Legge l’allarme sull’occupazione per l’autunno. Quella lista nera di 700mila posti persi e dei mesi difficili che arriveranno. Vede un solo segnale rassicurante Dario Franceschini: quell’obiettivo affermato anche mercoledì dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, di «una grande alleanza» per il Paese a cominciare da un patto imprese-sindacati. Un richiamo all’unità che Franceschini rilancia e che vale tanto più oggi dopo l’abbandono della Fiom al tavolo sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici. «Credo che le rigidità debbano rientrare – dice – non è il momento per posizioni pregiudiziali».
Il disgelo con la Cgil dei giorni scorsi, Franceschini, non può che accoglierlo come «un passo giusto per creare quel consenso che serve ad affrontare i momenti più duri». «Imprese e sindacati stanno cercando una strada per conto loro e il fatto che anche la Cail avesse dato disponibilità al dialogo era solo positivo. Spero che, al di là di quanto successo ieri, ci siano passi avanti reciproci innanzitutto tra i sindacati tutti e poi con le imprese per superare le divisioni alimentate ad arte dal Governo. Vedo già la volontà di sanare quella frattura ma i passi devono essere lo ripeto di tutti i sindacati».
Certo, la posizione di segretario del Pd che aspetta il congresso e le primarie per sapere se sarà ancora alla guida del partito è più scomoda e debole che mai. «Ma nel frattempo non sto a guardare perché i nodi sono arrivati al pettine come dimostrano le cifre sulla disoccupazione e la preoccupazione delle parti sociali. E io tifo affinché riescano a stringere un patto su obiettivi comuni. Il mio impegno, come è scritto nella mia mozione congressuale, è far cadere le barriere ideologiche e affermare nei fatti che il mondo del lavoro oggi è fatto di lavoratori e imprese insieme. Sostenere le imprese significa salvare posti di lavoro. E finanziare gli ammortizzatori per i disoccupati vuoi dire sostegno al reddito e ai consumi e quindi aiutare anche le imprese. Non ci sono più steccati. C’è una circolarità che va difesa e favorita». Eppure il Pil che scende, la disoccupazione che sale, la contrazione dei redditi sono tutte cifre perfette’ per qualsiasi opposizione ed è questo che il premier rimprovera al Pd: soffiare sul fuoco. «Abbiamo presentato proposte in Parlamento per le piccole imprese e i disoccupati. Tutte bocciate. Non mi pare che questo voglia dire tifare per la tensione sociale. Non faccio calcoli di propaganda e convenienza sulla crisi economica. La nostra convenienza è contribuire ad aiutare chi ha perso il lavoro, chi non ce la fa ad arrivare a fine mese. Solo così il Pd può proporsi come alternativa credibile».
Il mestiere di capo dell’opposizione è stato difficile prima, lo è di più oggi. Che ruolo può avere un segretario del Pd che lo guiderà per un mese ancora e poi chissà? «Quello di denunciare l’altra verità. I racconti di Berlusconi che ormai sono di tutti gli esponenti del Governo – puntano alla costruzione di una realtà mediatica più che alla verità dei fatti. Tremonti dice che ci sono risorse inimmaginabili per gli ammortizzatori, il premier ripete che tutti quelli che perderanno il posto avranno l’80% dello stipendio. Mi chiedo: allora perché i lavoratori protestano sulle gru? Perché la realtà è un’altra. E quella che ha detto il Governatore Draghi spiegando che un milione e 800mila lavoratori saranno privi di sostegni al reddito».
Ora forse è un po’ più facile parlare delle relazioni sindacali. Ma quando le divisioni imperversavano, il silenzio nel Pd o peggio la rissa tra i sostenitori della Cgil e gli altri è stato un problema nella difficile convivenza tra ex-Ds ed ex-Margherita. «Ma noi abbiamo lavorato in senso opposto al Governo: loro sin dal 2001 hanno puntato e lavorato per spaccare, dividere. Noi scommettiamo sull’unità. Non nego che le divisioni sindacali abbiano creato problemi ma il Pd che voglio è il luogo delle diversità. Se io puntassi sulle identità, su un sindacato più che su un altro, toglierei ragione d’essere al Pd che ho in testa. Allora tanto valeva restare Ds e Margherita».
Dario Franceschini insiste sull’autonomia tra sindacato e politica ma non sempre si vede. E lo dimostra lo schieramento cislino (oltre che di ex cgiellini e uil) sulla sua mozione e quello della maggioranza delle strutture cgielline su quella di Pierluigi Bersani. E nessuno può negare la potenza organizzativa della Cgil. Lo preoccupa ai fini dell’esito delle primarie e dell’elezione del nuovo leader Pd? «Oggi gli iscritti a un partito o a un sindacato non aderiscono più a un ordine’. Ciascuno vota con la propria testa, in modo libero e imprevedibile».
Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2009