Un recente sondaggio sui rapporti fra America ed Europa, ha confermato quanto drasticamente sia mutata in meglio, col cambio di presidenza, l’immagine che gli europei avevano non tanto del governo di Washington e della sua politica, ma dell’America.
Nel corso della mia vita, altrettanto subitanei e radicali sono stati i cambiamenti dell’immagine dell’Italia nel mondo.
E tuttavia, una certa idea dell’Italia, anche negli anni più bui (e penso alla presa del potere e al totalitarismo fascista, culminato con l’alleanza hitleriana, con la guerra alle democrazie e con l’eccidio degli ebrei), rimase viva, anche fra gli antifascisti e i perseguitati, la convinzione che l’Italia vera non fosse quella del Duce, ma un’altra Italia, non dimentica della sua storia gloriosa, memore della sua grande civiltà umanistica. Caduto il fascismo, gli ebrei emigrati ritornarono in Italia nella convinzione che non l’Italia ma il fascismo aveva dato loro una caccia mortale, consapevoli che gli italiani avevano con innumerevoli atti di coraggio protetto e salvato migliaia e migliaia di perseguitati. No, quella fascista non era stata «la vera Italia».
Così pensava mio padre quando ritornò dall’esilio alla città natale in tempo per partecipare a quella grandiosa rinascita popolare che furono le libere elezioni del 2 giugno 1946. Nel mezzo secolo che seguì ci furono altri momenti in cui l’Italia diede di sé al mondo un’immagine a dir poco sconcertante. E penso agli anni di piombo, quando una minoranza violenta sfidò con una sequela di omicidi il «nostro Stato» democratico. Subimmo gravi perdite, ma non perdemmo mai la fiducia che la nostra Italia, l’Italia vera sarebbe prevalsa. E non dimentichiamo quanto forte fu il conforto che venne ai difensori della nostra democrazia da un grande papa, Paolo VI, uomo di salda fede antifascista, sempre attento alle vicende italiane.
Oggi, leggendo la grande stampa internazionale, ci colgono momenti di sconforto per il ritratto che giornali famosi offrono dell’Italia degli scandali. Vorremmo che non dimenticassero l’immagine che essi stessi diedero pochi mesi fa dell’Italia sconvolta dal terremoto dell’Aquila, unita in una risposta corale altamente civile, per l’ondata di soccorsi giunti da ogni regione nella terra abruzzese ferita, per la prontezza con cui fu messo in atto un progetto di aiuti e di ricostruzione degno di quel grande, moderno Paese che è l’Italia.
E vorremmo che i nostri rappresentanti nel mondo non dimenticassero mai la responsabilità che portano in ogni loro atto, in ogni loro parola. Essi sono l’Italia, un’Italia che ha affrontato con forti risorse anche la grande crisi economica, l’Italia delle centinaia di migliaia di imprese vitali, frutto di un antico ingegno, di una radicata cultura del lavoro, di una capacità imprenditoriale che guarda spontaneamente al mondo intero come destinatario delle opere della propria creatività.
Abbiamo un’idea dell’Italia che non cambia con il succedersi di eventi che ci sembrano soltanto incidenti per nulla rappresentativi della nostra grande storia. Anche nei momenti di crisi, vediamo una società creativa, fortemente reattiva, disperante e affascinante, vividamente cosciente di se stessa, consapevole delle sue contraddizioni, ma anche della sua natura profonda e del suo destino, come partner di quella storica avventura che è la creazione di un’Europa democratica unita, alla cui crescita non saremo mai noi a porre ostacoli.
Come già in passato, in momenti molto più critici, confidiamo che i disagi profondi che accompagnano il nostro sviluppo si attenueranno e verranno superati. Vediamo spinte distruttive, egoismi corporativi, superficialità demagogiche, sopraffazioni e arroganze che si sprigionano dall’interno della società italiana. Ma vediamo anche segni confortanti che sono prova di riserve sufficienti di volontà e di buon senso, capaci di correggere e curare questi nostri mali, in tempo, e col tempo. Non ignoriamo le pericolose tensioni che si manifestano, ma confidiamo nella solidità e vasta popolarità delle nostre grandi istituzioni, e scorgiamo anche tanti fatti positivi, tanti progressi sociali, civili ed economici, perfino politici, che confortano la nostra fiducia nell’idea dell’Italia che abbiamo sempre portato nel cuore.
La Stampa, 12 Settembre 2009