ma non sempre la responsabilità politica deve coincidere con l’assenza di responsabilità, e di carità umana. Anche se non si prendono voti.
«Un partito a respiro maggioritario significa autonomia e saper aggregare», di Ignazio Marino
Gentile direttore,
Angelo Panebianco ci ha offerto un stimolante punto di vista sul partito democratico. Con una certa brutalità ci ammonisce sulla “scarsa credibilità dell’offerta politica, sull’assenza di un insieme di idee e proposte potenzialmente in grado di convincere una parte rilevante di elettori”. Approfitto dello stimolo per proporre alcune riflessioni.
L’idea del partito con “respiro” maggioritario, che difendo, significa capacità di offrire all’Italia un racconto politico – fatto di valori, idee e proposte – forte e strategico, proprio per competere, come suggerisce Panebianco, nella sfida elettorale e di rappresentanza non sul piano tattico degli accordi partitici (che semmai vengono dopo).
Il Pd o è partito autonomo, forte e aggregatore, o non è. E se pensiamo che per vincere dobbiamo decidere delle alleanze prima di sapere chi siamo, chi siamo non lo sapremo mai. Ecco perché ho detto che mi sembra difficile, oggi, un’alleanza strategica con l’Udc, da cui ci dividono valori identitari (altra cosa la possibilità di progetti locali, sulla base di programmi amministrativi comuni e dell’autonomia di ogni territorio).
Il Pd (che ho in mente) è una forza che non teme di compiere scelte chiare sui temi che oggi dividono, di dire che stiamo dalla parte dei diritti delle persone, che difendiamo un’idea di laicità come metodo di discussione e decisione, senza sentirsi depositari della verità, ma con il dubbio che permette di ascoltare l’altro e di rispettare le decisioni prese a maggioranza.
I diritti civili, la vasta sfera di questioni che toccano la vita, la salute, le libertà delle persone e l’equilibrio con l’ambiente non sono temi marginali, ma indicano, appunto, la nostra identità di forza progressista.
Ci sono poi le idee sui temi in una visione alternativa al modello semplificato di Berlusconi. “Si è si, no è no, tutto il resto è del maligno” dice una frase del Vangelo a me cara, ed è a questo principio che si ispira il programma che propongo. Si può essere d’accordo o meno, ma sfido a trovare ancora le vecchie ambiguità: no al nucleare, ad esempio, o si ad un mercato del lavoro flessibile e sicuro, con contratto unico, salario minimo garantito e reddito di cittadinanza. O, ancora, no ad ogni forma di intromissione della politica nelle nomine, dalla Rai alla sanità. Si ai collegi uninominali per riqualificare la rappresentanza. Sono solo esempi, ma indicano la strada: non dire quello che conviene, né seguire il senso comune sondaggistico, ma affermare quello che crediamo giusto.
Ancora un esempio, sull’immigrazione, che Panebianco indica giustamente come tema decisivo. L’immigrazione è una risorsa per l’Italia, economica e sociale, di cui oggi non possiamo fare a meno. Si parla tanto di respingimenti, che rifiutiamo, ma dobbiamo sapere che non è dal mare che arriva la maggioranza dei clandestini. Non è con la propaganda che si risolvono i problemi. Propongo quattro cose: permessi di soggiorno temporanei per la ricerca di lavoro, metodi rigidi di controllo e verifica degli ingressi – sul modello americano, con documenti elettronici, controllo di iride e impronte digitali, fermezza assoluta per chi non rispetta le regole – jus soli per far essere italiano chi nasce e cresce da noi, diritto di voto amministrativo.