«C’è chi pensa di avere il diritto all’indulgenza». L’imboscata di Vittorio Feltri alla Chiesa italiana ha suscitato dentro il cattolicesimo un ventaglio di reazioni: il cardinal Bagnasco è disgustato; l’editore di Avvenire arrocca; l’accusato irride l’accusatore; il direttore de L’Osservatore Romano ha deprecato l’attacco ma non meno l’imprudenza di certi articoli in difesa dei povericristi annegati; qualche prelato parla di mafia, l’arcivescovo di Palermo Romeo non troverebbe strano un «passo indietro»; Cossiga — uno fra i tanti cattolici che con l’ Avvenire fu duro — mostra magnanimità. Sono sfumature dietro le quali c’è il giudizio su un cambio di direzione della politica della Chiesa, ritenuto causa, ma in senso diverso, di questa vicenda. Durante la sua presidenza il cardinal Ruini ha avuto una linea politica precisa: non tanto favorire un buongoverno (conservatore o progressista che fosse), ma essere temuto dai partiti. Per questo Prodi, di cui era amico fraterno, diventava un avversario e Berlusconi, nonostante uno stile di vita agli antipodi dai suoi, è stato preferito: per una incolmabile differenza di «timore». Per questo i temi «non negoziabili» (pericolosissimi: perché basta che anche l’altro li dichiari tali e si precipita nello zapaterismo) erano la priorità: perché distruggevano la mediazione e rendevano visibile la soggezione.
Questa strategia è stata archiviata nel 2007, quando il cardinal Bertone ha avocato a sé il rapporto con il governo. Egli ha abbandonato la linea Ruini sulla base d’una constatazione: essa era sempre prevedibile e finiva per far della Chiesa la ruota di scorta del più spregiudicato. Così ha usato cordialità dovuta al capo del governo di un Paese «straniero» sia con Prodi sia con Berlusconi rendendo i rapporti con l’Italia «eccellenti» per definizione. Il che ha permesso alle diocesi, a relazioni invariate, di avvertire — spesso senza capirne l’origine — un doppio allarme.
Il primo lo ha fatto suonare la Lega: il dio Po faceva ridere; l’alleanza col tradizionalismo islamofobico pure. Ma quando a dicembre scorso la Lega ha volantinato contro l’arcivescovo di Milano, colpevole di credere al comandamento della carità e alla teologia delle religioni del concilio, s’è intuito che la Lega rivendicava per sé la capacità di rappresentare il «territorio» in Parlamento, ma che era a un passo dal far valere la stessa pretesa dentro le diocesi, in barba al Vangelo e alla sacra potestas.
Alcuni dettagli della Legge Maroni — le ronde come momento di formazione dei diciottenni, il divieto ai preti di celebrare le nozze dei clandestini, la criminalizzazione dei loro bambini, gli esiti effettivi dei respingimenti — hanno creato un disagio: le ingiurie leghiste a mons. Vegliò e l’ambizione di Bossi di presentarsi in Vaticano come padrone del Lombardo-Veneto lo ha convalidato. Il secondo allarme l’ha fatto suonare l’entourage del presidente nelle tese settimane di polemiche sulla vita privata del premier. Il segretario della Cei, mons. Crociata, ha predicato a luglio su santa Maria Goretti spiegando che il libertinaggio non è affare privato: ed è stato considerato un attacco. Il cardinal Bagnasco ha predicato ad agosto che la maggioranza non fa la morale: ed è stato considerato un attacco. Il silenzio sulle prodezze del premier di cui il direttore de L’Osservatore Romano si vanta, porta la stessa cifra: nel segno pericolosamente contrario. Anche qui l’imboscata del Giornale ha fatto capire che per ragioni non inspiegabili c’è chi pensa d’aver diritto all’indulgenza mediatica ovvero il diritto di procurarsela con ogni mezzo. La oscura vicenda svoltasi fra la Pasqua e l’oggi s’inserisce qui: in un allarme di cui non si riesce a giudicare la portata, in episodi che si possono sdrammatizzare solo con una lucidità che manca a tutti. E in un momento così drammatico da far pensare che ancora una volta la Chiesa avrebbe potuto rendere il servizio che ha reso nei momenti topici della storia italiana — fornire coscienze formate, tirar fuori dalle proprie riserve uomini miti e rigorosi — questo orizzonte si sfilaccia prima ancora di diventare futuro.
*Professore Ordinario di storia del cristianesimo Università di Modena e Reggio Emilia
Il Corriere della Sera 02.09.09