«Il vostro giornale lo scorso 27 febbraio ha pubblicato una mia lettera in cui denunciavo la mia situazione di precaria del mondo della scuola da oltre dieci anni e se ci mettiamo anche quello della conoscenza da oltre venti.
Sono un’insegnante di italiano nella scuola media, ovvero di una di quelle classi di concorso che più hanno risentito dei drastici tagli messi in atto nella scuola statale. In questi giorni stiamo assistendo a forme di protesta e mobilitazione dei precari della scuola che stanno attraversando tutto il Paese.
«Mamma, mamma – dice mia figlia richiamando la mia attenzione sulla televisione, mentre io passo il mio tempo in cerca di notizie su internet – se ne sono accorti adesso che esistono i precari nella scuola, che hanno tagliato posti di lavoro e che spariscono sempre le cattedre?» “Spariscono le cattedre” è una sorta di linguaggio tecnico per dire che il giorno in cui vengono assegnate le supplenze annuali, finisce sempre che delle cattedre non siano state comunicate per tempo o magari che in qualche scuola proprio non si siano accorti di avere in organico meno docenti di quanti ce ne vorrebbero.
Mia figlia che non ha ancora quattrordici anni, è cresciuta ascoltando uno strano linguaggio che parla di spezzoni, ore residue, organico di fatto e di diritto, punteggi, ricorsi, sentenze, ruoli, code… Perché questa è la mia vita! Quella di passare l’estate a controllare se e dove potrò lavorare il successivo anno scolastico.
Quest’anno ero praticamente certa di non farcela. E solo il 1° settembre, fatidico giorno delle nomine nella mia provincia, ho scoperto che ce l’avrei fatta! Non potete immaginare la gioia! Ma io sono tra le prime della mia graduatoria, sarei dovuta diventare di ruolo lo scorso anno, e ho preso la penultima cattedra a disposizione, tirata fuori dai meandri degli Uffici scolastici provinciali – ma soprattutto dai tempi ristretti e assurdi in cui il Miur ha costretto a lavorare i dipendenti dei suoi uffici periferici – all’ultimo minuto, e quando uso l’espressione “all’ultimo minuto”, vi assicuro che non uso un modo di dire.
E così la gioia provata in quel momento non è che un fatto del tutto personale e di breve durata. Prima di tutto perché, per quanto mi riguarda, so bene che è un miracolo che difficilmente potrà ripetersi il prossimo anno e poi perché ci sono i miei colleghi che non hanno avuto la stessa fortuna. Perché guardate, è solo di questo che si tratta. Io non posso e non potrò dimenticare l’espressione delle colleghe che sono venute ad abbracciarmi contente per me, ma pervase da quell’angoscia, che io conosco bene, di dover tornare a casa a mani vuote nella speranza di una supplenza temporanea o di un qualche intervento pasticciato del Governo che, per di più, tarda a venire.
Dopo anni di studi e sacrifici per poter fare un lavoro che amiamo con tutta l’anima e in cui crediamo fortemente, ci ritroviamo senza nessuna prospettiva, spaesati e disperati, a chiederci, anche quanti di noi sono riusciti per ora a trovare una sistemazione, cosa sarà di noi il prossimo anno. Nel frattempo io, in questa assurda situazione, mi sento una privilegiata, perché tanti come me non hanno avuto e non avranno la stessa sorte. Esprimo la mia solidarietà e metto a disposizione tutto il mio impegno a tutti coloro che si stanno mobilitando. Non scendiamo dai tetti e non facciamo abbassare l’attenzione sul problema scuola. Non è in gioco solo il nostro lavoro, ma il futuro del nostro Paese.»
da.unita.it
Amalia è una donna che non si arrende: con lucidità e civismo scrive della scuola e della piaga del precariato. Su questo sito abbiamo pubblicato alcuni suoi articoli (l’ultimo, in ordine di tempo, appena ieri), a partire dalla bellissima lettera aperta ospitata dall’Unità del 27 febbraio scorso (vai al link https://preview.critara.com/manughihtml/?p=2540 )