I concorsi per ricercatori? La negazione del merito. Gli atenei abbassano l’asticella e nei nuovi bandi di concorso chiedono un numero esiguo di pubblicazioni scientifiche. Molti si limitano a chiederne tre, quattro o cinque. Mettendo un limite verso l’alto, anziché verso il basso. In pratica viene aggirata la legge.
Il sistema varato a novembre per combattere il nepotismo e dare chance ai più bravi stabilisce che la produzione scientifica sia l’unico metro di giudizio (oltre alla valutazione del curriculum). Dunque, dovevano sparire prove scritte e orali che per anni hanno consentito di truccare gli esami.
C’era da augurarsi una interpretazione rigorosa di questa legge che avrebbe dovuto garantire criteri meritocratici. Invece, le lobby accademiche ancora una volta hanno forzato i meccanismi del reclutamento.
Nei 170 concorsi banditi da 27 università nei mesi scorsi il 50% degli atenei ha tradito la riforma. Con un comportamento eticamente discutibile hanno fissato limitazioni al numero massimo di pubblicazioni presentabili dai candidati e ripristinato prove di idoneità sulla base di titoli non conformi alle nuove regole o previsto la valutazione con esami scritti e orali (aboliti).
Che cosa è accaduto nei mesi scorsi? L’Associazione precari della ricerca ha fatto una rilevazione: «Non che le pubblicazioni si valutino a peso, ovvio, ma la scelta di indicare un così basso numero di lavori è davvero sconcertante», afferma Francesco Cerisoli, biologo di 33 anni, emigrato in Olanda con moglie e figli, che in attesa di poter rientrare ha fondato in Italia l’Associazione. «In alcuni casi i limiti alle pubblicazioni – sostiene ancora Cerisoli – sono talmente bassi da porsi perfino al disotto dei limiti raccomandati dal Cun, il Consiglio universitario nazionale».
Il decreto Gelmini aveva come obiettivo quello di combattere il nepotismo, perché nelle nostre università, grazie a un sistema di scambio, con la protezione dei baroni salgono in cattedra mogli, amanti e rampolli. Ma con la copertura della vecchia legge Berlinguer, mai abrogata, molti atenei continuano ad aggirare la riforma che doveva garantire trasparenza. Però ora, visto il comportamento degli atenei, il ministro promette azioni legali contro chi non rispetta le regole, inoltre il governo prepara un provvedimento per cancellare definitivamente la normativa precedente.
Il limite di 3 pubblicazioni lo ha fissato il Politecnico di Milano per Tecnologie e sistemi di lavorazione, settore Ingegneria. Eppure per questa materia i criteri minimi suggeriti dal Consiglio universitario nazionale parlano di 6 pubblicazioni. Anche l’Università di Sassari, settore Biochimica, chiede 3 pubblicazioni, contro le 5 suggerite dal Cun. Ma andiamo avanti. Mettono il limite di 4 pubblicazioni l’università dell’Insubria, settore Ecologia (in questo caso il limite è formalmente di 5 pubblicazioni, però viene inclusa la tesi di dottorato e quindi di fatto il limite sulle pubblicazioni è di 4). Si sono attestate a 5, ma sono sempre al di sotto dei criteri minimi, l’università di Cassino, per Progettazione meccanica e costruzione macchine. Ancora il Politecnico di Milano, per Scienza e tecnologia dei materiali; e per Sistemi di elaborazione delle informazioni. Stessa situazione per l’università di Camerino, Disegno industriale e Restauro. Alla Ca’ Foscari di Venezia, Scienza delle Finanze; a Roma Tre, Diritto Privato Comparato e Diritto Romano e dell’Antichità. A Foggia, i concorsi per Storia Medievale; Psicologia Generale; e Didattica e Pedagogia Speciale. A Foggia hanno fatto mea culpa, a Cassino non si sono pentiti. L’elenco dei ”limiti” potrebbe continuare.
Perché avete fissato un tetto ai lavori da presentare? Risponde il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio: «Abbiamo chiesto ai ricercatori di autovalutarsi, di selezionare i propri lavori, presentando gli studi migliori, quelli pubblicati su riviste internazionali, perché quello che esce sulle riviste Isi vale molto di più. Tanto, nel curriculum, c’è l’elenco complessivo delle pubblicazioni. Siamo perfettamente in regola con il decreto ministeriale e siamo d’accordo sulle regole meritocratiche».
Ma c’è anche un altro problema, non meno preoccupante: il blocco dei concorsi. I 170 banditi sono ben poca cosa rispetto ai 1050 autorizzati tre anni fa da Fabio Mussi. «Fermi anche i concorsi annunciati dalla Gelmini», conclude l’Associazione dei ricercatori precari che non abbassa la guardia.
dal Messaggero
Pubblicato il 5 Settembre 2009