È stato spacciato come un «nuovo sistema di formazione», ma non risolverà alcun problema e ne creerà molti. Per capire la vera natura della proposta del ministro Gelmini è però prima di tutto necessaria una ricostruzione storica.
L’ultimo concorso per essere assunti quali insegnanti sulla base del merito è stato bandito dal ministro Luigi Berlinguer nel 1999. Da dieci anni, si va avanti con le «graduatorie». Poi, nel quinquennio 2001-2006 la ministra Moratti proclamò innovazioni a parole, ma nei fatti lasciò marcire il problema. I posti liberi non venivano coperti, la percentuale di precari tra i docenti aumentò fino al 20%.
Nell’anno e mezzo del governo Prodi i ministri Fioroni e Mussi misero le premesse per una soluzione, ma non conclusero. Le graduatorie furono poste “a esaurimento” e fu impostato un piano triennale di 150.000 assunzioni, realizzato circa per metà, che le avrebbe quasi completamente riassorbite: a differenza di quanto qualcuno afferma, non si trattava di “assistenzialismo” con reclutamenti non necessari, ma della mera sostituzione di personale stabile in luogo di quello che ogni anno viene assunto e dismesso (con evidenti danni alla continuità e perciò all’efficacia didattica, oltre che ai diretti interessati). Con la “Finanziaria 2008” fu dato mandato al governo di definire simultaneamente, con un Regolamento, nuove procedure per la formazione/abilitazione e la ripresa di concorsi per l’assunzione degli abilitati, non più inseriti in graduatorie.
La nuova maggioranza avrebbe avuto perciò la strada spianata (in un dibattito, una esponente del centro-destra ringraziò ironicamente, al proposito, il passato governo); ha voluto fare tutt’altro. Ha puntato a una drastica riduzione dei posti di insegnamento, impedendo il riassorbimento delle graduatorie (gli 8.000 posti assegnati sono una goccia nel mare); quanto agli insegnanti secondari, in attesa di scelte future ha inoltre immediatamente bloccato il meccanismo di abilitazione in atto, le Scuole di Specializzazione SSIS. Da due anni, chi consegue la Laurea specialistica non può prepararsi a insegnare: alla faccia dell’apertura ai giovani, e della retorica sul corpo docente troppo anziano nelle nostre scuole.
Il testo presentato dalla ministra Gelmini nei giorni scorsi rappresenta la proposta governativa di attuazione del Regolamento sopra ricordato. Nel grande battage mediatico che la ha accompagnata non è stato detto che si tratta appunto di una proposta, che per divenire decreto ha ancora bisogno del parere politico delle Commissioni parlamentari e di quello giuridico del Consiglio di Stato. Quest’ultimo non può essere dato per scontato. Infatti il Regolamento previsto dalla Finanziaria 2008 doveva disciplinare sia la formazione iniziale sia il reclutamento dei docenti, ed è dubbio che sia legittimo che esso affronti solo una delle due questioni indicate dalla norma-base, senza dare risposta all’altra. Non si tratta di un cavillo: nuove procedure di formazione si attivano in quanto vi è la necessità di assumere docenti, sicché le regole per la formazione dovrebbero essere stabilite insieme a quelle che consentano tali assunzioni. Quando ha bloccato le SSIS la stessa ministra Gelmini ha affermato che non deve esservi un percorso formativo/abilitante in assenza di una procedura ben definita, e già in atto, per le modalità di reclutamento degli abilitati: con questo Regolamento si determinerebbe l’identica situazione.
Il governo non può non saperlo, ma sfugge alla responsabilità di fare una scelta che deve necessariamente tener conto di due elementi: da un lato i diritti di chi è nelle graduatorie, d’altro lato sarebbe inaccettabile escludere, per molti anni (moltissimi, in ragione della riduzione degli organici), l’ingresso di qualunque nuovo laureato. Un tempo esisteva il «doppio canale», con il 50% dei posti per l’assunzione dalle liste e il 50% a concorso per le nuove leve; solo una soluzione analoga, magari con una quota inizialmente più alta per chi è in graduatorie molto numerose, può evitare una drammatica «guerra tra poveri» di cui già emergono preoccupanti segnali.
L’assenza di decisioni sul reclutamento viene mistificata, negli annunci stampa, da affermazioni prive di rapporto con i contenuti del provvedimento; e si mistifica anche per quanto riguarda i contenuti del percorso formativo. Quest’ultimo aspetto è relativo, in particolare, agli insegnanti secondari, poiché per la primaria l’attuale percorso non è stato bloccato e quello nuovo ne rappresenta il mero prolungamento da 4 a 5 anni.
L’Unità, 3 settembre 2009