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“Norberto Bobbio: il maestro laico che manca all’Italia”, di Claudio Magris

Se fosse vivo e in età ancor combatti­va, non so se Norberto Bobbio — trovandosi in un mondo sempre più opposto al suo modo di essere, di sentire e di pensare — sarebbe più spro­nato a dar libero corso alla sua vena «ira­conda », come egli diceva, e polemica oppu­re ad abbandonarsi a una rassegnata e stoi­ca amarezza. Bobbio incarna esattamente ciò che manca, sempre più vistosamente e volgarmente, alla nostra società: la capacità di ragionare, di distinguere, premessa fon­damentale dell’onestà verso gli altri e verso se stessi. Una volta, alle scuole elementari, ci insegnavano che non si possono somma­re litri a chili o a metri, cosa che ora si fa normalmente, in un coro di imbroglioni e imbrogliati che sono spesso le medesime persone. Mai come oggi è mancata la laicità e Bobbio è anzitutto un maestro di laicità, non nel senso stupido e scorretto in cui vie­ne correntemente usata questa parola, qua­si significasse l’opposto di credente, di reli­gioso o di praticante, come credono e vo­gliono far credere gli ignoranti e i disone­sti.

Bobbio ha insegnato che laico non indi­ca il seguace di una specifica idea filosofi­ca, bensì chi è capace di distinguere le sfere delle diverse competenze; distinguere ciò che è oggetto di dimostrazione razionale da ciò che è oggetto di fede, a prescindere dal­l’adesione o meno ad essa. Laicità: distin­guere fra diritto e morale, sentimento e con­cetto, legge e passione; articolare le proprie idee secondo principi logici non condizio­nati da alcuna fede né ideologia; mettere in discussione pure le proprie certezze; sceve­rare l’autentico sentimento dalle incontrol­late reazioni emotive, ancor più nefaste dei dogmatismi.

Oggi viviamo in una temperie culturale assai poco laica, funestata dai fondamentali­sti religiosi come da quelli aggressivamen­te atei, entrambi capaci di ragionare solo con le viscere e con slogan orecchiati. La cronaca di ogni giorno ci mostra come si confondano e si pasticcino politica e mora­le, diritto e sentimentalismo, in un’allegra sgrammaticatura linguistica, concettuale ed etica che mette spesso il soggetto all’ac­cusativo e viceversa, per scambiare i ruoli tra vittime e colpevoli e mettere in galera il derubato anziché il ladro. Il sistema politi­co regredisce a una barbarie premoderna, cancellando progressivamente secoli di ci­viltà liberale che aveva elaborato controlli e garanzie per impedire abusi di potere.

Oggi c’è più che mai bisogno di intelli­genza e di passione come quelle di Norber­to Bobbio, che ha difeso e vissuto questi va­lori — i quali, prima di essere cardini della vita civile e del buon governo, sono il sale dell’esistenza quotidiana — sui fronti più diversi, dai mirabili studi filosofici e giuridi­ci, che fanno di lui un eccezionale maestro, alla milizia etico-politica e alla presenza ge­nerosa e creativa nella vita culturale. In quel vero, sobrio capolavoro che è De Senec­tute, un commiato dalla vita insieme classi­co e cocentemente contemporaneo, Bob­bio, richiamandosi al mito platonico dei due cavalli dell’anima, si duole di aver per­messo al destriero irascibile di aver preval­so su quello nobilmente razionale, ma non so se sia un’autocritica giustificata. Sem­mai, è stato troppo mite; oggi c’è bisogno più dell’ira che della mitezza a lui cara, nel baraccone in cui ci troviamo.

La sua lucidità nasce da un cuore genero­so, ricco di affetto e amicizia, di ironia e au­toironia. Bobbio ha insegnato che la batta­glia del pensiero è talora pure una battaglia contro la propria passione, ma sempre nu­trita di passione, anche quando deve dolo­rosamente dominare quest’ultima. Il cuore va sempre ascoltato, anche quando urta contro la legge, ma sapendo che spesso il cuore è pure «pasticcio e gran confusione», come ha scritto in un suo romanzo un altro grande piemontese, Stefano Jacomuzzi. La sofferta chiarezza chiamata a far rispettare l’umano, anche quando ciò — nel groviglio delle contraddizioni — può far male al cuo­re, affonda le proprie linfe in quest’ultimo. Bobbio, maestro nel difendere i valori «freddi» della democrazia — l’esercizio del voto, le fondamentali garanzie giuridiche, l’osservanza delle regole e dei princìpi logi­ci — sa che essi sono meno appassionanti dei valori «caldi» del sentimento, degli af­fetti, degli amori; magari pure meno appas­sionanti delle passeggiate nel suo amato Piemonte o nella nostra Torino, capitale di quell’Italia più civile che credevamo possibi­le. Ma Bobbio ci insegna che solo i valori freddi, i quali stabiliscono condizioni di partenza uguali per tutti, permettono a ognuno di coltivare i propri valori caldi, di inseguire la propria passione. La logica ren­de possibile l’umanità e difende la «calda vita», come direbbe Saba. Anche a rischio dell’impopolarità — la vita vera è impopola­re — come quando Bobbio, da vero laico, faceva chiarezza sulla vita nascente e sui di­ritti del nascituro o come quando rivendica­va, in certe vicende eclatanti che eccitavano l’opinione pubblica in nome di buoni senti­menti, la prosaica osservanza della legge
Il Corriere della Sera 13.09.09

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