Quando in Confindustria comincia a parlare Romano Prodi inizia un «film» sul mondo e sull’Italia radicalmente diverso da quello «proiettato» fino a un minuto prima da Maurizio Sacconi. Tutto cambia: analisi e prospettive. A cominciare da quelle ampie, che hanno per orizzonte gli equilibri geopolitici. Il ministro del lavoro parla di un «patto transpacifico» che gli Stati Uniti stanno imbastendo con la Cina. Per lui sarebbe la fine del patto Atlantico, e l’inizio per l’Europa di nuove alleanze. Quelle con Russia e arabi (leggi Libia). Il governo è «amico di Putin» (come il premier) e nemico degli «anglo-cinesi ». Per l’Italia è uno stravolgimento, un gioco pericoloso che isola la penisola del consesso occidentale.
Per Prodi invece proprio il rapporto con la Cina è la formula per battere la crisi. «State attenti che la Cina è inarrestabile – avverte Prodi – Meglio averla come alleata e prendere i vantaggi». Per aver detto questo, l’ex premier si è preso «molte legnate» in passato. Ma oggi quel messaggio è più vero che mai. Perché nella storia «si è usciti dalle crisi o con le guerre, o con le grandi innovazioni (tipo elettricità o telefonia), o con l’inflazione – osserva prodi – Stavolta abbiamo un solo strumento: che il miliardo e 300 milioni di consumatori diventino cinque miliardi». Serve l’espansione dei Paesi in via di sviluppo, servono nuove opportunità per miliardi di persone (il contrario di quel che fa il governo con i respingimenti). Servono buone relazioni internazionali. La conclusione è opposta, perché opposta è l’analisi su priorità e percorsi. Il ministro invita i giovani ad «andare a lavorare, a fare anche lavori umili. Basta con la retorica della precarietà, basta con quelle lauree forzate che arrivano a 30 anni». Su questo la reazione di Prodi e secca. «Quale genitore direbbe a suo figlio: fai il mungitore. E poi bisogna mungere tutte le mattine». L’ex premier parla di giovani ingegneri che «la Germania ci ruba perché costano quasi la metà dei colleghi tedeschi,ma sono bravissimi». Cervelli sottopagati, merito non riconosciuto, mobilità ferma. Questa la condizioni dei giovani, che meriterebbero una scuola diversa. «La riforma della scuola è quella più importante – dice Prodi – vale il 90%».
Visioni diverse anche sullo sviluppo del Paese. Per Sacconi è il terziario che avanza, per Prodi l’unico vero punto di forza dell’Italia è la struttura produttiva, la manifattura. Solo la Germania supera l’Italia in Europa quanto a peso della produzione industriale. per uscire dalla crisi non si può ignorare il tessuto produttivo,con le sue peculiarità di milioni di piccole imprese. Prodi lo sa, e decide di continuare a visitare, fabbrica per fabbrica, questo mondo del lavoro. Oggi è quasi una rarità per gli economisti, che producono più su modulistica astratta che su osservazione empirica. Studiare, analizzare, osservare. Un lavoro faticoso e «pericoloso». «Una volta – rivela il Professore – Cuccia mi disse: non vada tanto in giro per le industrie, perché ci si affeziona». «La manifattura è il sostegno dell’economia italiana – spiega – ed è l’unica voce che abbiamo ancora nel mondo». Per uscire dalla crisi serve una politica industriale che segua tutte le fasi: domanda, produzione e ricerca. Poi occorre puntare sui settori del futuro: le scienze della vita e l’ambiente. Su questi terreni c’è molta ricerca da fare, molto da investire, molto da creare. Il suo governo – ricorda – aveva iniziato creando la domanda nel settore dell’energia rinnovabile. Poi doveva seguire la produzione e la ricerca: ma il percorso è stato interrotto. Non si sta facendo molto, e l’Italia resta al palo: non ricerca più, non innova più, non inventa più. «Negli ultimi 20 anni non abbiamo creato neanche un prodotto innovativo – dichiara – eppure eravamo il Paese che con Olivetti ha fatto da battistrada sui computer».
L’Unità 10.09.09